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Tribunale di Napoli, Sezione specializzata in materia di impresa, sentenza 4 dicembre 2020 n. 8340

    Fideiussioni Schema ABI – Competenza – Rapporto tra giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e azione antitrust – Giudicato implicito del decreto ingiuntivo non opposto – Nullità delle clausole sanzionate dal provvedimento n.55/2005 – Danno

    La competenza a decidere della nullità dei contratti a valle per effetto della nullità a monte dell’intesa anticoncorrenziale appartiene al Tribunale specializzato in materia di impresa.

    Le azioni stand alone (ove manca l’accertamento dell’illecito da parte dell’AGCM) e le azioni follow on (ove l’accertamento sussiste) differiscono solo per l’onere probatorio a carico dell’istante, più specifico per le azioni stand alone.

    Ricorre un’ipotesi di continenza tra il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e il giudizio di nullità della fideiussione schema ABI, e quest’ultimo deve ritenersi contenente rispetto al primo. Sussiste, inoltre un conflitto tra competenze inderogabili e l’inapplicabilità dell’istituto della continenza ex art. 39 co. 2 c.p.c., sicché l’unico rimedio esperibile sarà la separazione delle cause con sospensione ex art. 295 c.p.c. del giudizio contenuto, ovvero del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.

    Nel caso di decreto ingiuntivo non opposto non può più farsi valere la nullità della fideiussione schema ABI e ciò in ragione dell’applicazione delle regole in materia di giudicato implicito sul dedotto e deducibile.

    L’accertamento compiuto dalla Banca d’Italia ha efficacia di prova privilegiata nell’azione di nullità ed è vincolante in ordine alla prova dell’esistenza della violazione della disciplina sulla concorrenza. Il rimedio configurabile alle fideiussioni schema ABI è quello della nullità virtuale per contrarietà all’ordine pubblico economico oltre al risarcimento del danno, che è rimesso all’onere probatorio dell’istante secondo le ordinarie regole di cui all’art. 2043 c.c.

    Massima a cura dell’avv. Gloria Valeria Ventura e dell’avv. Giancarlo Borriello

     

     

     

    Sentenza n. 8340/2020                                                                                                                               R.G. n. 18096/2018

    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    TRIBUNALE DI NAPOLI

    Sezione specializzata in materia di impresa

    II Collegio composto da:

    dott. Dario Raffone                        Presidente

    dott.ssa Federica Colucci            Giudice

    dott.ssa Maria Tuccillo                 Giudice Relatore

    ha pronunciato la seguente

    SENTENZA

    nella causa civile iscritta al n. r.g. 18096/2018 promossa da:

    Raffaella…, Francesco…. in qualità di eredi di Matteo…  nonché Francesco…., Antonio…. Regina…. questi ultimi in qualità di eredi di Gennaro…., rappresentati e difesi, congiuntamente e disgiuntamente, dagli avvocati …, presso il cui studio sono elett.te dom.ti in …

    ATTORI

    CONTRO

    … BANCA S.P.A., in persona del legale rapp.te pt, rappresentato e difeso in forza di procura rilasciata a margine della comparsa di costituzione e risposta dall’avv. … elett.te dom.to in Napoli alla via … presso lo studio del procuratore domiciliatario avv. ….

    CONVENUTA

    e

    … SPV SRL e per essa, quale mandataria giusta procura speciale, … SPA in persona del procuratore speciale dott. … rapp.te, rappresentata e difesa, giusta procura in calce alla comparsa di costituzione, dall’avv. …. elett.e dom.to presso it proprio indirizzo dii posta certificata ….

    INTERVENTORE

    Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione

    Con atto di citazione ritualmente notificato alla conventa, gli attori deducevano che:

    • Con contratti stipulati in data 1.12.1998, 20.10.2006 e 27.06.2005 Francesco…Gennaro… ( poi deceduto) e Matteo… ( poi deceduto) si costituivano fideiussori a garanzia di obbligazioni assunte dalla società ALFA verso la Banca ….;
    • le fideiussioni sottoscritte erano nulle, in quanto contenenti lo schema contrattuale predisposto dall’ ABI ed in particolare: la clausola di rinuncia alla facoltà prevista dall’art 1957 c.c.; la clausola cd di sopravvivenza; la clausola cd di riviviscenza. Tutte in postulato contrasto con la normativa antitrust, come accertato dalla Banca di Italia con provvedimento n. 55/2005;
    • la sussistenza di un diritto al risarcimento dei danni derivante dall’ eventuale iscrizione del loro nominativo nella centrale rischi della Banca Di Italia, con quantum da liquidarsi in via equitativa.

    Tanto premesso domandavano all’adito Tribunale:

    1.accertare che la banca convenuta ha utilizzato le clausole fideiussorie 2, 6, e 8 del modello ABI, riprodotte pedissequamente negli artt. 2, 6, e 8 dei contratti di fideiussione; 2. accertare che l’utilizzo di tale modulo costituisce violazione dell’art 2, comma 2, lett. a) della legge 287/1990, cosi come stabilito dal provvedimento della Banca Di Italia n. 55/2005; 3. accertare che la Banca, fidando nella validità della clausola derogatoria ex art 1957 c.c., non ha promosso né diligentemente coltivato nei confronti del debitore principale le proprie istanze entro 6/2 mesi dalla scadenza dell’obbligazione e che pertanto la stessa banca è incorsa in responsabilità ex art 1957 cc. e per l’effetto:

    1. dichiarare la nullità delle clausole 2, 6 e 8 dei contratti di fideiussioni per cui è causa e di conseguenza dichiarare l’avvenuta decadenza dal diritto ad agire nei confronti degli attori per non aver rivoIto le sue istanze nei confronti della debitrice e degli istanti nel termine ex art 1957 c.c. ; condannare la convenuta al risarcimento del danni subita dai fideiussori a causa dell’iscrizione nella centrale rischi della Banca Di Italia da liquidarsi 1226 c.c. ; ordinare alla convenuta di cancellare la segnalazione pregiudizievole a danno degli attori con rettifica da eseguire a far data dall’inizio della segnalazione; condannare la convenuta al pagamento delle spese di lite da liquidarsi in favare dei procuratori antistatari.

