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RISARCIMENTO DANNI DA OCCUPAZIONE ILLEGITTIMA – ONERE PROBATORIO DELLA QUALITA’ DI EREDE DEL PROPRIETARIO DEL FONDO – DICHIARAZIONE SOSTITUTIVA DI ATTO NOTORIO – DIFETTO DI PROVA DELLA LEGITIMATIO AD CAUSAM

    TAR CAMPANIA, NAPOLI, SEZ. V – sentenza 16 Luglio 2018, n. 4682

    RISARCIMENTO DANNI DA OCCUPAZIONE ILLEGITTIMA – ONERE PROBATORIO DELLA QUALITA’ DI EREDE DEL PROPRIETARIO DEL FONDO – DICHIARAZIONE SOSTITUTIVA DI ATTO NOTORIO – DIFETTO DI PROVA DELLA LEGITIMATIO AD CAUSAM

    Rappresenta ius receptum il principio in virtù del quale in tema di legitimatio ad causam, colui che promuove – o prosegue – l’azione, nell’asserita qualità di erede di altro soggetto indicato come originario titolare del diritto, deve allegare la propria legittimazione per essere subentrato nella medesima posizione del proprio autore, fornendo la prova non solo del decesso della parte originaria, ma anche della qualità di erede di esso attore, perché altrimenti resta indimostrato uno dei fatti costitutivi del diritto di agire.

    Nel caso di specie, spetta alla parte ricorrente, che agisce per il risarcimento del danno da occupazione illegittima, fornire la prova della qualità di erede del proprietario del fondo, nel rispetto delle regole sul riparto dell’onere probatorio di cui all’art. 2697 c.c. ed art. 64 co.1 c.p.a., da assolversi con la produzione degli atti dello stato civile, a cui non può supplirsi con la produzione di atto sostitutivo di atto notorio, valevole solo in sede amministrativa ma non in sede giudiziaria, in quanto non dà luogo ad una presunzione legale, sia pure “juris tantum”, circa la spettanza delle indicate qualità di erede o di legatario, ma integra un mero indizio, che deve essere comprovato da altri elementi di giudizio.

    Massima a cura dell’avv. Benedetta Leone e del dott. Aniello Polise

    Pubblicato il 16/07/2018

    04682/2018 REG.PROV.COLL.

    00984/2014 REG.RIC.

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    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

    (Sezione Quinta)

    ha pronunciato la presente

    SENTENZA

    sul ricorso numero di registro generale 984 del 2014, proposto da
    …., in proprio e quale procuratore speciale di …. rappresentati e difesi dall’avvocato …., con domicilio digitale come da PEC dei registri di giustizia

    contro

    Provincia di ….., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato ….., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia

    per il risarcimento dei danni da occupazione illegittima da parte della Provincia di …..

    Visti il ricorso e i relativi allegati;

    Visto l’atto di costituzione in giudizio di Provincia di …..;

    Visti tutti gli atti della causa;

    Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 aprile 2018 la dott.ssa Diana Caminiti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

    FATTO e DIRITTO

    1. Con ricorso notificato in data 22 gennaio 2014 e depositato il successivo 20 febbraio …. in proprio e quale procuratore speciale di …. ha richiesto la condanna della Provincia di …., in persona del legale rappresentante p.t., previa declaratoria di responsabilità, al risarcimento di tutti i danni patiti a qualsiasi titolo dai ricorrenti per effetto dell’occupazione illegittima di una quota parte del fondo, di proprietà del defunto genitore …., deceduto il 25/07/2002, sito nel Comune di …. e contraddistinto in catasto al foglio 9 particella 40.

    2. A sostegno del ricorso deduce in punto di fatto che l’Amministrazione Provinciale, nell’ambito dei lavori di realizzazione e sistemazione della Strada Provinciale ….. (attualmente S.P. n. 67), aveva provveduto ad avviare l’iter espropriativo interessato dalla realizzazione dei lavori.

