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SOPRAVVENUTA DECLARATORIA D’INCOSTITUZIONALITÀ SU UN GIUDIZIO IN CORSO – EFFETTI SU ATTO AMMINISTRATIVO 

    SOPRAVVENUTA DECLARATORIA D’INCOSTITUZIONALITÀ SU UN GIUDIZIO IN CORSO – EFFETTI SU ATTO AMMINISTRATIVO

    TAR CAMPANIA, NAPOLI, SEZ. V – sentenza 19 Luglio 2018, n. 4844

    Non osta all’applicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 22 del 9.2.2018 alla presente controversia il fatto che la stessa sia successiva al provvedimento gravato (emesso il 26.1.2018) in quanto in base al combinato disposto dell’art. 136 Cost. e dell’art. 30 l. 11 marzo 1953 n. 87, la pronuncia di illegittimità costituzionale di una norma di legge determina la cessazione della sua efficacia erga omnes ed impedisce, dopo la pubblicazione della sentenza, che essa possa essere applicata ai rapporti, in relazione ai quali la norma dichiarata incostituzionale risulti ancora rilevante, stante l’effetto retroattivo dell’annullamento, escluso solo per i c.d. rapporti esauriti.

    Nel caso in cui, sulla base di una norma poi dichiarata incostituzionale, sia stato emanato un atto amministrativo, la declaratoria di illegittimità non determina la caducazione automatica dell’atto dell’autorità, quanto piuttosto l’illegittimità o invalidità sopravvenuta dello stesso, che dovrà essere rimosso, anche a seguito di rilievo ex officio, da una pronuncia del giudice titolare del potere di annullamento o da un provvedimento adottato in via di autotutela dall’Amministrazione; ciò in quanto non esiste tra legge e atto amministrativo un rapporto di consequenzialità, essendo essi il risultato di differenti procedimenti – indipendentemente dall’influenza che l’uno possa esercitare sull’altro – ed espressione di differenti e autonome funzioni dello Stato.

    Massima a cura dell’avv. Benedetta Leone e del dott. Aniello Polise

    Pubblicato il 19/07/2018

    04844/2018 REG.PROV.COLL.

    01970/2018 REG.RIC.

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    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

    (Sezione Quinta)

    ha pronunciato la presente

    SENTENZA

    ex art. 60 cod. proc. amm.;
    sul ricorso in riassunzione numero di registro generale 1970 del 2018, proposto da
    ……….., rappresentato e difeso dall’avvocato ……, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in …….., con indirizzo digitale ….;

    contro

    Ministero dell’Interno – Ufficio Territoriale del Governo Napoli, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, presso la quale è domiciliato ex lege in Napoli, via Armando Diaz 11, indirizzo digitale napoli@mailcert.avvocaturastato.it;

    per l’annullamento

    previa sospensione dell’efficacia

    del provvedimento prefettizio prot. n. 856 del 26.1.2018 di revoca della patente di guida, adottato ai sensi dell’art. 120 del D. Lgs. 30.04.1992, n. 285 (codice della strada).

    Visti il ricorso e i relativi allegati;

    Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ufficio Territoriale del Governo – Prefettura di Napoli;

    Vista l’ordinanza del 30.4.2018, con cui il Tribunale di Napoli, 10^ Sezione civile, in funzione di giudice monocratico, ha dichiarato il difetto di giurisdizione dell’A.G.O. sulla presente controversia, e l’atto di riassunzione depositato dal ricorrente il 17.5.2018;

    Visti tutti gli atti della causa;

    Relatore nella camera di consiglio del giorno 18 giugno 2018 il dott. Pierluigi Russo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

    Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

    Premesso che oggetto del presente giudizio è il decreto, in epigrafe specificato, con cui la Prefettura di Napoli, ai sensi dell’art. 120 del codice della strada, ha revocato la patente di guida cat. D, in precedenza rilasciata al ricorrente, in quanto con sentenza n. 1315 del 19.2.2015, irrevocabile il 7.3.2015, della Corte di Appello di Napoli, sez. III, l’instante è stato condannato a sette anni di reclusione (pena già espiata in sede cautelare) per il reato previsto e punito dall’art. 73, del d.P.R. n. 309 del 1990;

    Ritenuto che sussistono i presupposti stabiliti dall’art. 60 del cod. proc. amm. per la definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata, palesandosi la manifesta fondatezza del gravame in relazione al primo motivo dedotto, con cui l’interessato ha lamentato che il gravato provvedimento non è supportato da alcuna motivazione, essendo stato adottato (in data 26.1.2018) senza potere tener conto della sentenza della Corte Costituzionale n. 22 del 9.2.2018 con cui, tra l’altro, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 120, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come sostituito dall’art. 3, comma 52, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), nella parte in cui – con riguardo all’ipotesi di condanna per reati di cui agli artt. 73 e 74 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), che intervenga in data successiva a quella di rilascio della patente di guida – dispone che il prefetto «provvede», invece che «può provvedere», alla revoca della patente;