    Si costituiva in giudizio la Banca convenuta, che in via preliminare eccepiva I‘esistenza di un giudicato nei confronti di Raffaella…e di Francesco…., non essendo opposto il decreto ingiuntivo emesso nei loro confronti sulla base dei medesi rapporti di fideiussione.

    Eccepiva, altresì, Ia litispendenza rispetta al giudizio di opposizione promosso dagli altri attori avverso il decreto ingiuntivo emesso sui medesi contratti di fideiussione, come pendente dinanzi al Tribunale di Nocera Inferiore.

    Nel merito infine eccepiva l’infondatezza della domanda stante Ia non coincidenza delle clausole dei contratti impugnati con lo schema ABI e l’insussistenza dei danni lamentati.

    Ciò posto, domandava in via preliminare accogliersi l’eccezione di giudicato nei confronti di Raffaella….e Francesco… nella qualità di eredi di Matteo…; dichiarare la litispendenza in merito alle domande rassegnate da Francesco….Regina….e Antonio…, nella qualità di eredi di Gennaro…. e per effetto dichiararle inammissibili e improponibili e cancellare la causa dal ruolo.

    Con comparsa di intervento ex art 111 c.p.c. si costituiva …. Srl. e per essa, giusta procura speciale, Ia ….SPA in qualità di cessionaria anche dei crediti discendenti dai contratti oggetto di causa.

    …SPA si riportava alle difese spiegate dalla convenuta, facendole proprie, richiamando tutti i documenti depositati dalla convenuta.

    La causa era istruita con deposito di documenti e, a seguito di discussione orale davanti al Collegio, riservata in decisione all’udienza del 10.06.2020. Con ordinanza depositata in data 1.10.2020 il Tribunale rimetteva la causa sul ruolo invitando le parti a precisare se i contratti di fideiussioni oggetto del giudizio fossero gli stessi di quelli fondanti il decreto ingiuntivo opposto da alcuni degli attori dinanzi al Tribunale di Nocera Inferiore al fine di decidere sulle .

    All’udienza del 29.10.2020 la causa era rimessa al Collegio con la concessione su richiesta delle parti dei termini ex art 190 cp.c. ridotti.

    Il fascicolo era trasmesso dalla cancelleria in data 1.12.2020 per la decisione.

    Tanto premesso in fatto, mette conto evidenziare che il tema oggetto della presente controversia involge questioni non solo di carattere sostanziale, ma anche processuale, su cui il Collegio è dunque chiamato in via preliminare a pronunciarsi.

    L’ individuazione del giudice competente per materia a decidere tali controversie che, prima facie, sembrano riguardare tematiche che attengono sic et simpliciter al diritto bancario o comunque alla materia dei contratti, e attualmente tema oggetto di un fervido dibattito sia in dottrina che in giurisprudenza.

    Il contrasto tra i diversi orientamenti e le soluzioni offerte scaturiscono non solo dal rilievo che in tali giudizi si chiede l’accertamento dell’invalidità del contralto “a valle” e non dell’intesa illecita “a monte”, con conseguenti dubbi sulla competenza del giudice specializzato ( v. sul punto ordinanza del Trib. di Catanzaro del 5.03.2020), ma anche dalla contestuale pendenza dei giudizi di nullità per violazione della normativa antitrust e dei giudizi di opposizione avverso i decreti ingiuntivi emessi in forza delle medesime fideiussioni impugnate.

    Questa situazione, che oggi si presenta assai diffusa a livello nazionale nei Tribunali, è determinata o dalla contemporanea pendenza del giudizio di opposizione davanti al Tribunale non specializzato che ha emesso il decreto ingiuntivo e del giudizio di nullità e risarcimento dei danni per violazione della normativa antitrust davanti al Tribunale delle imprese oppure dalla pendenza dinanzi a diverse sezioni del medesimo Tribunale di tali giudizi sempre tra le medesime parti e cioè davanti alla sezione ordinaria il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e davanti alla sezione specializzata del medesimo Tribunale del giudizio di nullità e risarcimento dei danni per violazione della normativa antitrust.

    A complicare ulteriormente questo quadro, di per se’ difficile da “districare” e da comprendere per l’interprete, è l’ipotesi in cui il decreto ingiuntivo emesso sulla base del contratto di fideiussione di cui si chiede accertarsi la nullità non sia stato opposto dal fideiussore e sia passato in giudicato.

    Da quanto delineato appare evidente, dunque, che il tema della competenza per materia del Tribunale delle imprese nelle controversie, come quella in esame, costituisca il trade d’union di tutte le questioni sostanziali e processuali che attengono alle fattispecie in esame.

    In tutte le ipotesi innanzi illustrate, stante l’identità dei soggetti e del rapporto invocato su cui si fonda il decreto ingiuntivo (nel giudizio di opposizione) e la domanda di nullità e risarcitoria (nel giudizio in materia di antitrust), nasce la necessità di individuare il giudice competente a decidere, al fine di scongiurare a monte un conflitto tra competenze inderogabili (quella funzionale del Tribunale che ha emesso il decreto ingiuntivo rispetto al giudizio di opposizione e quella per materia del Tribunale specializzata in materia impresa rispetto alle controversie in materia di antitrust).

