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Sent. n. 1553/19 VI Sezione TAR Campania – Procedimento disciplinare. Diritto di accesso agli atti. Sussistenza. Atti sottratti al diritto di accesso. Art. 1 l. n. 179/17. Whistleblowing. Inutilizzabilità denunce anonime. Illegittimità sanzione.

    1-Procedimento disciplinare. Diritto di accesso agli atti. Sussistenza.

    Nell’ambito di un procedimento disciplinare deve riconoscersi in capo all’incolpato la sussistenza di un “interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è stato chiesto l’accesso”, che l’art. 22 l n. 241/90 prevede quale presupposto per la legittimazione all’azione e l’accoglimento della relativa domanda.

    E’, infatti, pacifico che la conoscenza di tali atti è strumentale alla difesa della ricorrente nell’ambito del procedimento disciplinare subìto e sfociato nell’irrogazione di una sanzione. 

    2-. Atti sottratti al diritto di accesso. Art. 1 L.n. n. 179/2017. Whistleblowing.

    Nell’ambito di una richiesta di accesso agli atti relativamente ad un procedimento disciplinare, l’amministrazione dovrà oscurare i dati riguardanti l’identità dei segnalanti e il contenuto specifico delle segnalazioni. Tanto al fine di preservare da eventuali ritorsioni il dipendente pubblico che segnali illeciti. Nell’ambito del procedimento disciplinare vale il principio. che “l’identità del segnalante non può essere rivelata [a meno che non vi sia il suo consenso]” e che “la segnalazione è sottratta all’accesso previsto dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241”.

    3- Procedimento disciplinare. Inutilizzabilità denunce anonime. Illegittimità sanzione.

    Il diritto di difesa dell’incolpato viene garantito dalla non utilizzabilità nel procedimento disciplinare delle denunce per così dire anonime (ossia conosciute solo dall’amministrazione procedente); la violazione di tale regola da parte dell’amministrazione ridonda eventualmente sulla legittimità della sanzione disciplinare irrogata ma non può, in virtù del principio sopra esposto, comportare la possibilità per l’incolpato di conoscere l’identità e il contenuto della segnalazione.

    Tale principio non risulta valicabile dalla circostanza che l’amministrazione abbia eventualmente fatto (illegittimamente) uso della segnalazione nell’ambito del procedimento disciplinare in quanto la finalità voluta dalle disposizioni in parola di tutelare l’identità del segnalante tenendo riservato anche il contenuto della segnalazione (dalla quale, evidentemente, è possibile risalire alla persona che ha effettuato la denuncia).

    Massima a cura dell’avv. Vittoria Chiacchio.

     

    Pubblicato il 20/03/2019

    1. 01553/2019 REG.PROV.COLL.
    2. 03407/2018 REG.RIC.

    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

    (Sezione Sesta)

    ha pronunciato la presente

    SENTENZA

    sul ricorso numero di registro generale 3407 del 2018, proposto da:
    … rappresentata e difesa, dall’avvocato … con il quale elettivamente domicilia in Napoli alla via ….n. ….;

    contro

    ….. , in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli, presso la quale domicilia in Napoli, alla via Diaz, 11;

    per l’annullamento

    del provvedimento di rigetto per silentium della richiesta di accesso inoltrata dalla ricorrente all’…. in data 28 maggio 2018, così come formatosi per effetto dell’inutile decorso del termine per provvedere in data 27 giugno 2018;

    per quanto di ragione e se in quanto lesivo degli interessi della ricorrente del provvedimento del 5 luglio 2018, recante prot. n. AOODRC.15613, di differimento dell’audizione della ricorrente medesima;

    nonché per l’accertamento del diritto della ricorrente ad ottenere l’accesso ai documenti di cui alla predetta istanza;

     

    Visti il ricorso e i relativi allegati;

    Visto l’atto di costituzione in giudizio del…..;

    Viste le memorie difensive;

    Visti tutti gli atti della causa;

    Relatore nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2019 la dott.ssa Paola Palmarini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

