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Provvedimento amministrativo conseguito sulla scorta di false rappresentazioni dei fatti – potere della P.A. di procedere all’annullamento, anche dopo la scadenza del termine di 18 mesi, pur in carenza dell’emissione di una sentenza passata in giudicato – sussiste S.c.i.a. corredata da false rappresentazioni di fatti – termine previsto dall’art. 21 nonies della legge 241/1990 per l’esercizio dei poteri di autotutela – decorre dall’avvenuto accertamento da parte della P.A. della falsità dei fatti rappresentati

    T.A.R. NAPOLI, SEZ. VI, SENTENZA 7.1.2019, N. 70

    (Passoni Presidente, Corrado Estensore)

    Provvedimento amministrativo conseguito sulla scorta di false rappresentazioni dei fatti – potere della P.A. di procedere all’annullamento, anche dopo la scadenza del termine di 18 mesi, pur in carenza dell’emissione di una sentenza passata in giudicato – sussiste

    S.c.i.a. corredata da false rappresentazioni di fatti – termine previsto dall’art. 21 nonies della legge 241/1990 per l’esercizio dei poteri di autotutela – decorre dall’avvenuto accertamento da parte della P.A. della falsità dei fatti rappresentati

    L’Amministrazione può esercitare il potere di autotutela alla stessa conferito dall’art. 21 nonies della legge 241/1990 ed annullare, anche dopo la scadenza del termine di 18 mesi, i provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti, pur in carenza dell’emissione di una sentenza passata in giudicato in quanto l’accertamento del falso con sentenza passata in giudicato di cui alla disposizione anzidetta è richiesto soltanto in caso di falsa dichiarazione sostitutiva e non anche nei casi di rappresentazione infedele.

    Il termine previsto dall’art. 21 nonies della l. 241/1990 per l’esercizio dei poteri di autotutela, nei casi in cui la S.c.i.a. sia corredata da false rappresentazioni dei fatti, decorre dall’avvenuto accertamento di tale condizione da parte dell’Amministrazione medesima.

    Massima a cura degli avvocati Guido Acquaviva Coppola e Alessandra Fucci

     

    Pubblicato il 07/01/2019

    00070/2019 REG.PROV.COLL.

    03456/2017 REG.RIC.

    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

    (Sezione Sesta)

    ha pronunciato la presente

    SENTENZA

    sul ricorso numero di registro generale 3456 del 2017, integrato da motivi aggiunti, proposto da …, rappresentata e difesa dall’avvocato…, con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, …

    contro

    Comune di…, in persona del legale rappresentante p.t., non costituito in giudizio;

    e con l’intervento di

    ad opponendum…, rappresentata e difesa dall’avvocato …, con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, via …;

    per l’annullamento

    Per quanto riguarda il ricorso introduttivo:

    a) dell’ordinanza in data 8.05.2017, notificata il 12.05.2017, con cui il Comune di…– Settore VI Urbanistica e Edilizia privata ha annullato vari titoli edilizi, ivi elencati, conseguiti dalla ricorrente per il cambio di destinazione d’uso e la sistemazione funzionale di locale cantinato con cisterna sottostante all’appartamento di sua proprietà in…, via…;

    b) della relazione istruttoria in data 2.05.2017 prot. 10026, allegata al provvedimento sub a);

    c) dell’ordinanza n. 65 del 16.05.2017, recante ingiunzione di demolizione delle presunte opere abusive;

    d) del verbale di sopralluogo in data 24.02.2017 prot. 4597;

    e) della comunicazione di avvio del procedimento in autotutela, di cui alla nota 27.02.2017 prot. 4692;

    f) di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguenziale, ivi comprese le note prot. 6687/2017 e prot. 23681/2016.

    Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati in data 22 febbraio 2018:

    – del diniego della sanatoria richiesta dalla ricorrente per il cambio di destinazione d’uso e la sistemazione funzionale del locale cantinato sottostante all’appartamento di sua proprietà in…, via…, comunicato con nota prot. 27243 del 27.11.2017;

    – della nota prot. 25057 del 26.10.2017 contenente la motivazione del diniego, comunicata nelle more della adozione del provvedimento definitivo;

    – del parere della Commissione Edilizia in data 3.10.2017, comunicato con nota 12.10.2017;

    – nonché di ogni atto presupposto, connesso e/o conseguenziale e degli atti già gravati con il ricorso introduttivo.

    Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati in data 17 aprile 2018:

    -dell’ingiunzione a demolire n. 27 del 7. 2.2018 il Comune di…;

    Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

    Visti tutti gli atti della causa;

    Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 ottobre 2018 la dott.ssa Anna Corrado e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

    FATTO e DIRITTO

    Espone la odierna ricorrente di aver acquistato nel 2001 la consistenza immobiliare in…, via … così descritta nell’atto notarile di acquisto:“- appartamento al piano seminterrato lato ovest, avente accesso dal cortile del fabbricato, composto da 5,5 vani catastali ed annessi terrazzo a livello con aiuole sul fronte nord e cantina di altezza di circa metri 2,50 (due virgola cinquanta) esistente da tempo immemorabile. Quest’ultima è estesa per tutta l’area dell’appartamento soprastante, salvo una parte occupata da cisterna, anch’essa compresa nella vendita; alla cantina si accede dal soprastante appartamento tramite scaletta.”

    Rappresenta inoltre che in detta occasione il venditore ha dichiarato (art. 7) che “la costruzione dell’opera oggetto della presente vendita è iniziata (ed è stata anche ultimata) in data ampiamente anteriore al 1° settembre 1967” e che “con successiva concessione edilizia n. 10 prot. 11192/311II/1999, rilasciata dal Comune di … in data 28 marzo 2000, si è proceduto a frazionare l’originario unico immobile in due unità abitative”.

    Espone quindi che nel corso degli anni successivi all’acquisto, ha conseguito i titoli edilizi indicati nell’ordinanza in data 8.05.2017, notificata il 12.05.2017, con cui il Comune di… – Settore VI Urbanistica e Edilizia privata ha annullato gli stessi (oggetto quindi impugnativa) e conseguiti, rappresenta la ricorrente, per il cambio di destinazione d’uso e la sistemazione funzionale di locale cantinato con cisterna sottostante all’appartamento di sua proprietà in via…. Riferisce che solo in occasione del sopralluogo del 24.02.2017, originato da esposto pervenuto al Comune in data 31.10.2016, il Responsabile del Settore – oltre a censurare l’illegittimità di un infisso installato al piano superiore (oggetto di successivo provvedimento gravato con ricorso n. R.G. 2576/2017) – ha sollevato dubbi sulla legittimità del piano cantinato, tanto da avviare un procedimento di autotutela che si è concluso, previa relazione istruttoria in data 2.05.2017, con l’ordinanza in data 8.05.2017 che annulla i titoli edilizi conseguiti dalla ricorrente, rilevando l’Amministrazione:“…che la parte proprietaria ha presentato le varie pratiche relative alla sistemazione del piano cantinato in questione senza denunziarne l’abusività e l’illegittimità giuridica con ciò traendo in inganno ed in errore lo stesso UTC preposto a ricevere gli atti, a verificare le D.I.A. inoltrate dalla nuova proprietaria e, in altri casi, a formare gli eventuali provvedimenti di assenso richiesti dalla stessa quali la concessione edilizia n. 7/2003 ed il permesso di costruire n. 20/2003..”, quindi richiamando il disposto dell’art. 21-nonies comma 2 bis della legge n. 241/1990.

    Con successivo provvedimento in data 16.05.2017 (ordinanza n. 65) il Comune ha poi ingiunto la demolizione delle opere asseritamente abusive eseguite al piano cantinato.