    Sul punto, mette conto evidenziare che l’art. 18, comma 1, lett. b) del dlgs. n. 3 del 19 gennaio 2017, modificando l’articolo 4 del dlgs. n. 168/ 2003, stabilisce che, per le controversie di cui all’art. 3, comma 1, lettere c) e d), anche quando ricorrono i presupposti del comma 1-bis, sono inderogabilmente competenti la sezione specializzata in materia di impresa di Milano, la sezione specializzata in materia di impresa di Roma e la sezione specializzata in materia di impresa di Napoli.

    Le controversie di cui all’art. 3 cit. sono rispettivamente quelle contemplate dall’articolo 33, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287 e quelle relative alla violazione della normativa antitrust dell’Unione Europea.

    II dato letterale della previsione e le difficolta di individuarne l’ambito oggettivo, atteso che il legislatore fa riferimento genericamente alle <<controversie di cui all’articolo 33, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287>> e alle <<controversie relative alla violazione della normativa antitrust dell’Unione Europea>>, ha suscitato dubbi circa la riconducibilità a tale nozione delle azioni di nullità dei contratti di fideiussione sottoscritti “a valle” rispetto all’intesa. L’art 33 cit., invero, richiama il titolo I della legge 287/1990 che definisce il concetto di intesa e ne disciplina le ipotesi di nullità.

    Sul punto si sono registrati due diversi e contrapposti orientamenti nell’ambito della giurisprudenza di merito.

    Secondo alcune pronunce, il semplice fatto che l’attore- utente finale -ponga a fondamento della propria domanda di nullità (totale/parziale) del singolo contratto “a valle” e/o di risarcimento del danni, l’illiceità dell’intesa “a monte” per contrasto con le norme (europee e/o nazionali) in materia di concorrenza, cosi come accertata dall’autorità competente (AGCM/Commissione), determinerebbe la competenza inderogabile per materia delle sezioni specializzate in materia di impresa ( ex multis v. Trib. di Milano sezione specializzata in materia di impresa sent.n. 6008/2017). In altri arresti è stato, di contro, affermato che la competenza del Tribunale delle imprese riguarderebbe unicamente le azioni volte a far accertare direttamente Ia nullità dell’intesa “a monte”, sicché ogniqualvolta tale accertamento sia già stato compiuto (dall’AGCM o dalla Commissione), il giudizio avente ad oggetto l’accertamento della nullità del contratto «a valle» rientrerebbe nella competenza del giudice ordinario (v. sent. Trib. Catania n. 4243 / 2019).

    A sostegno di tale ultimo assunto si è evidenziato che nelle controversie aventi ad oggetto la nullità della fideiussione, perché redatta sulla base del sanzionato schema elaborato dall’ABI nel 2003, il Giudice non deve valutare l’intesa “a monte”, ma deve limitarsi a verificare la coincidenza tra la fideiussione oggetto di causa ed il testo frutto dell’intesa restrittiva. Diversamente e in violazione dell’art. 3 del d.Igs. n. 168/2003, si attribuirebbe al Tribunale delle imprese l’intero contenzioso bancario (v. Tribunale Catanzaro ordinanza del 5.03.2020 cit.).

    Le conclusioni che portano a negare la competenza del Tribunale delle imprese nelle cause come quella in esame, ad avviso del Collegio non possono esser condivise.

    È noto che la competenza per materia si determini in base al petitum sostanziale della domanda, identificabile in funzione soprattutto della causa petendi sicché, tenuto conto della natura dell’accertamento cui è chiamato il Tribunale, volto a verificare l’esistenza di un’intesa illecita “a monte” da cui discenderebbe la nullità dei contratti ” valle “, non può in alcun modo negarsi Ia competenza per materia del Tribunale delle imprese a decidere tali controversie.

    Queste, invero, possono farsi rientrare in quelle contemplate dall’art 4 del dlgs. n. 168/2003, così come modificato dall’art. 18, comma 1, lett. b) del dlgs. n. 3 del 19 gennaio 2017.

    Il discrimen tra azioni follow on, cioè promosse a seguito di un accertamento dell’illecito da parte dell’AGCM e azioni stand alone, ove manca tale accertamento, non rileva sotto il profilo della competenza, che resta del Tribunale specializzato ogniqualvolta venga chiesto accertarsi la nullità dell’intesa “a monte” a fini dell’accertamento della nullità del contralto ” a valle”.

    Nelle prime, infatti, la violazione del diritto della concorrenza sarà provato dall’accertamento dell’AGCM, vincolante per il Tribunale nei limiti di quanta statuito dall’art. 7 del d.lgs. 3/2017; nelle seconde, al contrario, tale accertamento dovrà avvenire sulla base di quanta specificamente allegato e provato dall’istante su cui incombe l’onus probandi.

    Alle medesime conclusioni, e dato addivenire con rifermenti ai giudizi di nullità aventi ad oggetto le fideiussioni specifiche.

    In tali procedimenti, poiché il provvedimento della Banca di Italia del 2005 non ha efficacia vincolante o comunque di prova privilegiata in relazione all’esistenza dell’illecito antitrust, rectius dell’ intesa “a monte” , poiché lo stesso riguarda solo le fideiussioni omnibus , il Tribunale dovrà sulla base di quanta specificamente allegato e provato dall’istante, accertare non solo che le clausole inserite nella fideiussione impugnata siano parte dello schema redatto dall’ ABI sanzionato, ma verificare altresì una diffusa “standardizzazione contrattuale” che abbia generato effetti anticoncorrenziali, attraverso la diffusione di clausole che impediscono un equilibrato contemperamento degli interessi delle parti, ostacolando altresì la possibilità di diversificazione del prodotto offerto sul mercato ( v. sul punto anche Cass. sent. n.13846/ 2019).