     

    FATTO e DIRITTO

    Espone la ricorrente di essere la dirigente scolastica del Liceo …. di …. e che:

    – in data 22 maggio 2018 le veniva notificato dall’….un atto di contestazione degli addebiti fissando la sua audizione per il giorno12 luglio 2018;

    – in tale contesto si faceva riferimento alla relazione ispettiva pervenuta …. in data 24 aprile 2018 le cui risultanze costituiscono l’ossatura motivazionale del provvedimento di contestazione degli addebiti;

    – l’amministrazione si limitava a fornire solo stralci della relazione ispettiva invitando, tuttavia, la parte ad “accedere agli atti istruttori riguardanti il procedimento a suo carico”;

    – ciò, nondimeno, l’Ufficio rimaneva silente in riferimento alla domanda di accesso presentata in data 28 maggio 2018 volta a conoscere tutti gli atti relativi al procedimento disciplinare differendo la sua audizione alla data dell’11 settembre 2018;

    – in data 12 settembre 2018 l’…. irrogava “la sanzione disciplinare della pena pecuniaria di euro 350,00”.

    Non avendo ottenuto riscontro alla propria domanda di accesso agli atti del 28 maggio 2018 con il presente ricorso ha chiesto l’annullamento del diniego maturato per silentium e l’accertamento del diritto di accesso alla documentazione, con conseguente condanna dell’amministrazione agli adempimenti conseguenziali.

    Si è costituito per resistere il Ministero intimato.

    Alla camera di consiglio del 6 marzo 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.

    Il ricorso è fondato solo in parte nei sensi di cui si dirà.

    Come esposto in fatto la dirigente del Liceo …. ha subito un procedimento disciplinare sfociato nell’irrogazione di una sanzione pecuniaria.

    Dalla contestazione degli addebiti del 18 maggio 2018 emerge che i fatti contestati si “riferiscono ad atti e comportamenti afferenti alla condotta tenuta…in qualità di dirigente scolastico…e sono desunti dalla relazione ispettiva dei dirigenti tecnici incaricati dell’espletamento di indagine ispettiva presso la predetta istituzione scolastica, pervenuti [alla] Direzione Generale in data 24 aprile 2018, che costituisce parte integrante [della]…contestazione degli addebiti”. In particolare, l’indagine ha avuto impulso “da reiterate segnalazioni in merito a comportamenti eterodossi” che sono stati addebitati alla ricorrente.

    Quest’ultima per potersi difendere nell’ambito del procedimento disciplinare ma anche al fine di tutelare la propria persona in altre sedi (e, dunque, a prescindere dal procedimento in corso) ha chiesto con la nota del 28 maggio 2018 i seguenti atti: <<visione ed estrazione di copia, di tutti gli atti relativi al procedimento disciplinare di cui alla citata comunicazione [di attivazione del procedimento disciplinare], tra cui la relazione dei dirigenti tecnici incaricati dell’espletamento dell’indagine ispettiva presso il Liceo.., acquisita dalla Direzione Generale in data 24.4.2018, le “reiterate segnalazione in merito a comportamenti eterodossi addebitati alla S.V.”, “le segnalazioni in merito a comportamenti non in linea con le dimensioni professionali di un dirigente scolastico e non corrispondenti al codice di comportamenti dei pubblici dipendenti, in specie agli artt. 3 e 13 del D.P.R. n. 62/2013”, nonché gli atti relativi “in uno con l’utilizzo di espressioni non certamente conformi ad un comportamento esemplare e imparziale nei rapporti con i colleghi, i collaboratori e i destinatari dell’azione amministrativa”, nonché di “tutti gli in possesso dell’ufficio” nessuno escluso nella stessa richiamati o comunque che verranno utilizzati nell’ambito del procedimento>>.

    L’amministrazione è rimasta silente e con il presente ricorso chiede quindi che venga accertato il suo diritto di accedere alla documentazione richiesta con l’istanza in parola.

