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PATENTINO RIVENDITA GENERI MONOPOLI – POTERE DISAPPLICAZIONE GIUDICE AMMINISTRATIVO

    TAR CAMPANIA, NAPOLI,SEZ. III – sentenza 18 maggio 2016, n. 2548

    Patentino rivendita generi monopoli – potere disapplicazione giudice amministrativo

    Il Giudice Amministrativo può disporre la disapplicazione di un regolamento comunale, in applicazione delle regole sulla gerarchia delle fonti, quando si tratti di dare tutela ad un diritto soggettivo in sede di giurisdizione esclusiva, ovvero nei peculiari casi in cui il ricorso, in sede di giurisdizione di legittimità, va respinto perché l’atto impugnato, pur ponendosi in contrasto con una invocata norma regolamentare, risulti conforme alla legge, rispetto alla quale risulti cioè illegittimo il regolamento

     

    N. 02548/2016 REG.PROV.COLL.

    N. 02850/2014 REG.RIC.

    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

    (Sezione Terza)

    ha pronunciato la presente

    SENTENZA

    sul ricorso numero di registro generale 2850 del 2014, proposto da:
    P.B., rappresentato e difeso dagli avv. …, ….., con domicilio eletto presso … in Napoli, Via … N. ….;

    contro

    Agenzia delle Dogane e dei Monopoli-Area Monopoli-Ufficio Regionale della Campania, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli e con essa domiciliati in Napoli, Via Diaz, 11;

    per l’annullamento

    della disposizione dirigenziale n.19974/2014 con la quale l’Agenzia delle dogane e dei monopoli-ufficio regionale della Campania di Napoli ha respinto la richiesta di concessione del patentino per la vendita di generi di monopolio da ubicarsi in Massa Lubrense c/o il bar/ristorante …..

    Visti il ricorso e i relativi allegati;

    Visto l’atto di costituzione in giudizio di Agenzia delle Dogane e dei Monopoli;

    Viste le memorie difensive;

    Visti tutti gli atti della causa;

    Relatore nell’Udienza pubblica del giorno 22 marzo 2016 il Consigliere Alfonso Graziano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

    FATTO e DIRITTO

    1.1. Con il ricorso in epigrafe, depositato il 28.5.2014 il ricorrente, titolare dell’esercizio di bar/ristorante/pensione “….” in Massa Lubrense, impugna la disposizione dirigenziale n. 19974 del 18.3.2014 con la quale il Direttore dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli – Ufficio regionale della Campania – Napoli, ha respinto la sua istanza del 13.8.2013 intesa alla concessione di un patentino per la vendita di tabacchi lavorati a beneficio del predetto esercizio commerciale sulla scorta di una prima comunicazione dei motivi ostativi ex art. 10 – bis, L. n. 241 del 1990 in data 29.10.2013 prot. 76550 che ravvisava una, invero recessiva, ragione di diniego nella sussistenza di cause di esclusione ex art. 6, L. n.1293/1957 (pregiudizi penali e di polizia) e poi del’ulteriore comunicazione di preavviso di rigetto del 10.1.2014 prot. 1561 che aggiungeva l’ulteriore circostanza ostativa individuata nella bassa redditività dell’esercizio, preclusiva dell’assentimento del patentino in forza della prescrizione di cui all’art. 7, co. 3, lett. e) del D.M. 21.2.2013, n. 38. Solo alla prima delle due comunicazioni preventive citate il ricorrente controdeduceva con osservazioni del 7.11.2013 (doc. 3 produzione ricorrente) valutate inidonee a confutare i comunicati primi motivi di diniego.

    1.2. L’agenzia delle Dogane depositava per il tramite dell’Avvocatura di Stato il 3.11.2014 la relazione di servizio del 18.6.2014 prot. 49865 del dirigente dell’Ufficio di Napoli che aveva adottato l’impugnato diniego, con varia documentazione allegata consistente negli atti dell’istruttoria e in particolare nelle predette controdeduzioni procedimentali e allegati certificato dei carichi pendenti e del casellario giudiziale nonché nella documentazione prodotta dall’istante a corredo della domanda, nelle dichiarazioni dei redditi Unico 2012 e Modello IVA 2012 nonché nel certificato generale del casellario giudiziale acquisito dall’Amministrazione il 23.10.2013 da cui risultano ben 11 provvedimenti penali (tra decreti e sentenze penali di condanna delle quali due d’appello confermative di quelle di primo grado) e la sentenza del Tribunale di Napoli del 21.1.1993 dichiarativa di fallimento, peraltro seguita da quella del Tribunale di Torre Annunciata del 19.8.2007 concessiva della riabilitazione.