    Avverso dunque l’annullamento d’ufficio dei titoli edilizi e la ingiunzione di demolizione è proposto il ricorso in esame, all’uopo deducendo parte ricorrente innanzitutto violazione dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990 ed eccesso di potere sotto più profili in sostanza deducendo che nel presentare le varie denunzie di inizio attività edilizia al Comune di … avrebbe rappresentato “in perfetta buona fede lo stato dei luoghi preesistente”, con conseguente esclusione di “qualsiasi mendacio, anche di tipo omissivo” e dunque la illegittimità del provvedimento di annullamento impugnato in quanto adottato oltre il termine di diciotto mesi previsto dalla disposizione di cui all’art. 21 nonies citato. Con il secondo motivo di ricorso deduce il difetto di istruttoria, atteso che i provvedimenti impugnati danno per scontata – senza alcun approfondimento istruttorio e motivazionale – l’illegittimità del volume interrato. Con il terzo motivo di ricorso si censura l’ordinanza di demolizione, oltre che per illegittimità derivata, per vizi propri trattandosi di opere per le quali comunque non è richiesto il permesso di costruire. Con l’ultimo motivo di ricorso si lamenta che il Comune avrebbe dovuto considerare l’impossibilità di procedere alla demolizione delle opere di rifunzionalizzazione e cambio di destinazione d’uso eseguite dalla ricorrente, che comporterebbe gravi pregiudizi alla statica dell’immobile, oltretutto in parte di proprietà aliena; così come non sono state valutate le conseguenze giuridiche, e quindi l’impossibilità, dell’acquisizione dell’area di sedime su cui insiste l’intero edificio in parte di proprietà di terzi. Ad avviso della ricorrente, quindi, il Comune avrebbe potuto al più comminare la sanzione pecuniaria prevista dall’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001.

    E’ intervenuta ad opponendum la signora …, proprietaria dell’immobile sito in … alla via …, confinante con l’immobile di proprietà della sig.ra … sito alla via …, rilevando la piena legittimità di ogni atto adottato dal Comune di…, previa formulazione di eccezioni in rito.

    In relazione alle opere per cui è causa la ricorrente ha presentato, in data 7.8.2017, istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 d.P.R. 380/2010. Quindi, con successivi motivi aggiunti ha impugnato il diniego di sanatoria richiesto per il cambio di destinazione d’uso e la sistemazione funzionale del locale cantinato sottostante all’appartamento di sua proprietà, la nota contenente la motivazione del diniego e il parere della Commissione Edilizia in data 3.10.2017.

    Con un secondo atto di motivi aggiunti è, infine, impugnata nuova ingiunzione a demolire n. 27 del 7 febbraio 2018 e notificata il 13 febbraio 2018 con cui si ordina di demolire l’intero piano cantinato di mq. 65 poiché abusivo e privo di permesso di costruire.

    Alla pubblica udienza del 17 ottobre 2018 il ricorso viene ritenuto per la decisione.

    Può prescindersi dalle questioni in rito, che hanno peraltro condotto la ricorrente alla rinnovazione della notifica del ricorso al Comune di … (Cons. Stato, III, n. 744/18), attesa la infondatezza di questo e dei successivi motivi aggiunti nel merito.