    Ritiene il Collegio che in relazione agli atti del procedimento disciplinare (ivi inclusa la relazione ispettiva acquisita dalla Direzione Generale in data 24 aprile 2018) debba riconoscersi in capo alla ricorrente la sussistenza di un “interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è stato chiesto l’accesso”, che l’art. 22 l n. 241/90 prevede quale presupposto per la legittimazione all’azione e l’accoglimento della relativa domanda.

    E’, infatti, pacifico che la conoscenza di tali atti è strumentale alla difesa della ricorrente nell’ambito del procedimento disciplinare subìto e sfociato nell’irrogazione di una sanzione.

    Ciò nondimeno l’amministrazione dovrà oscurare i dati riguardanti l’identità dei segnalanti e il contenuto delle segnalazioni (che, peraltro, sembrano essere state riportate nei tratti essenziali nell’atto di contestazione degli addebiti).

    In questo senso, deve essere respinto il ricorso nella parte in cui è diretto a conoscere le segnalazioni sui comportamenti tenuti e considerati dall’amministrazione “non in linea con le dimensioni professionali di un dirigente scolastico e non corrispondenti al Codice di Comportamento dei pubblici dipendenti, in specie agli artt. 3 e 13 del D.P.R. 62/2013…in uno con l’utilizzo di espressioni non certamente conformi ad un comportamento esemplare e imparziale nei rapporti con i colleghi, i collaboratori e i destinatari dell’azione amministrativa” (cfr. contestazione degli addebiti).

    Alla ostensione di tali segnalazioni ostano le disposizioni di cui all’art. 54bis del d.lg. n. 165/2001 (come da ultimo modificato dall’art. 1 della legge n. 179/2017) il quale com’è noto disciplina il c.d. whistleblowing.

    Tale articolo detta specifiche disposizioni volte a preservare da eventuali ritorsioni il dipendente pubblico che segnali illeciti stabilendo (per quanto qui di interesse) che “1. Il pubblico dipendente che, nell’interesse dell’integrita’ della pubblica amministrazione, segnala al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza di cui all’articolo 1, comma 7, della legge 6 novembre 2012, n. 190, ovvero all’Autorita’ nazionale anticorruzione (ANAC), o denuncia all’autorita’ giudiziaria ordinaria o a quella contabile, condotte illecite di cui e’ venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro non puo’ essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione….2. 2. Ai fini del presente articolo, per dipendente pubblico si intende il dipendente delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, ivi compreso il dipendente di cui all’articolo 3, il dipendente di un ente pubblico economico ovvero il dipendente di un ente di diritto privato sottoposto a controllo pubblico ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile. La disciplina di cui al presente articolo si applica anche ai lavoratori e ai collaboratori delle imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in favore dell’amministrazione pubblica. 3. L’identita’ del segnalante non puo’ essere rivelata. Nell’ambito del procedimento penale, l’identita’ del segnalante e’ coperta dal segreto nei modi e nei limiti previsti dall’articolo 329 del codice di procedura penale. Nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte dei conti, l’identita’ del segnalante non puo’ essere rivelata fino alla chiusura della fase istruttoria. Nell’ambito del procedimento disciplinare l’identita’ del segnalante non puo’ essere rivelata, ove la contestazione dell’addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione, anche se conseguenti alla stessa. Qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione e la conoscenza dell’identita’ del segnalante sia indispensabile per la difesa dell’incolpato, la segnalazione sara’ utilizzabile ai fini del procedimento disciplinare solo in presenza di consenso del segnalante alla rivelazione della sua identita’. 4. La segnalazione e’ sottratta all’accesso previsto dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni”.