    Considerazioni analoghe possono essere svolte anche in relazione alla vicenda EURIBOR. Come noto l’euribor è un tasso di interesse di riferimento utilizzato sui mercati monetari internazionali, il cui scopo è quello di rispecchiare il costo dei prestiti interbancari da una banca primaria ad un’altra banca primaria all’interno della zona euro. II sistema di calcolo che le banche utilizzano per applicare il tasso di interesse ai contratti di finanziamento a tasso variabile consiste nell’utilizzare il tasso di riferimento (Euribor) al quale viene aggiunto il c.d. spread attraverso il quale la banca ottiene il proprio guadagno reale.

    L’indice Euribor in quanto tale non rappresenta un guadagno per la banca, ma semmai un costo sicché, un indice più basso consente alla banca erogatrice di vendere il prodotto ad un costo più basso per la clientela e, quindi più competitivo sul mercato. Orbene, la Commissione europea con la decisione del 4 dicembre 2013 ha accertato che l’illecito delle banche è consistito nell’avere << a volte, comunicato e/o ricevuto preferenze per un fixing invariato, basso o elevato di determinate scadenze dell’Euribor>> e che queste << preferenze dipendevano dalle loro posizioni di negoziazione/esposizione>>.

    Ciò significa che la condotta delle banche contestata dalla Commissione non ha riguardato un costante e sistematico incremento dei prezzi, ma più semplicemente il fatto che tale condotta era finalizzata a ridurre il costo del denaro che la banca avrebbe dovuto pagare oppure ad aumentare il prezzo del denaro che la banca avrebbe dovuto ricevere a seconda della posizione della singola banca nei rapporti con le altre banche. Non v’e dubbio, quindi, che l’intesa ha senz’altro alterato la concorrenza nei confronti delle altre banche estranee all’accordo illecito.

    Tale circostanza, tuttavia, non può affermarsi in modo automatico e acritico con riferimento ai consumatori finali, i quali in tutti i casi di fissazione dell’indice Euribor ad un livello più basso avrebbero tratto un vantaggio in termini di riduzione del tasso di interesse finale applicato nel singolo contratto di mutuo.

    Anche in tali giudizi evidentemente il Tribunale non potrà limitarsi a prendere atto acriticamente della decisione della Commissione e, una volta accertata l’esistenza del richiamo all’Euribor nel contratto di mutuo impugnato dichiararne la nullità, dovendo anche in tal caso accertare, sulla base delle allegazioni dell’ attore l’esistenza di una condotta integrante un’intesa da cui far discendere la nullità (v. sul punto ordinanze del Tribunale di Napoli sezione specializzata in materia di impresa del 24.07.2019 e del 17.09.2020).

    Alla luce delle considerazioni che precedono, va dunque riconosciuta la competenza per materia del Tribunale delle imprese adito a decidere della presente controversia. Chiarito l’ambito della competenza per materia, occorre a questo punto procedere all’esame dell’eccezione di litispendenza e di giudicato formulata da parte convenuta.

    Con riferimento alla prima, secondo la prospettazione offerta dalla difesa di parte convenuta, confermata dagli attori (v. verbale dell’udienza del 29.10.2020), pende dinanzi al Tribunale di Nocera Inferiore il giudizio di opposizione promosso da alcuni degli odierni attori avverso il decreto ingiuntivo ottenuto dalla banca è fondato sui medesimi contratti di fideiussione impugnati in questa sede. Questa situazione, ad avviso della convenuta, determinerebbe un’ipotesi di litispendenza.

    L’eccezione è da ritenersi infondata e va rigettata, atteso che nella fattispecie in esame, anche se i giudizi pendono dinanzi a due diversi Tribunali, non si tratta di un’ipotesi di litispendenza, quanta di continenza.

    Questa ipotesi si verifica, infatti, nel caso in cui i due giudizi, pur identici per parti e titolo, sono diversi nell’oggetto soltanto quantitativamente (c.d. litispendenza parziale), ovvero quando gli stessi sono comunque legati da un rapporto di interdipendenza per contrapposizione o alternatività (c.d. continenza per specularità), riferendosi ad un unico rapporto negoziale e vertendo su questioni vincolate da pregiudizialità logico-giuridica per la definizione del giudizio successivo sul punto ex multis v. Cass. n. 16831/ 2012; Cass. n. 15532/2011; Cass. n. 21333 /2010 e Cass. n. 186 /2001).

    Nella fattispecie in esame, invero, il giudizio opposizione ha ad oggetto l’accertamento della fondatezza del diritto azionato con il ricorso monitorio (ex multis S.U.7448/93; Cass. n. 16831/2012; Cass. n.13161/2012; Cass. n. 15532/2011; Cass. n.32020/2019, Cass. n.7020/2019) mentre il giudizio di nullità ha ad oggetto l’accertamento dell’intesa “a monte” e della nullità delle clausole e/ o del contratto “a valle” per cui viene domandato il risarcimento dei danni.

    È evidente, dunque, che questo ultimo giudizio e da ritenersi “contenente” rispetto al giudizio di opposizione e che si è presenza di un ” conflitto” tra competenze inderogabile: quella funzionale del Tribunale che emesso il decreto ingiuntivo per il giudizio di opposizione e quella per materia del Tribunale delle imprese per il giudizio di nullità del contratto di fideiussione per violazione della disciplina antitrust.