    Il ricorrente produceva memoria difensiva il 2.2.2016.

    Alla pubblica Udienza del 22 marzo 2016 sulle conclusioni delle parti il ricorso è stato ritenuto in decisione.

    2.1.Per ragioni di comodità e di tecnica espositiva e motivazionale conviene procedere allo scrutinio del terzo motivo di ricorso con il quale il ricorrente lamenta difetto di istruttoria, ingiustizia manifesta del gravato diniego principiando dall’erroneo assunto che la valutazione che l’Agenzia resistente doveva compiere nell’esaminare la sua istanza “non può che basarsi sull’orario prolungato dell’esercizio rispetto a quello delle rivendite circostanti, sul giorno di riposo settimanale praticato dall’esercizio in un giorno diverso da quello delle rivendite ordinarie più vicine” nonché sull’osservanza della distanza minima di 100 metri dalla più vicina di esse, valutazione da svolgere ai sensi dell’art. 24, co. 42, D.L. n. 98/2011 “in relazione alla natura complementare e non sovrapponibile” dei patentini “stessi rispetto alle rivendite di generi di monopoli” giusta il disposto di tale norma primaria ed in linea con la Circolare ministeriale n. 04/63406 del 25.9.2001, titolo V, lett. A), conseguendone l’illegittimità del provvedimento impugnato in quando fondato su “un’istruttoria del tutto carente che non ha tenuto conto dei predetti “legittimi” elementi ritenuti essenziali e sufficienti dall’ormai costante orientamento giurisprudenziale in materia”(ricorso, pag. 11).

    2.2. La censura è infondata in punto di diritto e verosimilmente è frutto della decentrata prospettazione difensiva svolta con il motivo secondo, inteso a provocare dalla Sezione la disapplicazione del D.M. 21.2.2013, n, 38 emanato in esecuzione ed attuazione dell’art. 24, co. 42 del D.L. 7.7.2011 n..98, convertito con la l. 15.7.2011 n. 111 e ossequioso dei principi e criteri direttivi dal legislatore impartiti con l’art. 24 comma 42 citato.

    Disapplicazione argomentata dal deducente rilevando profili di contrasto del decreto ministeriale con il c.d. decreto Salva Italia e in particolare con l’art. 34, commi 2 e 3, discendendone la restrittività eccessiva delle attività economiche determinata dalle varie disposizioni condizionanti il rilascio patentini recate dal D.M. n. 38/2013, nonché con il co.5 dell’art. 34 dell’invocato decreto Salva Italia per non essere stato trasmesso il testo del D.M. in questione all’Autorità garante della concorrenza e del mercato come stabilirebbe, invece, la citata ultima norma.

    A cagione della sostenuta illegittimità del D.M. n. 38/2013 il ricorrente coerentemente, deriva l’assunto su cui fonda il terzo motivo in disamina, secondo cui l’Agenzia delle dogane e dei monopoli avrebbe dovuto valutare la sua istanza di rilascio del patentino alla luce solo del criterio della complementarietà del servizio e della non sovrapponibilità alle rivendite nonché dei fattori contemplati dalla pregressa e ormai inoperante circolare del 25.9.2001, quali l’orario prolungato dell’esercizio oggetto della domanda di patentino rispetto a quello delle rivendite circostanti, il giorno di riposo settimanale praticato in un giorno diverso da quello delle rivendite ordinarie più vicine” e l’osservanza della distanza minima di 100 metri dalla più vicina di esse.