    Quanto al primo motivo del ricorso introduttivo del giudizio, va innanzitutto ribadito l’avviso interpretativo della giurisprudenza per cui “il presupposto indefettibile perché una d.i.a./s.c.i.a. possa essere produttiva di effetti è la completezza e la veridicità delle dichiarazioni contenute nell’autocertificazione, in presenza di una dichiarazione inesatta o incompleta all’Amministrazione spetta comunque il potere di inibire l’attività dichiarata” (T.A.R. Napoli, sez. II 25 luglio 2016 n. 3869 ; T.A.R. Trento, sez. I 11 ottobre 2012 n. 295). In disparte ogni profilo in ordine alla buona fede della ricorrente, che infatti non è contestata, rileva il dato oggettivo della erronea rappresentazione dello stato dei luoghi. Come ha puntualmente osservato la interveniente ad opponendum richiamando pertinente giurisprudenza, il termine previsto dall’art. 21 nonies della l. 241/90 per l’esercizio dei poteri di autotutela, nei casi in cui la SCIA sia corredata da false rappresentazioni dei fatti, non può che decorrere dall’avvenuto accertamento di tale condizione da parte dell’Amministrazione medesima (T.A.R. Roma, sez. II, 07/03/2017, n. 3215). Va richiamato il disposto della norma da ultimo citata, la quale recita al comma 2 bis “I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall’amministrazione anche dopo la scadenza del termine di diciotto mesi di cui al comma 1, fatta salva l’applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445”. Come ha osservato il giudice amministrativo “la costruzione sintattica e l’interpretazione logico sistematica implicano una chiara distinzione tra il caso in cui il provvedimento sia conseguito in funzione di una semplice “falsa rappresentazione dei fatti” -intesi questi ultimi anche come condizione dei luoghi e loro relazioni spaziali-, e l’ipotesi in cui il rilascio del provvedimento sia fondato (anche) su “dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci”. A tale conclusione deve pervenirsi non tanto e non solo per l’uso della disgiuntiva “o”, che separa e differenzia le due fattispecie, bensì e soprattutto perché soltanto alle dichiarazioni e all’atto di notorietà è riferita la proposizione “…false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato”, e solo a queste ultime, appunto in quanto effetto di condotte costituenti reato, è ricollegabile il successivo inciso “accertate con sentenza passata in giudicato” (cfr. Cons. St., sez. IV, n. 4374/2018). In sostanza, l’accertamento del falso con sentenza passata in giudicato di cui alla disposizione anzidetta (art. 21 nonies, comma 2bis, l.241/90) è richiesto soltanto in caso di falsa dichiarazione sostitutiva e non nei casi di rappresentazione infedele.

    Come ha recentemente rilevato il TAR del Lazio “le “false rappresentazioni dei fatti” e le “dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà” costituiscono “condotte” assolutamente differenti e, comunque, non sovrapponibili; – a differenza delle prime, solo le seconde – introdotte per spirito di semplificazione e, precipuamente, per esonerare il privato dall’onere di attivarsi presso uffici pubblici per acquisire documenti allo stesso necessari, attualmente contemplate e disciplinate dal d.P.R. n. 445 del 2000 – rappresentano, infatti, sostanzialmente dichiarazioni rese in alternativa ad atti pubblici, a cui il legislatore ha, peraltro, attribuito un valore probatorio privilegiato, con comminazione, nel contempo, di precise sanzioni in caso di falsità della dichiarazione stessa (tra cui figura anche l’espressa decadenza dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base delle stesse dichiarazioni, ai sensi dell’art. 75 del citato d.P.R.), e, dunque, ben si prestano a giustificare – in quanto tali – l’accertamento della falsità delle stesse “con sentenza passata in giudicato”. Del resto, non può essere sottaciuto che una lettura diversa dell’art. 21 nonies, comma 2, bis da quella in precedenza riportata e, in particolare, una lettura della previsione de qua nel senso che l’Amministrazione, passati i 18 mesi dall’adozione del provvedimento, possa procedere all’autoannullamento di quest’ultimo soltanto in esito ad una sentenza penale definitiva di condanna (e ciò in ragione dell’espresso riferimento a “condotte costituenti reato, accertate”, le quali non possono non implicare un coinvolgimento dal giudice competente in materia, ossia del giudice penale) indurrebbe a riscontrare validi profili di incostituzionalità non solo per la sottoposizione del potere di intervento dell’Amministrazione, diretto a fare fronte a provvedimenti illegittimamente adottati, a tempi incerti e spesso particolarmente lunghi ma anche per l’insorgenza di un concreto regime di incertezza giuridica riconducibile a tutte le ipotesi in cui una sentenza di tal genere non risulti essere stata emessa non per l’inesistenza della condotta bensì per motivi differenti, quale – ad esempio – la morte dell’autore dell’illecito, in netto spregio dei principi di imparzialità e buon andamento già richiamati. In sintesi, si afferma, quindi, che – nell’ipotesi in esame, connotata dal mero riscontro di una falsa rappresentazione dei fatti da parte della ricorrente – l’Amministrazione ben poteva esercitare il potere di autotutela alla stessa conferito dalla legge dall’art. 21 nonies, pur in carenza dell’emissione di una “sentenza passata in giudicato” (così T.A.R. Lazio, sezione II bis, 7 marzo 2017 n. 3215). Tutto quanto rilevato refluisce anche in punto di motivazione, non occorrendo al riguardo una specifica ed espressa motivazione sull’interesse pubblico.