    L’inderogabilità delle competenze dei due Tribunali, non rilevando ad avviso del Collegio il discrimen tra competenza funzionale (per il giudizio di opposizione) e per materia (per il giudizio in materia di antitrust), non consente, tuttavia, nonostante il rapporto di continenza tra le cause, l’applicazione del relativo istituto previsto dall’art 39 2°comma c.pc., perché ciò rappresenterebbe di fatto una deroga a quelle rispettive competenze “forti”.

    Ciò posto, nel caso come quello  in esame in cui il giudizio di opposizione sia instaurato anteriormente, stante il rapporto di “continenza” ed infine l’inapplicabilità della disciplina prevista dall’ art 39 2° cp.c., l’unico rimedio cui potrà ricorrere il Giudice dell’opposizione è quello della separazione delle cause, con rimessione di quella in materia di antitrust al giudice competente per materia (sul punto in senso conforme v. ordinanza del Tribunale di Napoli sezione specializzata in materia di impresa dell’11.03.2020) .

    Tale conclusione ha, invero, di recente trovato conferma in una pronuncia della Suprema Corte ove si è ritenuto che “L’art. 645 c.p.c., disponendo the l’opposizione a decreto ingiuntivo deve essere proposta dinanzi all’ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso il decreto, ha stabilito una competenza funzionale e non derogabile, neanche per ragioni di continenza o di connessione. Ne consegue che, qualora nel corso del giudizio di opposizione sia stata formulata una domanda di garanzia impropria nei confronti di un’amministrazione dello Stato, domanda appartenente, ai sensi dall’art. 25 c.p.c., alla competenza territoriale inderogabile di altro giudice, il giudice dell’opposizione deve disporre la separazione delle cause, trattenendo il procedimento di opposizione e rimettendo l’altra al giudice territorialmente competente, salva la successiva applicazione, da parte di quest’ ultimo, dei principi in materia di sospensione dei processi. (Cass. civ. Sez. VI – 2 Ord., 18/06/2020, n. 11796; in senso conforme Cass. 7.07.2011 n. 15052; Cass. 7.1.2000 n. 15528; Cass. 8.8.2017, n.19738).

    Alla luce di quanto innanzi evidenziato, dunque, va rigettata l’eccezione di litispendenza formulata da parta convenuta, stante il rapporto di continenza esistente tra le cause.

    Inoltre, l’inderogabilità della competenza, sia essa funzionale che per materia, rende inapplicabile lo strumento della continenza ex art 39 2 comma cp.c., potendosi superare il conflitto tra competenze inderogabili solo attraverso la separazione delle cause.

    Ne consegue, dunque, la cognitio piena del Tribunale qui adito.

    In merito all’eccezione di giudicato formulata da parte convenuta, va precisato quanta segue.

    Il presente giudizio e stato promosso da Raffaella … Francesco…. in qualità di eredi di Matteo…. nonché Francesco…, Antonio…. e Regina… quest’ ultimi in qualità di eredi di Gennaro…, tuttavia nei confronti di alcuni di loro, precisamente Raffaella …e Francesco …, iI decreto ingiuntivo ottenuto dalla banca convenuta è fondato sui medesimi rapporti di fideiussione non risulta opposto (circostanza non contestata dagli attori).

    La vicenda involge la vexata quaestio della portata oggettiva del giudicato del decreto ingiuntivo in caso di mancata opposizione.

    È principio pacifico in seno alla giurisprudenza di legittimità quello per cui ii giudicato copra il dedotto e iI deducibile in relazione al medesimo oggetto: sono coperte da giudicato sostanziale, quindi, non solo le ragioni giuridiche e di fatto esercitate in giudizio ma anche tutte le possibili questioni, proponibili in via di azione o eccezione che, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici, essenziali e necessari, della pronuncia (cfr., tra le tante, Cass. civ., Sez. Un., n. 13916/2006; Cass. civ., Sez. Lav., n. 3488/2016; Cass. civ., Sez. Lav., n. 14535/2012; Cass. civ., sez. 1, n. 22520/2011).

    Tale principio, invero, in un primo momento ha subito un temperamento con riferimento al decreto ingiuntivo non opposto, in relazione al quale l’efficacia di giudicato era limitata soltanto al dedotto, stante le peculiarità del procedimento per ingiunzione. (Cass. civ., Sez. Lav., n. 9857/ 2002; Cass. civ., Sez. Lav., n. 5854/2003). La giurisprudenza più recente si è, invece, consolidata nel senso che anche iI giudicato sostanziale conseguente alla mancata opposizione di un decreto ingiuntivo copre non soltanto l’esistenza del credito azionato, del rapporto di cui esso è oggetto e del titolo su cui il credito ed iI rapporto stessi si fondano, ma anche l’inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi del rapporto e del credito precedenti al ricorso per ingiunzione. Non si estende, invece ai fatti successive al giudicato ed a quelli che comportino un mutamento del petitum ovvero della causa petendi in seno alla domanda rispetto al ricorso esaminato dal decreto esecutivo (Cass. civ., sez. III, n. 11360/2010; Cass. civ., sez. III, n. 28318/2017; Cass. civ., sez. VI – 3, n. 19113/2018).

    Evidenti appaiono le ricadute pratiche dell’accoglimento dell’uno piuttosto che dell’altro orientamento interpretativo: ove, infatti, si opti per una portata limitata del giudicato implicito in presenza di decreto ingiuntivo non opposto, la preclusione derivante dal giudicato attiene esclusivamente al bene della vita indicato nel ricorso monitorio, con la conseguenza che, nel successivo giudizio ordinario od anche nel successivo procedimento d’ingiunzione, il creditore istante potrà azionare un diverso credito od anche una diversa frazione del medesimo credito derivante dal medesimo rapporto, essendo diversi i petita dei distinti giudizi.