    La disposizione è chiara (specie se la si confronta con la formulazione del comma 2 prima delle modifiche apportante nel 2017, ossia: “2. Nell’ambito del procedimento disciplinare, l’identità del segnalante non può essere rivelata, senza il suo consenso, sempre che la contestazione dell’addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione. Qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione, l’identità può essere rivelata ove la sua conoscenza sia assolutamente indispensabile per la difesa dell’incolpato”) nel prevedere due ipotesi: a) procedimento disciplinare scaturito da segnalazioni ma fondato su accertamenti “distinti e ulteriori” rispetto alla segnalazione; b) procedimento disciplinare (e contestazione degli addebiti) che si fonda “in tutto o in parte sulla segnalazione” con la “conoscenza dell’identità del segnalante” indispensabile per la difesa dell’incolpato. In quest’ultimo caso, la segnalazione sarà utilizzabile ai fini del procedimento disciplinare solo in presenza di consenso del segnalante alla rivelazione della sua identità.

    A prescindere dal tipo di utilizzo della segnalazione nell’ambito del procedimento disciplinare vale il principio stabilito dall’art. 54bis cit. che “l’identità del segnalante non può essere rivelata [a meno che non vi sia il suo consenso]” e che “la segnalazione è sottratta all’accesso previsto dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241”.

    Tale principio non risulta valicabile dalla circostanza che l’amministrazione abbia eventualmente fatto (illegittimamente) uso della segnalazione nell’ambito del procedimento disciplinare (sarà poi il giudice, non dell’accesso, che dovrà valutare la legittimità della sanzione a doversene occupare) in quanto la finalità voluta dalle disposizioni in parola (specie, come detto se le si confronta con la precedente formulazione della norma che nel bilanciamento degli opposti interessi, quello dell’incolpato e quello del segnalante, dava sicuramente preferenza al primo) di tutelare l’identità del segnalante tenendo riservato anche il contenuto della segnalazione (dalla quale, evidentemente, è possibile risalire alla persona che ha effettuato la denuncia).

    Nella nuova dizione delle disposizioni, il diritto di difesa dell’incolpato viene garantito dalla non utilizzabilità nel procedimento disciplinare (nell’ipotesi sub b) ossia di contestazione fondata direttamente sulla segnalazione la cui conoscenza è indispensabile per la difesa dell’incolpato) delle denunce per così dire anonime (ossia conosciute solo dall’amministrazione procedente); la violazione di tale regola da parte dell’amministrazione ridonda eventualmente sulla legittimità della sanzione disciplinare irrogata ma non può, in virtù del principio sopra esposto, comportare la possibilità per l’incolpato di conoscere l’identità e il contenuto della segnalazione.

    Si tratta, ad avviso del Collegio, di una precisa scelta del legislatore che ha inteso stimolare in questo modo il controllo diffuso dell’agire dei dipendenti pubblici in un’ottica di prevenzione della corruzione e della cattiva amministrazione (cfr. art. 1, comma 36 della legge 190/2012); in tale contesto la garanzia dell’anonimato del segnalante diventa un elemento fondamentale.

    Tornando al caso che occupa deve farsi cenno a quanto già statuito dalla Sezione con la sentenza n. 3880/2018 (citata dalla difesa erariale) che ha visto contrapposte le medesime parti processuali.

    In quell’occasione la Sezione ha accolto il ricorso della dirigente scolastica volta a conoscere, oltre a una relazione ispettiva e ad altra documentazione, anche il contenuto di un esposto presentato nel dicembre 2016 nei suoi confronti da una dipendente (la cui identità era, comunque, nota). L’accoglimento è scaturito dalla considerazione della non riconducibilità di quella controversia alla fattispecie di cui all’art. 54bis cit. con un ragionamento che non sembra inutile riprodurre in questa sede.