    2.3. Sennonché, oppone il Collegio, non potendo avere ingresso ed essere esaminata la domanda di disapplicazione del D.M. n. 38/2013 in quanto inammissibile (per le ragioni appresso illustrate), i requisiti, le condizioni e i presupposti che l’amministrazione deve accertare in capo al richiedente il patentino e alla sua struttura commerciale (con valutazione quindi in personam ed in rem) sono tutti quelli definiti all’art. 7 del DM.. 21.2.2013, n. 38 e non quelli, recte non soltanto quelli già indicati nelle disposizioni generali – e da esse poi migrate nel nuovo regolamento,in particolare quelle sul giorno settimanale di riposo, sull’orario prolungato dell’esercizio, sulla distanza non inferiore a 100 metri dell’esercizio dalla più vicina rivendita: lettere a),b),c) dell’art. 7, co.3, D.M.cit. – spesso impartite mediante circolari dall’Azienda autonoma dei monopoli di Stato e tra le quali va annoverata quella del 25.9.2001 invocata dal ricorrente e non più vigente.

    Ebbene, tra le nuove norme dettate con il ridetto D.M. n. 38 del 2013 emerge quella declinata alla lett. e) del comma 3 del’art. 7 del Decreto, concernente la “redditività dell’esercizio, prodotta negli ultimi ventiquattro mesi, valutata dalle dichiarazioni dei redditi ed IVA” oltre che dagli scontrini fiscali o biglietti di accesso quotidiani.

    2.4. A tale specifico riguardo, con il provvedimento impugnato si motiva il diniego di concessione del patentino de quo a causa della “bassa redditività come emerge peraltro dalla dichiarazioni fiscali esibite dalla richiedente” correttamente richiamandosi nel capoverso precedente “il D.M. n. 38/2013 ed in particolare gli artt. 7 e 8, che prescrivono specifici criteri per il rilascio dei patentini”.

    Nella comunicazione dei motivi ostativi del 10.1.2014, prot. 1561 (allegata alla relazione di servizio del dirigente prodotta dall’Avvocatura di Stato il 3.11.2014) il responsabile del procedimento della resistente Agenzia, peraltro, già illustrava all’odierno ricorrente la ragione del rigetto poi refluita nel provvedimento conclusivo odiernamente impugnato, precisandola nella “Bassa redditività ex art. 7, comma 3, lettera e), del DM n. 38/2013”.

    Il ricorrente non ha presentato osservazioni controdeduttive alla predetta comunicazione del preannunciato rigetto, essendosi limitato a controdedurre solo alla prima comunicazione del 24.10.2013 relativa ai pregiudizi penali.

    Né, del resto, ha svolto alcuna censura avverso la delineata dirimente causa del rigetto della sua istanza con il ricorso in scrutinio, non contrastando minimamente la conclusione raggiunta dall’Amministrazione sul punto ed eretta a decisiva giustificazione dell’impugnato provvedimento di diniego.

    Ragion per cui il terzo motivo appena scrutinato, oltre che infondato in punto di diritto per le considerazioni poc’anzi esposte in ordine alla esistenza di altre norme disciplinanti i criteri, i requisiti, i presupposti e le condizioni a cui è subordinato il rilascio dei patentini e, segnatamente, delle disposizioni di cui all’art. 7 del D.M. n. 38/2013 in disamina che ha introdotto nuove prescrizioni oltre quelle poche tramandate dalla circolare del 25.9.2001 ed in esso trasfuse, si prospetta inammissibile poiché non espone alcuna doglianza e non svolge alcun argomento, neanche in punto di fatto, avverso la bassa redditività dell’esercizio desunta dalle dichiarazioni fiscali prodotte dallo stesso richiedente, ragione costituente da sola, autonoma e sufficiente motivazione del provvedimento di diniego gravato.

    2.5. Per contro, l’Amministrazione, con la richiamata relazione di servizio del 18.6.2014 ha illustrato le ragioni della bassa redditività risultante dalle stesse dichiarazioni fiscali prodotte dal richiedente, chiarendo che “risulta determinante la rilevante frequentazione del locale proposto, al fine di verificare le effettive esigenze di servizio in quel determinato contesto. Orbene, dalle dichiarazioni dei redditi esibite dal ricorrente sono emersi per gli anni 2011 e 2012 ricavi (ovvero volumi di affari) pari rispettivamente a 22.350 euro e a 32.821,00 euro” e che tali cifre, “se rapportate alla triplice attività dichiarata (bar – ristorante – pensione) denotano oggettivamente una modesta affluenza di avventori (peraltro non tutti fumatori) risolvendosi in un incasso giornaliero di circa 62 euro per l’anno 2011 e di circa 90 euro per l’anno 2012”, proseguendo nel senso che “la conclusione da trarre, quindi, è che in mancanza di pubblico deve mancare pure il servizio anche in rapporto alla totale insussistenza di vantaggi rispetto ai sottesi interessi erariali”.