    2.1. Nella procedura espropriativa veniva interessato anche l’immobile di proprietà del defunto genitore, individuato, dopo il frazionamento della particella n. 40, nelle particelle 40/c, 40/d e 40/e, a suo dire erroneamente indicata nel piano particellare di esproprio come particella 41, costituito da un fabbricato colonico con relativa stalla e spazio pertinenziale.

    Parte ricorrente assume in particolare che l’occupazione aveva interessato l’area pertinenziale al fabbricato, contraddistinta alla particella 40/d, per un’estensione di circa 90 mq, e che all’esito dei lavori il fabbricato e la stalla venivano a trovarsi divisi dalla strada provinciale.

    2.2. L’iter amministrativo per la realizzazione dell’opera pubblica innanzi descritta veniva avviato con decreto del Ministero per i Lavori pubblici n. 1350/1934 del 18 luglio 1962, col quale veniva approvato il progetto e dichiarata la pubblica utilità dell’opera. Con lo stesso decreto veniva fissato in ventiquattro mesi il termine per il completamento dei lavori, decorrenti dalla data di emissione del decreto stesso (18/07/1962).

    2.3.I lavori di sistemazione della strada, che nella parte relativa alla proprietà del padre di parte ricorrente era costruita ex novo, venivano realizzati senza che la Provincia avesse portato a termine l’iter relativo al procedimento di espropriazione del suolo.

    In particolare, con ordinanza del Prefetto di …. n. 14373 del 7/5/1963, veniva ordinata l’esecuzione del piano particellare di esproprio, senza che ad essa fosse seguito il decreto di esproprio.

    Pertanto, nella prospettazione attorea, la Provincia deterrebbe il terreno de quo in assenza di qualsiasi titolo giuridico.

    2.4. Con nota raccomandata a/r del 9/6/2012, il ricorrente, unitamente ai propri congiunti, quali eredi legittimi di …, deceduto il 25/07/2002, richiedeva alla Provincia di …., quale ente proprietario della strada, il pagamento delle indennità previste dall’art. 42 bis del DPR 327/2001 e il risarcimento di tutti i danni subiti, ma alla stessa non seguiva alcun riscontro positivo.

    3. Ciò posto, parte ricorrente, deducendo l’illegittimità della procedura espropriativa, per non essere stato emanato il decreto di esproprio nel termine dei previsti ventiquattro mesi dalla data dichiarazione della pubblica utilità, ha richiesto il risarcimento dei danni subiti per effetto dell’illegittima occupazione, da determinarsi ai sensi dell’art. 42 bis comma 3 D.P.R. 327/2001, con restituzione del bene illegittimamente detenuto, previa rimessione in pristino.

    3.1. Parte ricorrente ha prodotto, a sostegno della domanda, l’atto di divisione ereditaria, con cui viene assegnato a … il fondo accatastato al foglio 9, particelle 40/d, 40/c e 40/e, nonché dichiarazione sostituiva di atto notorio con la quale si dichiara che … era deceduto in data 25 luglio 2002, lasciando quali eredi …, il decreto del Ministero per i Lavori pubblici n. 1350/1934 del 18 luglio 1962, col quale veniva approvato il progetto e dichiarata la pubblica utilità dell’opera ed il grafico allegato al piano particellare di esproprio.

    4. Si è costituita la Provincia di …. che, con memoria depositata nei termini di rito ex art. 73 comma 1 c.p.a., ovvero in data 21 marzo 2018, ha eccepito in via preliminare il difetto di prova della legittimatio ad causam, agendo i ricorrenti quali asseriti eredi di …., in quanto a loro dire già proprietario del terreno interessato dalla procedura espropriativa, senza avere idoneamente provato la loro qualità di eredi, non essendo all’uopo sufficiente la produzione di atto sostitutivo di atto notorio, valevole solo in sede amministrativa, ma non in sede giudiziaria.

    4.1. In via subordinata ha dedotto che non risulterebbe in ogni caso provata la proprietà del cespite di cui è causa, non bastando dare la prova della proprietà in capo al dante causa, ma occorrendo verificare la sequela degli atti di acquisto fino a chi avesse acquistato in via originaria ovvero dimostrando l’avvenuta usucapione del bene.