    Ove, invece, si concluda per la piena equiparazione della efficacia di giudicato del decreto monitorio non opposto a quello della sentenza non più impugnabile, l’efficacia preclusiva dell’accertamento è destinata ad estendersi anche alle questioni presupposte che non siano state fatte valere in sede di opposizione, non essendo più consentito al debitore nel successivo giudizio, porre in discussione la validità ed efficacia del medesimo rapporto in cui aveva trovato titolo ii credito non opposto.

    Orbene, ritiene iI Collegio di condividere e far propria le conclusioni cui ha condotto l’evoluzione giurisprudenziale registratasi in tema di giudicato “implicito” ritenendo, dunque, che l’autorità del giudicato copra sia iI dedotto che iI deducibile, cioè non soltanto le ragioni giuridiche fatte espressamente valere, in via di azione o in via di eccezione, nel medesimo giudizio (giudicato esplicito), ma anche tutte quelle altre che, se pure non specificamente dedotte o enunciate, costituiscano, tuttavia, premesse necessarie della pretesa e dell’accertamento relativo, in quanto si pongono come precedenti logici essenziali e indefettibili della decisione (giudicato implicito).

    Da ciò ne discende quindi che “qualora giudizi tra le stesse parti abbiano per oggetto un medesimo negozio o rapporto giuridico e uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, pertanto, l’accertamento compiuto circa una situazione giuridica o la risoluzione di una questione di fatto o di diritto incidente su punto decisivo comune a entrambe le cause o costituente indispensabile premessa logica della statuizione contenuta nella sentenza passata in giudicato, precludono il riesame del punto accertato e risolto, anche nel caso in cui il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che costituiscono lo scopo e ii petitum del primo ( v. Cass n. 9712/2020).

    Ad identiche conclusioni si può addivenire con riferimento al decreto ingiuntivo non opposto.

    Il fatto che il provvedimento sia stato emesso inaudita altera parte non toglie valore all’accertamento compiuto dal Tribunale circa la sussistenza del credito ingiunto e del rapporto su cui si fonda.

    L’ambito di accertamento del Tribunale, fondato inizialmente sul ricorso e dunque su quanto allegato e provato dal ricorrente ai sensi dell’art 633 e ss cp.c.., e il contradditorio ” limitato”, è frutto di una scelta del resistente, al quale è rimessa l’iniziativa di estendere l’accertamento attraverso il giudizio di opposizione, che altro non è se non un giudizio a cognizione piena e a contraddittorio integro, soggetto ai termini di preclusione di cui al combinato disposto degli artt. 641 e 645 c.p.c..

    Nel caso, dunque, in cui non sia stato proposto il giudizio di opposizione, quanto statuito nel decreto ingiuntivo, emesso nei suoi confronti e non opposto, coprirà il dedotto e il deducibile.

    Alla luce di tali considerazioni, ritiene il Tribunale che il decreto ingiuntivo fondato su un contratto e non opposto spiega effetti sostanziali e processuali del tutto equivalenti al giudicato non solo sulla pretesa creditoria azionata in via monitoria, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono, anche solo implicitamente, il presupposto logico-giuridico, coprendo con i relativi effetti preclusivi sia il dedotto che il deducibile (così Cass. n. 22465/2018; Cass. n. 1221/2020; Cass n. 12111/2020).

    L’eccezione di giudicato formulata dalla convenuta nei confronti degli attori Raffaella …. e di Francesco…, che non hanno proposto opposizione al decreto ingiuntivo n. … del 9.10.2017 emesso dal Tribunale di Nocera Inferiore sulla base dei contratti di fideiussione oggetto del presente giudizio va accolta, e per l’effetto la domanda proposta dagli stessi va dichiarata inammissibile.

    Passando all’esame del merito della domanda, va evidenziato che gli istanti chiedono dichiararsi la nullità delle fideiussioni impugnate e il risarcimento dei danni

    In particolare, gli attori deducono che la clausola di rinuncia alla facoltà prevista dall’art 1957 c.c.; la clausola cd di sopravvivenza e la clausola cd di riviviscenza inserite nei contratti di fideiussioni impugnati coincidono con quelle facenti parte dello schema ABI considerato in contrasto con la normativa antitrust dalla Banca di Italia con il provvedimento n. 55/2005.

    Da ciò ne discenderebbe, secondo la difesa di parte attrice, la nullità dei contratti o delle suindicate clausole.

    Orbene, in primis, va rilevato che i contratti sottoposti all’esame del Tribunale e per i quali si chiede la declaratoria di nullità sono fideiussioni ominibus, sicché alla luce di quanta innanzi evidenziato, l’accertamento compiuto dalla Banca di Italia, che riguarda proprio lo schema inserito in tali contratti ha efficacia di prova previlegiata nell’azione di nullità (v. sul punto Cass. sent. n. 13846/2019), ed è vincolante quanta alla prova della violazione della disciplina a tutela della concorrenza nell’azione risarcitoria.