    2.6. Inconferente poi è l’assunto finale di cui alla terzultima pagina del ricorso, secondo cui l’amministrazione “non ha verificato la sussistenza di quelle “effettive esigenze di pubblico servizio” necessarie per istituire un patentino, volute dalla normativa vigente in materia … l’Amministrazione avrebbe dovuto condurre una valutazione di merito, di opportunità sulla sussistenza o meno di particolari esigenze di pubblico servizio” .

    Basti al Collegio rilevare la radicale non pertinenza di tale rilievo e la conseguente non necessità della pretesa valutazione nel caso in esame, contraddistinto proprio dalla circostanza negativa della mancata concessione del patentino che rendeva non richiesta siffatta valutazione delle esigenze di pubblico servizio, la quale è richiesta nell’opposto caso del positivo rilascio.

    3.La delineata natura dirimente della ragione di diniego individuata nel provvedimento nella bassa redditività dell’esercizio e la sua attitudine a giustificare da sola la negativa determinazione assunta dall’amministrazione sull’istanza de deducente, pongono in luce l’inammissibilità per difetto di interesse della censura svolta con il primo motivo ed appuntata sulla contestazione dell’altra causa del rigetto, invero recessiva, concernente la sussistenza delle cause di esclusione di cui all’art. 6 della L. n. 1293/1957 (pregiudizi penali).

    Invero, anche qualora il Tribunale giudicasse fondata la doglianza ed eliminasse conseguentemente dal provvedimento alla sua attenzione la predetta ragione del diniego, giammai potrebbe annullare il provvedimento impugnato, essendo esso comunque giustificato in forza dell’altra divisata ragione di rigetto, dirimente ed autonomamente idonea a reggerlo, e consistente nel rilievo della bassa redditività dell’esercizio, non fatto oggetto di censura e risultato comunque immune dalle doglianze di cui al terzo motivo, infondate, inconferenti ed in radice inammissibili siccome non direzionate contro la ridetta rilevata bassa redditività.

    Il Tribunale è, infatti, al cospetto di un provvedimento sussumibile nel novero dei c.d. provvedimenti plurimotivati, ossia fondati su più motivi, ciascuno dei quali idoneo a giustificare la decisione assunta dall’amministrazione, ragion per cui nel caso, come quello all’esame, di provvedimento plurimotivato, la giurisprudenza è costante nell’affermare che “allorché sia controversa la legittimità di un provvedimento fondato su una pluralità di ragioni di diritto tra loro indipendenti, l’accertamento dell’inattaccabilità anche di una sola di esse vale a sorreggere il provvedimento stesso, sì che diventano, in sede processuale, inammissibili per carenza di interesse le doglianze fatte valere avverso le restanti ragioni” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 30.5.2005, n. 2767; in termini anche T.A.R. Liguria, Sez. I, 17.3.2006, n. 252; T.A.R Basilicata, Sez. I, 28.6.2010, n. 456) soccorrendo, infatti, “al riguardo il consolidato principio secondo il quale, laddove una determinazione amministrativa di segno negativo tragga forza da una pluralità di ragioni, ciascuna delle quali sia di per sé idonea a supportarla in modo autonomo, è sufficiente che anche una sola di esse passi indenne alle censure mosse in sede giurisdizionale perché il provvedimento nel suo complesso resti esente dall’annullamento”(Consiglio di Stato, Sez. VI, 5.7.2010, n. 4243).

    Anche la Sezione si è posta negli stessi sensi (T.A.R. Campania – Napoli, Sez. III, 9.7.2012 n. 3300 e T.A.R. Campania – Napoli, Sez. III, 27.9.2013 n. 4450) e più di recente ha ribadito che “In caso di provvedimento plurimotivato, il rigetto di doglianza volta a contestare una delle ragioni giustificatrici comporta la carenza di interesse della parte ricorrente all’esame delle ulteriori doglianze volte a contestare le altre ragioni giustificatrici, atteso che, seppur tali ulteriori censure si rivelassero fondate, il loro accoglimento non sarebbe comunque idoneo a soddisfare l’interesse del ricorrente ad ottenere l’annullamento del provvedimento impugnato, che resterebbe supportato dall’autonomo motivo riconosciuto sussistente” (T.A.R. Campania – Napoli, sez. III, 22/10/2015, n. 4972) ed inattaccabile.