    “Ad avviso del Collegio la fattispecie all’esame non è riconducibile alla normativa dell’articolo 54-bis citata; la disposizione in questione infatti si riferisce ad una fattispecie diversa che è quella del dipendente pubblico che, essendo venuto a conoscenza per ragioni di ufficio della commissione di illeciti da parte di altri dipendenti, pur essendo esposto al rischio di possibili ritorsioni, si risolva a segnalare tali illeciti “nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione” denunciandoli al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza … ovvero all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), o …all’autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile. In tale caso il dipendente (cd. whistleblower) è tutelato dalla norma dell’articolo 54-bis da ritorsioni, in primo luogo garantendo il suo anonimato e (tra l’altro) sottraendo ad accesso la segnalazione dell’illecito. Nel caso all’esame, la signora-OMISSIS-con il suo esposto – che oltretutto non è stato inviato ad alcuna delle autorità indicate nell’articolo 54-bis – non ha agito a tutela dell’interesse all’integrità della pubblica amministrazione ma a tutela dei diritti nascenti dal proprio rapporto di lavoro asseritamente lesi dalla ricorrente nel contesto di una annosa situazione di contrasto che la vede opposta a quest’ultima; in sostanza l’esposto in questione si inserisce in una “ordinaria” controversia di lavoro; se ogni denuncia di violazione dei diritti di lavoratori scaturita da situazioni di conflitto con i superiori fosse ascritta alla fattispecie del whistleblowing (che nasce, anche storicamente, da esigenze di contrasto di fenomeni corruttivi) e di conseguenza i relativi atti fossero sottratti ad accesso ne deriverebbe una irragionevole compressione del diritto di accesso ai documenti che costituisce “principio generale dell’attività amministrativa”. Tra l’altro nella fattispecie è anche evidente che non esiste alcuna esigenza di garantire l’anonimato di un denunciante (dato che la circostanza che la signora-OMISSIS-ha denunciato con esposto le illegittimità che la ricorrente avrebbe compiuto nei suoi confronti è ben nota a tutte le parti). Sintomatico è che le circolari emanate in materia abbiano chiarito che le “le segnalazioni non possono riguardare lamentele di carattere personale del segnalante o richieste che attengono alla disciplina del rapporto di lavoro o ai rapporti con superiori gerarchici o colleghi, disciplinate da altre procedure” (cfr. ad es. la Circ. 28 luglio 2015, n. 64 dell’I.N.A.I.L. o la Circ. 26 marzo 2018 n. 54 dell’I.N.P.S.). In definitiva l’istituto del whistleblowing non è utilizzabile per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori. Questo tipo di conflitti infatti sono disciplinati da altre normative e da altre procedure.

    A ciò si aggiunge che l’inconsistenza della difesa in giudizio dell’amministrazione è confermata dalla circostanza che il diniego parziale di accesso è stato fondato sulla necessità di tutelare l’identità e la riservatezza dei soggetti auditi in sede ispettiva; senonché non si vede in che modo le dichiarazioni in questione possano attenere alla sfera privata e personale degli auditi (di cui è persino contestabile la stessa qualificazione come “controinteressati” ex articolo 22, lettera c della legge n. 241), dato che l’ispezione si riferisce a un contrasto sorto per ragioni di ufficio e relativo a relazioni lavorative che – per quanto è dato sapere – non attengono in alcun modo a relazioni di carattere privato e personale. Insomma i soggetti auditi in sede ispettiva certo non sono stati interrogati su fatti attinenti alla loro sfera personale e privata ma su fatti ed episodi inserentisi nel conflitto sorto in sede lavorativa tra la ricorrente e la-OMISSIS- Oltretutto l’esigenza di tutela della riservatezza è tendenzialmente recessiva a fronte delle esigenze di tutela del diritto alla difesa (salvo il caso di dati cd. sensibili e giudiziari per i quali si applica il comma 7 dell’articolo 24 della legge n. 241)” (cfr. sentenza n. 3880/2018).

    Tornando alla vicenda sottoposta all’attenzione del Collegio deve osservarsi come le segnalazioni nei confronti della ricorrente abbiano sicuramento travalicato i limiti della “controversia di carattere personale” o di “rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti dei superiori”.