    Premesso che l’art. 120 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come sostituito dall’art. 3, comma 52, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), sotto la rubrica «Requisiti morali per ottenere il rilascio dei titoli abilitativi di cui all’art. 116», nei suoi commi 1, 2 e 3, così testualmente dispone:

    «1. Non possono conseguire la patente di guida i delinquenti abituali, professionali o per tendenza e coloro che sono o sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali […], le persone condannate per i reati [in materia di stupefacenti] di cui agli artt. 73 e 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi […]»;

    «2. […] se le condizioni soggettive indicate al primo periodo del comma 1 del presente articolo intervengono in data successiva al rilascio, il prefetto provvede alla revoca della patente di guida. La revoca non può essere disposta se sono trascorsi più di tre anni dalla data […] del passaggio in giudicato della sentenza di condanna per i reati indicati al primo periodo del medesimo comma 1»;

    «3. La persona destinataria del provvedimento di revoca di cui al comma 2 non può conseguire una nuova patente di guida prima che siano trascorsi almeno tre anni».

    Considerato che, per quanto d’interesse nel presente giudizio, con l’evocata pronuncia n. 22 del 2018, la Consulta ha reputato fondata la questione relativa all’automatismo della revoca della patente – da parte dell’autorità amministrativa, in caso di sopravvenuta condanna del suo titolare, per reati in materia di stupefacenti – per violazione dei principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., sulla base delle seguenti osservazioni:

    – “La disposizione denunciata – sul presupposto di una indifferenziata valutazione di sopravvenienza di una condizione ostativa al mantenimento del titolo di abilitazione alla guida – ricollega, infatti, in via automatica, il medesimo effetto, la revoca di quel titolo, ad una varietà di fattispecie, non sussumibili in termini di omogeneità, atteso che la condanna, cui la norma fa riferimento, può riguardare reati di diversa, se non addirittura di lieve, entità. Reati che, per di più, possono (come nella specie) essere assai risalenti nel tempo, rispetto alla data di definizione del giudizio. Il che dovrebbe escluderne l’attitudine a fondare, nei confronti del condannato, dopo un tale intervallo temporale, un giudizio, di assenza dei requisiti soggettivi per il mantenimento del titolo di abilitazione alla guida, riferito, in via automatica, all’attualità”;

    – “Ulteriore profilo di irragionevolezza della disposizione in esame è, poi, ravvisabile nell’automatismo della “revoca” amministrativa rispetto alla discrezionalità della parallela misura del “ritiro” della patente che, ai sensi dell’art. 85 del d.P.R. n. 309 del 1990, il giudice che pronuncia la condanna per i reati in questione «può disporre», motivandola, «per un periodo non superiore a tre anni». È pur vero che tali due misure – come già evidenziato – operano su piani diversi e rispondono a diverse finalità. Ma la contraddizione non sta nel fatto che la condanna per reati in materia di stupefacenti possa rilevare come condizione soggettiva ostativa al mantenimento del titolo di abilitazione alla guida, agli effetti della sua revocabilità da parte dell’autorità amministrativa, anche quando il giudice penale (non ritenendo che detto titolo sia strumentale al reato commesso o che possa agevolare la commissione di nuovi reati) decida di non disporre (ovvero disponga per un più breve periodo) la sanzione accessoria del ritiro della patente. La contraddizione sta, invece, in ciò che – agli effetti dell’adozione delle misure di loro rispettiva competenza (che pur si ricollegano al medesimo fatto-reato e, sul piano pratico, incidono in senso identicamente negativo sulla titolarità della patente) – mentre il giudice penale ha la “facoltà” di disporre, ove lo ritenga opportuno, il ritiro della patente, il prefetto ha invece il “dovere” di disporne la revoca”;

    Rilevato che nel caso di specie l’autorità emanante non ha effettuato alcuna valutazione dei suddetti elementi attraverso una motivazione idonea ad esplicitarne l’iter logico, atteso che il decreto in questione risulta adottato sulla base della sola sentenza di condanna sopra indicata, sul presupposto della natura vincolata dell’atto, in precedenza riconosciuta dalla giurisprudenza in simili fattispecie (con conseguente devoluzione alla cognizione del giudice ordinario: cfr. T.A.R. Campania, sez. V, 20.2.2018, n. 1105; 16.2.2018, n. 1044; Cassazione civile, Sezioni unite, 14 maggio 2014, n. 10406; 6 febbraio 2006, n. 2446; cfr., altresì, l’ordinanza del 30.4.2018, con cui il Tribunale di Napoli, 10^ Sezione civile, in funzione di giudice monocratico, ha dichiarato il difetto di giurisdizione dell’A.G.O. sulla presente controversia, poi riassunta col ricorso in epigrafe);