    4.1. Con il secondo mezzo il ricorrente lamenta l’illegittimità del D.M. 21.2.2013, n. 38 per ritenuta violazione di norme primarie di legge, in specie dell’art. 34 del D.L. 6.12.2011, n. 201 (decreto Salva Italia) che all’art. 34 sancisce il principio della libertà di accesso, organizzazione e svolgimento della disciplina delle attività economiche, ragion per cui le condizioni fissate dal citato decreto per il rilascio dei patentini, in particolare quelle sull’ubicazione e la dimensione dello esercizio nonché sulla redditività dello stesso, prodotta negli ultimi ventiquattro mesi, si configurerebbero come ultronee e più restrittive di rispetto a quanto previsto dall’art. 24, co. 42 del D.L. n. 98/2011 (impropriamente definito “legge delega”).

    Il ricorrente, dunque, anziché formalmente impugnare il regolamento di cui al D.M. n. 38/2013 si limita a chiederne a questo Tribunale la disapplicazione argomentata, come avvertito, rilevando profili di contrasto con il c.d. decreto Salva Italia e in particolare con l’art. 34, commi 2 e 3 e con la conseguente eccessiva restrizione delle attività economiche determinata dalle varie disposizioni condizionanti il rilascio patentini recate dal censurato D.M. nonché con il co.5 dell’art. 34 dell’invocato D.L. n.201/2011 per non essere stato trasmesso il testo del D.M. in questione all’Autorità garante della concorrenza e del mercato come stabilirebbe, invece, la citata ultima norma.

    La richiesta processuale è poi e formulata ai sensi dell’art. 5 della L. 20.3.1865, n. 2248, All. E.

    4.2. Il motivo è inammissibile, sia perché l’art. 5, L. n. 2248/1865, All. E al quale è ancorata la domanda, prevede solo la disapplicazione del provvedimento illegittimo da parte del giudice ordinario e non certo del giudice amministrativo, sia poiché, correlativamente, nella giurisdizione di legittimità a tutela del’interesse legittimo, non è contemplata dalle norme processuali, né ammessa, nel vigore del nuovo codice del processo amministrativo, in via di interpretazione estensiva o analogica dalla giurisprudenza, la disapplicazione di un atto amministrativo generale o addirittura normativo di natura regolamentare, non impugnato.

    Rammenta al riguardo la Sezione che la Legge – 20/03/1865, n.2248 nello stabilire all’art. 4 che “ Quando la contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto dell’autorità amministrativa, i tribunali si limiteranno a conoscere degli effetti dell’atto stesso in relazione all’oggetto dedotto in giudizio.” e all’art. 5 che “In questo, come in ogni altro caso, le autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi” contempla il potere di disapplicazione dell’atto amministrativo solo da parte del giudice ordinario allorchè egli per pronunciare su di un diritto soggettivo, si imbatta in un provvedimento amministrativo che ove ritenga illegittimo non può annullare, potendo e dovendo decidere la controversia ricorrendo ad una sorta di fictio di inesistenza dell’atto stesso, legittimata con l’attribuzione, di cui all’art. 4, del compito di conoscere degli effetti del’atto stesso in relazione all’oggetto dedotto in giudizio.

    Le suddette disposizioni, impropriamente invocate dal ricorrente, non definiscono certo il potere di disapplicazione da parte del giudice amministrativo relativamente ad un atto non impugnato ed un tale potere è da intendersi limitato anche per il giudice ordinario ai soli casi in cui l’atto venga in rilevo quale presupposto logico-giuridico del diritto fatto valere ma mai come suo fondamento.

    Le Sezioni Unite hanno infatti di recente puntualizzato in proposito che “ Il potere di disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo da parte del giudice ordinario non può essere esercitato nei giudizi in cui sia parte la P.A., ma unicamente nei giudizi tra privati e nei soli casi in cui l’atto illegittimo venga in rilievo, non già come fondamento del diritto dedotto in giudizio, bensì come mero antecedente logico, sicché la questione venga a prospettarsi come pregiudiziale in senso tecnico” (Cassazione Civile sez. un., 6 febbraio 2015 n. 2244 ).