    4.2. Ha inoltre eccepito l’avvenuta usucapione del bene di cui è causa, affermando la conseguente liceità del comportamento della Pubblica Amministrazione, sia per il periodo successivo al decorso del termine ventennale che per quello antecedente.

    4.3. Nel merito ha dedotto la genericità della domanda, sia in relazione all’identificazione dei terreni interessati dalla procedura espropriativa, che in relazione all’individuazione dei danni e alla loro quantificazione.

    5. Alla memoria della Provincia di …. non è seguita nei termini di rito alcuna replica ad opera di parte ricorrente e la causa è stata trattenuta in decisione all’esito dell’udienza pubblica del 24 aprile 2018.

    6. Vanno preliminarmente esaminate le eccezioni formulate dalla Provincia di …..

    7. Senza dubbio fondata è la questione eccepita preliminarmente, relativa al difetto di legittimatio ad causam, in quanto il ricorrente agisce in proprio e quale procuratore speciale di ….., nella asserita qualità di eredi di …., quale proprietario del cespite di cui si lamenta l’illegittima occupazione ad opera della Provincia di ….., per non essersi conclusa nei termini la procedura espropriativa, senza peraltro avere idoneamente provato la qualità di erede propria e dei soggetti conferenti la procura, non essendo all’uopo sufficiente la dichiarazione sostituiva di atto notorio, come da costante giurisprudenza in materia.

    7.1. Ed invero, rappresenta ius receptum il principio in virtù del quale in tema di legitimatio ad causam, colui che promuove – o prosegue – l’azione nell’asserita qualità di erede di altro soggetto indicato come originario titolare del diritto deve allegare la propria legittimazione per essere subentrato nella medesima posizione del proprio autore, fornendo la prova, in ottemperanza all’onere di cui all’art. 2697 cod. civ., non solo del decesso della parte originaria, ma anche della qualità di erede di esso attore, perché altrimenti resta indimostrato uno dei fatti costitutivi del diritto di agire (cfr., inter alia, Cass., 27.6.2005, 13738; Cass. 29 aprile 2003 n. 6649; Cassazione civile, sez. II, 21/03/2011, n. 6411 secondo cui “Il soggetto che proponga l’impugnazione – o che la contraddica – nella asserita sua qualità di erede del soggetto che ha partecipato al precedente grado o alla precedente fase del giudizio, deve dichiarare la propria “legitimatio ad causam” per essere subentrato nella medesima posizione del proprio autore e fornire, quindi, tramite le opportune produzioni documentali, la necessaria dimostrazione, provando sia il decesso della parte originaria, sia l’asserita qualità di erede della stessa, costituenti i presupposti di legittimazione alla sua successione nel processo e, quindi, alla proposizione della impugnazione in proprio. In difetto di prova resta indimostrato uno dei fatti costitutivi del diritto a impugnare il cui onere incombe alla parte che esercita tale diritto e la circostanza è rilevabile anche d’ufficio. In particolare è inammissibile il ricorso per cassazione qualora il ricorrente dichiari di agire quale figlio e erede dell’appellante e a comprova di tale qualità depositi esclusivamente una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà della successione dell’appellante, dichiarazione priva di qualsiasi valore – anche indiziario – nel giudizio civile caratterizzato dal principio dell’onere della prova”). Peraltro, con riferimento alla delazione dell’eredità, tale onere può essere idoneamente adempiuto con la produzione degli atti dello stato civile, dai quali è dato coerentemente desumere quel rapporto di parentela con il de cuius che legittima alla successione ai sensi degli art. 565 ss. cod. civ.

    In senso analogo si è di recente espresso il Tribunale di Benevento sez. II, 26/01/2017, n. 121 che ha affermato che “Colui che promuove, o prosegue, l’azione nell’asserita qualità di erede di altro soggetto indicato come originario titolare del diritto, deve allegare la propria legittimazione per essere subentrato nella medesima posizione del proprio autore, fornendo la prova non solo del decesso della parte originaria ma anche della qualità di erede di esso attore, perché altrimenti resta indimostrato uno dei fatti costitutivi del diritto di agire. L’onere può essere idoneamente adempiuto con la produzione degli atti dello stato civile. Il difetto di legittimazione attiva, non esclude la riproponibilità della medesima domanda”.