    Per inciso deve rilevarsi come la normativa in materia di whistleblowing ponga non pochi problemi all’interprete chiamato a definire, ai fini del diritto di accesso (e senza conoscere il contenuto delle segnalazioni), il predetto confine stabilendo quanto si ha a che fare con una segnalazione effettuata “nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione” e quando nell’interesse personale o per rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro (per i quali sarebbe del tutto irragionevole sottrarre la relativa documentazione all’accesso). Sul punto deve, infatti, rammentarsi come l’istituto in parola si iscriva in un contesto normativo volto a prevenire fenomeni di corruzione in senso lato che includono tutte le ipotesi di cattiva amministrazione ivi compresa, evidentemente, la non adeguata gestione delle risorse umane. D’altra parte, la sussistenza di una motivazione e di un interesse personale non esclude affatto che la denuncia riguardi fenomeni di cattiva amministrazione ai sensi della legge n. 190/2012; stessa cosa può verosimilmente accadere quando il rapporto di lavoro si dispiega in modo tale da avere dei riflessi non solo sul singolo ma sull’intera organizzazione amministrativa.

    Nella fattispecie, l’amministrazione, acquisite le segnalazioni ed effettuata un’indagine ispettiva ha contestato alla ricorrente le seguenti violazioni. “a) inosservanza delle direttive, dei provvedimenti e degli obblighi di servizio, non avendo assicurato il rispetto della legge e delle direttive generali e di quelle impartite dall’Amministrazione; b) aver assunto una condotta non osservante dei principi di buon andamento, imparzialità e trasparenza dell’attività amministrativa, nonché dei principi di leale collaborazione, di diligenza e fedeltà di cui agli artt. 2104 e 2105 del codice civile; c) non aver stabilito, nello svolgimento della propria attività, un rapporto di fiducia e di collaborazione nei rapporti interpersonali con gli utenti, nonché all’interno dell’istituzione e con gli addetti alla struttura, non avendo mantenuto una condotta uniformata a principi di correttezza e non essendosi astenuta da comportamenti lesivi della dignità della persona, nuocendo anche all’immagine dell’amministrazione; d) aver assunto una condotta, negli ambienti di lavoro, non conforme ai principi di correttezza verso i dipendenti; e) aver disatteso all’obbligo di adottare correttamente atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, nonché di provvedere adeguatamente alla gestione finanziaria, tecnica e amministrativa, mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo”. Tra i comportamenti contestati si fa riferimento anche a un possibile danno erariale (per effetto del maturare degli interessi legali) per omessa corresponsione di compensi a un docente.

    La ascrivibilità delle segnalazioni alla categoria di quelli effettuati “nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione” si ricava dalla stessa elencazione degli addebiti e dalla enumerazione delle situazioni che hanno condotto all’adozione del provvedimento disciplinare.

    In conclusione, il ricorso deve essere accolto nella parte in cui riguarda l’accesso alle relazioni ispettive (nonché a tutti gli altri atti istruttori del procedimento disciplinare, ove esistenti) con oscuramento delle parti riguardanti l’identità dei segnalanti e il contenuto delle segnalazioni; il ricorso deve essere respinto nella parte in cui si chiede l’ostensione delle segnalazioni pervenute all’amministrazione procedente.

    Nei sensi sopra precisati va accertato il diritto all’ostensione, per effetto del quale il Ministero dovrà consentire alla ricorrente l’accesso, secondo le modalità indicate in dispositivo.

    Le spese stante la soccombenza reciproca e la novità delle questioni trattate devono essere compensate.

    P.Q.M.

    Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto, così provvede:

    1. a) in parte lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, dichiara l’obbligo del …– di consentire alla parte ricorrente di prendere visione ed estrarre copia, previo rimborso del costo di riproduzione e dei diritti di ricerca e visura, della documentazione richiesta con l’istanza di accesso di cui trattasi nel termine di giorni trenta decorrente dalla comunicazione o, se a questa anteriore, dalla notificazione della presente decisione;
    2. b) lo respinge per il resto;
    3. c) compensa le spese del giudizio.

    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

    Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2019 con l’intervento dei magistrati:

    Paolo Passoni, Presidente

    Davide Soricelli, Consigliere

    Paola Palmarini, Consigliere, Estensore

     
     
    L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
    Paola Palmarini Paolo Passoni
     
     
     
     
     

    IL SEGRETARIO

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

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