    Non è stato mai posto in dubbio che la norma in argomento non istituisca a favore del giudice amministrativo, nell’ambito della giurisdizione generale di legittimità, un potere di disapplicazione di un atto o provvedimento amministrativo non impugnato, non essendo consentita una cognizione meramente incidentale ed un vaglio di legittimità di un provvedimento non impugnato, ammettendosi in via eccezionale la disapplicazione unicamente quando venga azionata nell’ambito della giurisdizione esclusiva una posizione avente consistenza di diritto soggettivo riconducibile ad una norma di legge ed inciso da una norma regolamentare con essa contrastante oppure quando, nella giurisdizione generale di legittimità il ricorso avverso l’atto applicativo di un regolamento debba essere respinto perché lo stesso sia conforme alla legge ma contrastante con il regolamento a sua volta difforme dalla legge.

    Si è in tal senso di recente chiarito che “Il giudice amministrativo può disporre la disapplicazione di un regolamento comunale, in applicazione delle regole sulla gerarchia delle fonti, quando si tratti di dare tutela ad un diritto soggettivo in sede di giurisdizione esclusiva, ovvero nei peculiari casi in cui il ricorso, in sede di giurisdizione di legittimità, va respinto perché l’atto impugnato, pur ponendosi in contrasto con una invocata norma regolamentare, risulti conforme alla legge, rispetto alla quale risulti cioè illegittimo il regolamento” (Consiglio di Stato sez. V ,3 febbraio 2015 n. 515 ). Opzione già espressa dal giudice di primo grado, secondo cui “come chiarito da condivisa giurisprudenza, il giudice amministrativo può disporre la disapplicazione di un regolamento, in applicazione delle regole sulla gerarchia delle fonti, nei casi in cui l’atto impugnato, pur ponendosi in contrasto con una invocata norma regolamentare, risulti conforme alla legge” (.T.A.R. Puglia – Bari, Sez. I, 22.4.2015 n. 629).

    Nel caso all’esame, posto che non si versa in materia di giurisdizione esclusiva e di tutela di un diritto soggettivo, non ricorre neanche l’ipotesi di contrarietà del’atto impugnato al regolamento ma di sua conformità alla legge, di talché sia il regolamento a dover essere valutato sul piano della legittimità in rapporto alla legge e conseguentemente disapplicato, atteso che il provvedimento gravato è conforme al regolamento di cui al D.M. n. 38/2013.

    4.3. Segnala anche il Collegio che sempre in via eccezionale è consentito al giudice amministrativo disapplicare un regolamento, ovverosia nella ben precisa circostanza in cui esso contrasti frontalmente con la norma di legge.

    Si è in proposito di recente rammentato ( Consiglio di Stato, sez. IV, 8/02/2016, n. 475) come si affermi, infatti, che al GA. “è consentito disapplicare, ai fini della decisione sulla legittimità del provvedimento amministrativo, la norma secondaria di regolamento, qualora essa contrasti in termini di palese contrapposizione con il disposto legislativo primario (cfr. fra le tante Cons. Stato, V 26/9/2013 n. 4778, Sez. VI, 29/5/2008, n. 2535 e 3/10/2007, n. 5098)” evenienza che all’evidenza non può ravvisarsi relativamente al contrasto, ipotizzato dal ricorrente, tra il D.M. n. 38/2013 e le disposizioni generali e di principio recate dall’art. 34, comma 2 del D.L. n. 201/2011 per il quale “La disciplina delle attività economiche e’ improntata al principio di libertà di accesso, di organizzazione e di svolgimento” contestualmente peraltro precisando l’invocata norma di rango primario che sono “fatte salve le esigenze imperative di interesse generale, costituzionalmente rilevanti e compatibili con l’ordinamento comunitario”.