    Ritenuto che non osta all’applicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 22 del 9.2.2018 alla presente controversia il fatto che la stessa sia successiva al provvedimento gravato (emesso il 26.1.2018) in quanto, come chiarito dalla giurisprudenza (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 8 giugno 2016, n. 2898; Consiglio di Stato, sez. IV, 3 novembre 2015 n. 5012; id. sez. V, 11 gennaio 2013, n. 110), condivisa dal Collegio:

    – in base al combinato disposto dell’art. 136 Cost. e dell’art. 30 l. 11 marzo 1953 n. 87, la pronuncia di illegittimità costituzionale di una norma di legge determina la cessazione della sua efficacia erga omnes ed impedisce, dopo la pubblicazione della sentenza, che essa possa essere applicata ai rapporti, in relazione ai quali la norma dichiarata incostituzionale risulti ancora rilevante, stante l’effetto retroattivo dell’annullamento, escluso solo per i c.d. rapporti esauriti;

    – in particolare, nel caso in cui, sulla base di una norma poi dichiarata incostituzionale, sia stato emanato un atto amministrativo, la declaratoria di illegittimità non determina la caducazione automatica dell’atto dell’autorità, quanto piuttosto l’illegittimità o invalidità sopravvenuta dello stesso, che dovrà essere rimosso, anche a seguito di rilievo ex officio, da una pronuncia del giudice titolare del potere di annullamento o da un provvedimento adottato in via di autotutela dall’Amministrazione; ciò in quanto non esiste tra legge e atto amministrativo un rapporto di consequenzialità, essendo essi il risultato di differenti procedimenti – indipendentemente dall’influenza che l’uno possa esercitare sull’altro – ed espressione di differenti e autonome funzioni dello Stato;

    – affinché il giudice possa procedere alla caducazione dell’atto divenuto illegittimo a seguito di successiva declaratoria di illegittimità costituzionale, è necessario che l’atto sia stato tempestivamente impugnato, in quanto, seppure sia fuori di dubbio che la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma abbia rilevanza nei processi in corso, essa, però, non incide sugli effetti irreversibili già prodottisi, poiché la retroattività degli effetti della dichiarazione di incostituzionalità incontra un limite negli effetti che la norma, ancorché successivamente rimossa dall’ordinamento, abbia irrevocabilmente prodotto qualora resi intangibili dalla preclusione nascente o dall’esaurimento dello specifico rapporto giuridico disciplinato dalla norma espunta dall’ordinamento giuridico oppure dal maturare di prescrizioni o decadenze ovvero, ancora, dalla formazione del giudicato. Questo perché, nel caso di sopravvenuta illegittimità costituzionale della norma posta a base del potere esercitato è necessario, sul piano processuale, coordinare il principio della rilevabilità d’ufficio della questione di costituzionalità con il principio della domanda che caratterizza il processo amministrativo. In particolare, è necessario che il ricorrente abbia impugnato il provvedimento amministrativo, facendo valere, mediante la formulazione di censure, la sua illegittimità per contrasto con la norma, senza che sia peraltro necessario avere anche indicato, tra i motivi, l’illegittimità costituzionale della norma;

    – nel caso di specie, come si è anticipato, oltre ad impugnare tempestivamente il decreto prefettizio, l’odierno ricorrente ha vieppiù dedotto l’incostituzionalità della norma posta a base della potestà esercitata, riconosciuta fondata dalla Consulta;

    Reputato che il carattere assorbente del vizio dispensa il Collegio dall’esame delle restanti censure, tenuto anche conto di quanto disposto dall’art. 34, comma 2, c.p.a. circa il divieto per il giudice di pronunciare in merito al successivo riesercizio del potere;

    Ritenuto, in conclusione, di accogliere il ricorso, con l’annullamento dell’atto impugnato;

    Ritenuto, in ragione della novità della questione, di poter compensare eccezionalmente le spese di giudizio, fatto salvo il contributo unificato, che per legge va posto a carico del Ministero dell’Interno.

    P.Q.M.

    Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’impugnato provvedimento di revoca della patente.

    Spese compensate.

    Il contributo unificato va posto per legge a carico del Ministero dell’Interno soccombente.

    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

    Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del 18 giugno 2018 con l’intervento dei magistrati:

    Santino Scudeller, Presidente

    Pierluigi Russo, Consigliere, Estensore

    Gabriella Caprini, Consigliere

     
     
    L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
    Pierluigi Russo Santino Scudeller

    IL SEGRETARIO

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