    Pertanto, all’onere probatorio, da assolversi con la produzione degli atti dello stato civile, non può supplirsi con la produzione di atto sostitutivo di atto notorio, valevole solo a fini amministrativi (ex multis Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 29830 del 29/12/2011 secondo cui “L’atto notorio, pur essendo considerato da alcune specifiche norme di legge come prova sufficiente delle qualità di erede e di legatario, allorché queste siano fatte valere a fini esclusivamente amministrativi, anche se nell’ambito della giurisdizione ordinaria, non ha nessuna rilevanza quando venga prodotto in giudizio in funzione probatoria di una delle suddette qualità. In tal caso, l’atto notorio non dà luogo ad una presunzione legale, sia pure “juris tantum”, circa la spettanza delle indicate qualità di erede o di legatario, ma integra un mero indizio, che deve essere comprovato da altri elementi di giudizio – Nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva ritenuto mancante la prova della legittimazione all’impugnazione in capo agli appellanti, i quali, assumendo di avere la qualità di eredi della parte originaria, si erano limitati a produrre un atto notorio attestante l’avvenuto decesso di quest’ultima e la loro asserita qualità; in senso analogo Cassazione civile, sez. lav., 21/04/2008, n. 10307 che ha ritenuto come la Corte di Appello avesse correttamente rilevato che spettasse all’attrice provare la qualità di erede, escludendo la valenza di prova della dichiarazione sostitutiva, in aderenza a plurima giurisprudenza, rilevando la tardività e, quindi, l’inammissibilità dei documenti prodotti in appello).

    8. Analoghi principi debbono valere anche nel giudizio amministrativo, soprattutto in riferimento a processi nei quali, come nella specie, si agisca per il risarcimento del danno a tutela di diritti soggettivi, ai quali si applicano pienamente le regole sul riparto dell’onere probatorio di cui all’art. 2697 c.c. come del resto sancito dall’art. 64 comma 1 c.p.a. secondo cui “Spetta alle parti l’onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni”, essendo la prova in ordine alla legittimatio ad causam nella disponibilità di parte ricorrente.

    9. Parte ricorrente avrebbe pertanto dovuto provare la propria qualità di erede, con la produzione di idonea documentazione, al massimo nel termine di quaranta giorni prima dell’udienza di discussione della causa, ex art. 73 comma 1 c.p.a., termine indisponibile ad opera delle parti, come da costante giurisprudenza in materia (ex multis Consiglio di Stato, sez. VI, 18/07/2016, n. 3192 secondo cui “La disciplina della produzione documentale nel processo amministrativo è prevista dagli artt. 73, comma 1, e 54, comma 1, cod. proc. amm., secondo cui: “Le parti possono produrre documenti fino a quaranta giorni liberi prima dell’udienza, memorie fino a trenta giorni liberi e presentare repliche, ai nuovi documenti e alle nuove memorie depositate in vista dell’udienza, fino a venti giorni liberi”; e “la presentazione tardiva di memorie o documenti può essere eccezionalmente autorizzata, su richiesta di parte, dal collegio, assicurando comunque il pieno rispetto del diritto delle controparti al contraddittorio su tali atti, qualora la produzione nel termine di legge sia risultata estremamente difficile”. I termini previsti dall’art. 73 comma 1, cod. proc. amm. per il deposito in giudizio di documenti (fino a quaranta giorni liberi prima dell’udienza) sono perentori e, in quanto tali, non possono essere superati neanche ove sussistesse accordo delle parti, essendo il deposito tardivo di memorie e documenti ammesso in via del tutto eccezionale nei soli casi di dimostrazione dell’estrema difficoltà di produrre l’atto nei termini di legge, siccome previsto dall’art. 54 comma 1, dello stesso cod. proc. Amm; in senso analogo T.A.R. Napoli, (Campania), sez. I, 07/03/2016, n. 1203 secondo cui “Sono inutilizzabili, a fini processuali, i documenti e la memoria depositati in violazione dei termini perentori fissati dall’art. 73 comma 1, c. proc. amm.”; da ultimo T.A.R. Roma, (Lazio), sez. III, 02/05/2017, n. 5110 secondo cui “termini fissati dall’art. 73 comma 1, c.p.a. per il deposito di memorie difensive e documenti ha carattere perentorio in quanto espressione di un precetto di ordine pubblico processuale posto a presidio del contraddittorio e dell’ordinato lavoro del giudice; sicchè la loro violazione conduce all’inutilizzabilità processuale delle memorie e dei documenti presentati tardivamente, che vanno considerati tamquam non essent, salvo che non sussistano i presupposti di cui all’art. 54 comma 1, c.p.a., ossia la difficoltà di produzione nel termine di legge”).