    Il preteso contrasto è dunque eventualmente operante non in termini di palese e frontale collisione tra disposizioni determinate e di dettaglio situate in un testo regolamentare rispetto ad altre parimenti dettagliate e determinate recate invece da un articolato normativo sovraordinata nella gerarchia delle fonti, bensì a livello dei principi regolatori della disciplina delle attività economiche, assunte in conflitto con la specifica e settoriale normativa regolamentare in materia di prodotti da fumo, non certo neutri e indifferenti per i consumatori e la loro salute al pari di un indifferenziato e generico settore merceologico qualsiasi.

    Anche la Sezione si è già pronunciata nei medesimi sensi chiarendo sia pur in materia di omessa impugnazione di un atto presupposto (di demolizione rispetto a quello conseguenziale di acquisizione), che “ L’impugnativa dell’acquisizione gratuita non preceduta dal ricorso avverso l’ordinanza di demolizione relativa ad un’opera abusiva, comporta che non possano essere denunciati vizi di tale atto in sede di gravame avverso l’atto applicativo che lo richiami, non essendo consentita al giudice amministrativo la disapplicazione incidentale di un atto presupposto non avente natura autoritativa, cosicché va dichiarato inammissibile il gravame avverso il provvedimento di accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione e di acquisizione al patrimonio comunale della costruzione abusiva e dell’area di sedime nel caso di mancata impugnazione dell’ingiunzione a demolire, a meno che non si facciano valere vizi propri degli atti in questione”. (T.A.R. Campania Napoli, Sez. III, 3 febbraio 2015 n. 640 ).

    Ragion per cui non vi è spazio per l’esercizio del potere di disapplicazione da parte di questo giudice nella fattispecie per cui è controversia.

    Ma in disparte le appena delineate sottili evenienze eccezionali, va rimarcato che nel caso al vaglio del Tribunale si fa questione di ammissibilità del potere di disapplicazione di un atto generale non impugnato espressamente e specificamente, come dal deducente anche sottolineato con la memoria per il merito.

    Soccorre allora in tale ben distinta ipotesi la giurisprudenza amministrativa che ha in tal senso comunque statuito che “Il giudice amministrativo non può procedere in via incidentale all’accertamento dell’illegittimità di un provvedimento amministrativo non espressamente impugnato, mentre gli è consentito, anche in mancanza di richiesta delle parti, sindacare gli atti di normazione secondaria al fine di stabilire se essi abbiano attitudine, in generale, ad innovare l’ordinamento e, in concreto, a fornire la regola di giudizio per risolvere la questione controversa, con conseguente possibilità di giungere alla disapplicazione della disposizione regolamentare che si ponga in contrasto con la legge, qualora incida su una posizione di diritto soggettivo perfetto, riconducibile alla norma di legge” (Consiglio di Stato, Sez. V, 24 marzo 2014 n. 1430; Consiglio di Stato, sez. IV, 14 aprile 2006, n. 2141; Consiglio di Stato, Sez. IV, 24 maggio 2005, n. 2631; Consiglio di Stato , Sez. VI, 10 aprile 2003, n. 1894; in termini, T.A.R. Sardegna, Sez. II, n. 244 del 2006).

    Del resto già il giudice amministrativo di prime cure aveva ricostruito in termini affini l’ambito della disapplicazione da parte del G.A., chiarendo che “In presenza di una posizione giuridica soggettiva di interesse legittimo, non può essere invocato il potere di disapplicazione dell’atto impugnato, riguardando il predetto potere solo le controversie relative a situazioni giuridiche soggettive di diritto soggettivo, nelle quali venga in rilievo un provvedimento amministrativo che non costituisca l’oggetto del processo, ma sia soltanto un mero presupposto da conoscere incidenter tantum” (T.A.R. Lazio – Roma, Sez. III 19 luglio 2006 n. 6052).

    Da quanto osservato discende l’inconfigurabilità della domanda di disapplicazione di un atto amministrativo regolamentare, avente tra l’altro, come il D.M. n. 38 del 2013, natura normativa, svolta a tutela di un interesse legittimo, nella specie pretensivo, davanti al giudice amministrativo oltretutto invocando impropriamente l’art. 5 della L. n. 2248 del 1865 che prevede il potere di disapplicazione del giudice ordinario.

    4.4. Nel merito in ogni caso, la censura di illegittimità del D.M. n. 38 del 2013 per violazione dei principi sulla libertà di iniziativa economica privata sancita dal Decreto Salva Italia è comunque infondata nel merito e va respinta.