    Parimenti infondata risulta la censura con cui si denuncia difetto di istruttoria, attese le verifiche tecniche effettuate dall’Ufficio tecnico del Comune di … in esito alle quale non può essere contestato l’assunto per cui il piano cantinato posto al secondo livello sottostrada risulta abusivo. E’ sufficiente sul punto rinviare a quanto in atti del giudizio, segnatamente alla relazione istruttoria dell’UTC di … del 2.5.2017, prot. 10026 (nel quale si legge che “il piano cantinato in questione, oggetto di lavori di sistemazione avviati dalla sig.ra … dal 2002 in poi, è del tutto privo di legittimazione in quanto eseguito abusivamente e non compreso nella domanda di condono avanzata in data 30/4/86 dalla dante causa Sig.ra … con pratica 99/c ex lege 47/85, pratica in seguito definita con il rilascio di atto concessorio n. 109/S in data 10.3.2000 in favore dell’erede Sig. …, venditore dell’immobile alla Sig.ra …”).

    Quanto a quanta parte dell’impugnativa è riferita all’ordinanza di demolizione, rileva il Collegio la infondatezza delle relative censure, essendo indubitabile che l’opera di cui è questione necessitasse di permesso di costruire, oltre che di autorizzazione paesistica stante il vincolo paesistico vigente nell’intero territorio dell’isola di …. Giova comunque osservare che rileva quanto affermato dall’Adunanza Plenaria nella decisione n. 9 del 17 ottobre 2017 secondo la quale: “Il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso e il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino”. Va inoltre ribadito il principio di diritto per cui va escluso che l’ordinanza di demolizione di immobile abusivo debba essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata, non potendosi porre neppure un problema di affidamento, che presuppone una posizione favorevole all’intervento riconosciuta da un atto in tesi illegittimo poi successivamente oggetto di un provvedimento di autotutela (in tal senso vedasi anche Cons. Stato, VI, 21 marzo 2017, n. 1267). Da ultimo deve pure osservarsi che sarebbe del tutto irrilevante la circostanza secondo cui le opere sarebbero state realizzate in epoca anteriore alla entrata in vigore della legge n. 765/1967 in ragione della anteriorità del vincolo imposto sul territorio del Comune di … e della conseguente assoggettabilità dell’intervento al previo rilascio della prescritta autorizzazione paesaggistica. Come noto, l’intero territorio comunale di … è stato dichiarato di notevole interesse pubblico ai sensi della legge n. 1497 del 1939 con d.m. 20 marzo 1951, e le opere in argomento risultano pure sprovviste, quindi, dell’autorizzazione prescritta dal codice dei beni culturali e del paesaggio.

    Non miglior sorte segna l’ultimo motivo di ricorso relativo alla circostanza per cui il Comune di … non avrebbe considerato l’impossibilità di procedere alla demolizione delle opere di rifunzionalizzazione e cambio di destinazione d’uso eseguite dalla ricorrente senza un pregiudizio alla statica dell’immobile atteso che l’eventuale impossibilità di demolire per motivi di statica dell’edificio non inficia in alcun modo l’ordine di demolizione, ma può al più – qualora effettivamente provata – costituire motivo per evitare l’applicazione delle sanzioni coattive previste dal seguito della procedura di sanzione dell’abuso edilizio in caso di inottemperanza (demolizione d’ufficio ed acquisizione gratuita dell’opera con area di sedime) (T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 28.3.2008, n. 1624; TAR Lombardia, Brescia, Sez. I – 27.5.2011, n. 792).