    Il Tribunale, infatti, ritiene che nella fattispecie in esame trovi applicazione l’art 7 del dlgs. n. 3/2017 a mente del quale “ai fini dell’azione di risarcimento dei danni si ritiene definitivamente accertato nei confronti dell’autore la violazione del diritto della concorrenza constatata da una decisione dall’autorità garante della concorrenza e del mercato“. Tale norma infatti ha carattere processuale, in quanto mira evidentemente a garantire uniformità nelle decisioni al fine di “migliorare la certezza del diritto ed evitare contraddizioni nell’applicazione degli art 101 e 102 TFUE” come si legge al considerando 34 della direttiva 2014/104 in attuazione della quale e stato adottato il dlgs 3/2017 cit. Ciò posto, occorre stabilire la ricaduta degli gli effetti del provvedimento della Banca di Italia cit sui contratti “a valle” e cioè sulle fideiussioni omnibus come quelle oggetto del presente giudizio.

    La difficoltà di dare una risposta immediata al quesito sorge, invero, dalla peculiarità della vicenda, riconducibile al fatto che il contratto è un’entità distinta dall’intesa, in relazione alla quale è stata accertata la violazione, ma ad essa “collegata” in quanta riprende il contenuto delle clausole dello schema adottato dall’ ABI di cui è stata verificato il carattere anticoncorrenziale.

    Tali caratteristiche hanno aperto da tempo un dibatto in dottrina e in giurisprudenza volto all’individuazione del rimedio civilistico esperibile nei confronti dei suddetti contratti di fideiussioni.

    Le opposte posizioni nascono dal diverso modo in cui si considera il contratto stipulato a “valle” rispetto all’intesa perpetrata “a monte”. Coloro, infatti, che guardano a tale vicenda in un’ottica prettamente “atomistica” e “pubblicistica”, nel silenzio del legislatore, ritengono il contratto valido, laddove sia stato perfezionato in presenza di tutti requisiti strutturali previsti dalla legge e non persegua in se’ una causa illecita.

    Secondo tale ricostruzione, infatti, il contratto e le sue clausole, in quanto frutto dell’autonomia negoziale delle parti non potranno subire gli effetti invalidanti dell’accertamento della nullità e/ o della caducazione di un rapporto giuridico diverso ed intercorso tra terzi ( v. Trib Treviso n. 1623/2018) .

    In senso diametralmente opposto invece si muove la giurisprudenza che individua un Iegame non solo sotto il profilo fattuale ma anche degli effetti tra l’intesa “a monte” e il contratto “a valle”, configurando talvolta un’ipotesi di nullità totale talvolta un’ipotesi di nullità parziale ( v. Cass SU sent. 2207/2005; Cass. sent. n. 29810/2017; Cass. sent. n. 13846/2019; Cass. sent. n. 24044/2019; Trib. Roma sent. del 29.01.2019; Corte di Appello di Bari sent n. 45/2020 del 15.01.2020).

    II Collegio, sulla scia della pronuncia delle Sezioni Unite del 2005 ( v. sentenza n. 2207/2005 cit ) ritiene che il fenomeno in esame non possa esser osservato in un’ottica prevalentemente pubblicistica, ma occorra porre l’attenzione anche sulla posizione del soggetto contraente estraneo all’intesa e al pregiudizio che questi subisce per effetto di un’intesa vietata, di cui il contratto costituisce “lo sbocco”.

    Il contratto “a valle”, invero, non può ritenersi estraneo rispetto al fenomeno anticoncorrenziale, considerato nel suo complesso ed evoluzione, ma è esso stesso lo strumento attraverso il quale si estrinsecano, sul piano fattuale, gli effetti dell’intesa, di cui ne riprende il contenuto e con cui in concreto si altera il gioco della concorrenza, mediante una limitazione dei modelli negoziali offerti sul mercato dalle banche.

    Se, infatti, si escludesse un “collegamento” (nell’accezione innanzi evidenziata, che esula dal concetto di collegamento negoziale strictu sensu) tra l’intesa nulla e il contratto stipulato “a valle”, in termini di ricaduta della nullità dell’illecito a monte sullo strumento negoziale, si farebbero sopravvivere gli effetti stessi dell’intesa, rendendo vani gli obbiettivi di difesa e promozione del mercato concorrenziale, propri del diritto della concorrenza.

    In tale ottica ritiene il Tribunale che con riferimento alle fideiussioni, laddove sia accertato che le clausole del contratto siano il “frutto” rectius l’estrinsecazione di un’intesa illecita ex art 2 della legge 287/1990, possa configurarsi oltre al rimedio del risarcimento dei danni anche quello civilistico della nullità.

    Tale vizio, tuttavia, diversamente da quanto da alcuni sostenuto, non può ricondursi all’ illiceità della causa, derivante da una sorta di collegamento negoziale c.d. unilaterale o per accessorietà (ove a un contratto “principale” si accompagnano uno o più “contralti accessori” che da esso dipendono).

    Per configurare un collegamento negoziale non è sufficiente il requisito oggettivo dell’inquadramento di due contratti nell’ambito di una più ampia operazione economica complessiva, ma è anche necessario il requisito soggettivo di un intento condiviso tra le parti, le quali devono voler orientare i due negozi al perseguimento di un obiettivo materiale comune.

    Nell’ipotesi del contratto “a valle” manca tale requisito, essendo parte del contratto di fideiussione un soggetto estraneo rispetto all’intesa distorsiva della concorrenza. Né si ritiene di condividere la tesi secondo cui la nullità deriverebbe dall’illiceità dell’oggetto, in quanto contrario alle norme imperative contenute nella legislazione antimonopolistica o, comunque, al principio di ordine pubblico economico secondo cui il mercato deve operare in regime di libera concorrenza.

    A tale ricostruzione si può obiettare che nei contratti di fideiussione le condizioni contrattuali imposte dall’impresa non sono illecite ma lo è il meccanismo di determinazione del contenuto del contratto.

    Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale ritiene che nella fattispecie in esame il vizio che colpisce le clausole delle fideiussioni, riproduttive del contenuto del modulo ABI, integri un’ipotesi di nullità “virtuale” , ex art. 1418, comma 1°, c.c. per contrarietà diretta a norme imperative di ordine pubblico economico.

    In altre parole, le deroghe alla disciplina codicistica presenti net modulo ABI sarebbero legittime— come bene evidenziato dall’Autorità garante nel provvedimento del 2005 — se inserite nelle condizioni generali di contratto di un’impresa comune, ma diventano illecite nel momento in cui sono adottate da un ente in grado di uniformare le condizioni dell’offerta su una porzione significativa del mercato di riferimento.

    In questo caso, infatti, il contratto diventa lo “sbocco” dell’intesa, lo strumento cioè attraverso il quale si realizzano gli effetti dell’illecito anticoncorrenziale, sicché esso stesso, è colpito da nullità ponendosi in contrasto con la disciplina posta a tutela della concorrenza.

    In tale ipotesi, poiché lo schema contrattuale è frutto della predeterminazione unilaterale da parte della banca, unico soggetto che può fornire la prova dell’essenzialità delle clausole ai fini della stipula del contralto circostanza che non può in alcuno modo desumersi sic et simpliciter dall’alterazione del sinallagma contrattuale-, il vizio riguarderà, quindi, solo le clausole del contralto di fideiussione “interessate” dall’intesa, ai sensi e per gli effetti della previsione di nullità parziale di cui all’art 1419 c.c. (in senso conforme v. Cass. sent. n. 24044/2019).

    Ciò posto, la domanda di nullità spiegata dagli attori Francesco…, Antonio… e  Regina… va accolta per quanto di ragione, limitatamente alle clausole n. 2,6, 8 inserite nei contralti impugnati stante la coincidenza con quelle oggetto dell’intesa accertata dal provvedimento della Banca di Italia cit..

    Il Tribunale, infine, rigetta la domanda di risarcimento dei danni spiegata dai medesimi attori, in quanto infondata.

    Sul punto mente conto evidenziare che il “vincolo” costituito della decisione dell’AGCM , e previsto dall’art 7 del dlgs 3/2017 a mente del quale “ai fini dell’azione di risarcimento dei danni si ritiene definitivamente accertata nei confronti dell’autore la violazione del diritto della concorrenza constatato da un decisione dell’ autorità garante della concorrenza e del mercato” , non si estenda né al nesso di causalità ne all’esistenza del danno, che è rimesso all’onere probatorio della parte istante.

    Tale conclusione trova conforto nel rilievo che laddove il legislatore ha inteso estendere l’efficacia della decisione dell’AGCM al nesso di causalità e al danno lo ha fatto espressamente , come all’art. 14 del d. lgs n. 3 del 2017, 2 comma in materia di cartelli per i quali ha introdotto una presunzione iuris tantum , statuendo che “l’esistenza del danno cagionato da una violazione del diritto alla concorrenza consistente in un cartello si presume salvo prova contraria dell’autore della violazione” .

    Ciò posto, salvo che in materia di cartelli, nelle azioni di risarcimento dei danni, trattandosi di azioni aquiliane ex art 2043 c.c., l’attore in ossequio al principio dell’onere della prova, dovrà allegare e provare il danno causalmente riconducile all’illecito lamentato secondo quanto stabilito dagli artt. 1223,1226 e 1227 c.c. cui rinvia espressamente l’art 14 comma del dlsg 3 cit.

    Orbene, nella fattispecie in esame la mera allegazione generica di un danno morale ex art 2059 c.c. e un danno all’immagine subito in conseguenza della segnalazione alla centrale rischi della Banca di Italia non è sufficiente di per se solo a far ritenere provata la domanda, potendosi ricorrere al criterio equitativo ex art 1226 c.c., invocato dagli istanti, solo laddove il danno non possa essere provato nel suo preciso ammontare.

    Nel caso in esame alcuna prova viene fornita dagli attori in merito alla sussistenza del nesso di causalità e dei danni conseguenti : non si comprende infatti se gli asseriti danni siano causalmente riconducibile all’illecito anticoncorrenziale o al contratto di fideiussione sottoscritto a valle, atteso che nulla viene allegato sul punto se non l’iscrizione nella centrale rischi della Banca di Italia, che come si è già evidenziato di per se sola non è idonea a provare alcunché sotto il profilo dei danni lamentati.

    La domanda risarcitoria va dunque rigettata, perché in alcun modo provata.

    In merito al governo delle spese di lite, ritiene il Tribunale che la complessità delle questioni trattate e l’evoluzione giurisprudenziale registratasi sul punto giustifichi l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.

    PQM

    II Tribunale di Napoli sezione specializzata in materia di impresa nella suindicata composizione sulla domanda proposta da Raffaella…, Francesco…, Francesco…, Antonio…. e Regina… , disattesa ogni altra istanza, difesa ed eccezione, cosi definitivamente decide:

    – Dichiara inammissibile tutte le domande proposte da … Raffaella e Francesco…. ;

    Accoglie la domanda di nullità proposta da Francesco…, Antonio…. e Regina… e per l’effetto dichiara la nullità delle clausole n. 2,6,8 dei contratti di fideiussione impugnati;

    – Rigetta la domanda di risarcimento dei danni proposta da Francesco…, Antonio…. e Regina…;

    – Compensa integralmente le spese di lite tra tutte le parti.

    – Manda alla cancelleria per le comunicazioni di rito.

    Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del 2.12.2020

     

    Il giudice relatore                                                                                                         II Presidente

    dott.ssa Maria Tuccillo                                                                                               dott. Dario Raffone

     

     

     

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