    Invero, la Sezione ha già esaminato in analogo caso la tesi oggi spesa dalla ricorrente, giudicandola non convincente, essa “anzitutto obliterando che gli esercizi autorizzati a vendere generi di monopolio non sono ordinari esercizi commerciali, dai quali differiscono per disciplina, tipologia di titoli abilitanti, natura giuridica degli stessi (sorti nell’impianto, tuttora vigente, della legge 22.12.1957 n.1293 e del relativo regolamento del 1958, come concessioni), discrezionalità implicata nel procedimento di assentimento di detti titoli” (T.A.R. Campania – Napoli, Sez. III, 22 marzo 2016, n. 1524 ).

    4.5. Quanto all’omessa trasmissione del testo del regolamento in questione all’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato, rammenta il Collegio come il T.A.R. Lazio abbia di recente giudicato non viziante siffatta omissione chiarendo che l’attività di vendita di tabacchi non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 34 del D.L. n. 211/2011 in quanto tali merci sono “un genere di prodotto non neutro per la salute dei cittadini, cosicché il suo commercio – nel quale converge una pluralità di interessi patrimoniali e non patrimoniali – non può essere lasciato alla libera concorrenza” (.T.A.R. Lazio –Roma, Sez. I, 14.5.2014, n. 5022).

    Da siffatte considerazioni non ritiene la Sezione di doversi discostare.

    4.6. Con ulteriore doglianza la ricorrente rileva il contrasto delle disposizioni di cui al D.M. n. 38 del 2013 con le misure di liberalizzazione contenute all’art.34, co. 2 e 3 del c.d. decreto Salva Italia (D.L. n.201/2011 convertito con L. n. 214/2011) invocando il parere dell’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato del 21.6.2013 che aveva auspicato modifiche al sistema della vendita dei generi di p monopolio per armonizzarlo ai principi di libertà di iniziativa economica e di liberalizzazione nel settore del commercio, specie in materia di distanze minime tra esercizi commerciali.

    4.7. Tale argomento ad avviso della Sezione non è persuasivo. Anzitutto perché l’avviso dell’Autorità garante appena citato è stato poi superato dal parere AS1130 pubblicato sul Bollettino AGCM n. 23 del 9.6.2014, con il quale si rilevava che il requisito della distanza minima “si giustifica quale strumento per rendere più difficoltoso l’approvvigionamento dei prodotti da fumo, nell’ottica di tutelare la salute pubblica”.

    In secondo luogo poiché, come rimarcato con la sentenza dianzi richiamata, la Sezione ha già precisato che non giova “l’invocato parere dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato del 21.6.2014 espressivo di contrarietà alle limitazioni quantitative degli operatori economici veicolate anche dal regime delle distanze minime, trattandosi di un avviso non interpretativo del sistema normativo sancito dal D.M. n. 38/2013 ma frontalmente avversativo e come tale inidoneo a condurre a diversa interpretazione se non previa abrogazione o sostituzione – allo stato non attuata – delle relative disposizioni nelle forme previste dall’ordinamento” (T.A.R. Campania – Napoli, Sez. III, 22 marzo 2016, n.1524 ).

    Il secondo motivo di ricorso è, pertanto, inammissibile ed infondato.

    In definitiva, alla luce delle considerazioni tutte fin qui svolte, il ricorso si profila infondato e va, pertanto, respinto.

    Non luogo a provvedere sulle spese di lite, avendo l’Avvocatura di Stato prodotto solo una nota di deposito di documenti tra cui la relazione di servizio del direttore dell’Ufficio di Napoli dell’agenzia delle dogane e dei monopoli più sopra in stralcio riportata.

    P.Q.M.

    Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Terza)

    definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

    Compensa le spese di lite tra le costituite parti.

    Ordina che la presente Sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

    Così deciso in Napoli nella Camera di consiglio del giorno 22 marzo 2016 con l’intervento dei Signori Magistrati:

    Fabio Donadono, Presidente

    Vincenzo Cernese, Consigliere

    Alfonso Graziano, Consigliere, Estensore

    L’ESTENSORE

    IL PRESIDENTE

    DEPOSITATA IN SEGRETERIA

    Il 18/05/2016

    IL SEGRETARIO

    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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