    Quanto ai motivi aggiunti con cui si deduce la illegittimità del provvedimento di diniego alla istanza di sanatoria ex art. 36 d.p.r. 380/2001, in disparte ogni rilievo che – per come prospettato dall’interveniente – in ipotesi potrebbe rivestire il nuovo provvedimento adottato dal Comune in termini di improcedibilità del ricorso introduttivo del giudizio, rimane che gli stessi vanno valutati e ritenuti come infondati. I motivi aggiunti in esame, infatti, sono sostanzialmente riassumibili nella censura di illegittimità derivata, pur variamente articolati e rubricati, censura confutata dalla acclarata, in questa sede, legittimità degli atti gravati con il ricorso introduttivo del giudizio. Ne è dimostrazione che sono in sede di motivi aggiunti riprese argomentazioni sostanzialmente afferenti la buona fede da riconoscersi alla ricorrente in sede di rappresentazione della situazione materiale dei luoghi e la già affrontata questione dell’intervenuto esercizio di potere in sede di autotutela da parte del Comune di….

    Quanto al secondo atto di motivi aggiunti con cui è avversata la nuova ordinanza di demolizione n. 27 del 7 febbraio 2018, deve parimenti rilevarsene la infondatezza. La nuova ordinanza investe in sostanza l’intero piano cantinato di mq. 65, ritenuto appunto interamente abusivo poiché privo del titolo edilizio necessario, peraltro realizzato – secondo quanto esposto nell’ordinanza – in totale difformità rispetto agli originari progetti approvati dal Comune e neppure ricompreso nella domanda di condono a suo tempo prodotta e invero definita e comunque oggetto della domanda di sanatoria denegata con provvedimento del 20 novembre 2017 oggetto del primo atto di motivi aggiunti. Giova ricordare che l’asserito mutamento di destinazione del locale cisterna e la rifunzionalizzazione del cantinato a fini abitativi, che la ricorrente evoca a fondamento di detto atto di motivi aggiunti in esame, sono stati investiti dall’annullamento in sede di autotutela dei relativi titoli abilitativi a mezzo di atto gravato con il ricorso introduttivo del presente giudizio, la cui infondatezza è stata già rilevata. Valgono in ogni caso le considerazioni già espresse quanto alla necessità, avuto riguardo al regime che caratterizza la realizzazione di interventi edilizi nel territorio del Comune di…, del titolo edilizio per l’intervento specifico di cui è questione e quanto alla questione del pregiudizio che l’ottemperanza all’ordine di demolizione può arrecare a quanta parte del manufatto risulta legittimamente realizzata. Venendo al paventato pericolo che la riduzione in pristino potrebbe produrre per il fabbricato, ricorda il Collegio, oltre a quanto sul punto innanzi già osservato, che spetta all’interessato chiedere all’amministrazione l’applicazione in proprio favore dell’art. 34, comma 2, del d.P.R. n. 380/01, fornendo al riguardo una seria e idonea dimostrazione del pregiudizio per la struttura e per l’utilizzazione del bene residuo (ex multis, TAR Campania, Napoli, sez. II, 24 luglio 2017, n. 3902; Cons. St., sez. V, 5 settembre 2011, n. 4982).

    In definitiva, ribadite le svolte considerazioni, il ricorso e i motivi aggiunti vanno respinti siccome infondati.

    Non si dà luogo a statuizione sulle spese nei confronti del Comune in ragione della sua mancata costituzione in giudizio e per il resto si compensano.

    P.Q.M.

    Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge.

    Nulla spese nei confronti del Comune, compensa per il resto.

    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

    Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 17 ottobre 2018 con l’intervento dei magistrati:

    Paolo Passoni, Presidente

    Davide Soricelli, Consigliere

    Anna Corrado, Consigliere, Estensore

     
     
    L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
    Anna Corrado Paolo Passoni
     
     
     
     
     

    IL SEGRETARIO

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