    9.1 Né sarebbe ipotizzabile una remissione in termini, in quanto il principio di diritto innanzi accennato, in ordine alla prova della legittimatio ad causam di colui che agisca nell’asserita qualità di erede della parte originariamente titolare del diritto, deve ritenersi incontroverso e da tempo affermato in giurisprudenza.

    9.2. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, per assenza di prova circa la legittimatio ad causam.

    10. Peraltro, a prescindere da tali assorbenti rilievi, solo per esigenze di completezza si evidenzia come il ricorso sarebbe in ogni caso da rigettare, non avendo parte ricorrente idoneamente provato che il fondo di sua proprietà – nell’asserita e non provata qualità di erede – sarebbe stato interessato dalla procedura espropriativa. Ciò in quanto l’atto di divisione ereditaria depositato attesta l’attribuzione ad …., asserito de cuius dei ricorrenti, del fondo di cui al foglio 9 per le particelle 40/c, 40/d e 40/e, mentre nel grafico allegato al piano particellare di esproprio, non è indicata alcuna di queste particelle.

    Né può assumere rilievo, in mancanza di un principio di prova in tal senso, la deduzione di parte ricorrente secondo cui in detto grafico sarebbe stata erroneamente indicata la particella n. 41 anziché quella 40/d; ed invero in mancanza di un principio di prova, che avrebbe potuto essere fornito anche con una consulenza tecnica di parte, non potrebbe supplirsi all’onere probatorio gravante sulla ricorrente con il ricorso ad una C.T.U., la quale come noto non può essere una relevatio ab onus probandi, essendo unicamente mezzo di ausilio del giudice per la valutazione della prova, il cui onere ricade sulle parti, ex art. 64 c.p.a. ( ex multis T.A.R. Milano, (Lombardia), sez. II, 16/11/2017, n. 2183 secondo cui “E’ inammissibile la richiesta di CTU preordinata ad una finalità meramente esplorativa, vale a dire alla ricerca di fatti, circostanze o elementi non provati dalla parte che li allega”; Cassazione civile, sez. VI, 15/12/2017, n. 30218 secondo cui “La consulenza tecnica d’ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze. Ne consegue che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati”; T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 8 aprile 2011, n. 2000 secondo cui “La consulenza tecnica d’ufficio, in quanto mezzo di indagine finalizzato ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze, non può essere disposta al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume ed è quindi legittimamente negata dal giudice qualora la parte tenda con essa a supplire alle deficienze delle proprie allegazioni od offerte di prova ovvero a compiere un’indagine esplorativa alla ricerca di elementi di fatto o circostanze non provati”).

    11. Sussistono nondimeno eccezionali e gravi ragioni, avuto riguardo al carattere processuale della decisione per compensare integralmente le spese di lite fra le parti.

    P.Q.M.

    Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

    Compensa le spese di lite.

    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

    Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 24 aprile 2018 con l’intervento dei magistrati:

    Santino Scudeller, Presidente

    Diana Caminiti, Consigliere, Estensore

    Paolo Marotta, Consigliere

     
     
    L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
    Diana Caminiti Santino Scudeller
     
     
     
     
     

    IL SEGRETARIO

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