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TAR CAMPANIA – NAPOLI, Sez. II, sentenza, 29 dicembre 2020, n. 6485

    Principio di vicinanza della prova e principio dispositivo con metodo acquisitivo. Ordine di demolizione. Comunicazione di avvio del procedimento in ipotesi di atti aventi natura sanzionatoria per il destinatario. Applicazione dell’art. 21-octies, comma 2, secondo periodo L. n. 241/1990. Onere motivazionale ex art. 3, L. n. 241/1990 in presenza di atti vincolati.

    Nel caso in cui gli elementi atti a sostenere la fondatezza della domanda giudiziale azionata sono nella disponibilità della parte ricorrente grava su quest’ultima l’onere di dimostrare la propria tesi circa la pregressa consistenza e la datazione delle opere.

    Il principio c.d. dispositivo con metodo acquisitivo può essere utilizzato con riferimento solo ad atti e documenti formati ovvero custoditi dall’Amministrazione, per i quali, non essendovi un immediato e generalizzato accesso da parte del privato, potrebbe risultare più difficile l’assolvimento dell’onus probandi nei rigorosi termini di cui all’art. 2967 c.c.

    L’ordinanza di demolizione va emanata senza indugio e, in quanto tale, non deve essere preceduta da comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di una misura sanzionatoria per l’accertamento dell’inosservanza di disposizioni urbanistiche, secondo un procedimento di natura vincolata.

    L’abusività delle opere rende l’ordine di demolizione rigidamente vincolato ragion per cui, persino in rapporto alla tutela dell’affidamento e all’interesse pubblico alla demolizione, esso non richiede alcuna specifica valutazione delle ragioni d’interesse pubblico né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati e neppure una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione, non essendo, peraltro, configurabile alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di illecito permanente, che il tempo non può legittimare in via di fatto.

    Al fine di disporre la demolizione è, infatti, sufficiente il richiamo dell’abusività dell’opera in rapporto alla strumentazione urbanistica e di tutela paesaggistica, senza che occorra, per la piana applicazione della normativa di settore alcuna altra precisazione.

    Massime a cura degli avv.ti Benedetta Leone e Sara D’Orso

     

    Pubblicato il 29/12/2020

    06485/2020 REG.PROV.COLL.

    05982/2014 REG.RIC.

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

    (Sezione Seconda)

    ha pronunciato la presente

    SENTENZA

    sul ricorso numero di registro generale 5982 del 2014, proposto da
    (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato (omissis);

    contro

    Comune di (omissis) in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati (omissis);

    per l’annullamento

    dell’ordinanza dirigenziale n.31 del 2014 notificata il 30.7.14 del dirigente del comune di (omissis) con la quale si ordina la demolizione entro 90gg dalla notifica delle opere realizzate in (omissis);

    Visti il ricorso e i relativi allegati;

    Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);

    Visti tutti gli atti della causa;

    Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 17 novembre 2020 il dott. Luca Cestaro, celebrata l’udienza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale ai sensi degli artt. 4 co. 1 del D.L. 28/2020 (conv. con L. 70/2020) e 25 del D.L. 137/2020;

    FATTO

    1.1. La (omissis) impugna l’ordinanza di demolizione n. 31 del 21.07.2014 con cui il Comune di (omissis) sanziona, ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. 380/2001, un’immobile eseguito abusivamente alla via (omissis). L’opera sanzionata è un rustico (piano terra e primo piano) con una superficie di circa 100 mq per piano già presente sulle foto di “google hearth” nel 2004.

    La parte ricorrente censura plurimi profili di violazione di legge e di eccesso di potere, con particolare riferimento a:

    1. I) il difetto di istruttoria per non essersi verificato che l’immobile è di assai risalente costruzione, antecedente al 1967 e, di recente, è stato solo sottoposto a interventi manutentivi e di restauro; in merito, si fa riferimento all’analisi effettuata da un perito che, tuttavia, non è risulta allegata né menzionata con i precisi estremi (nome del perito, data);
    2. II) la violazione di legge per non essersi considerato che gli interventi di manutenzione e restauro richiedevano la sola D.I.A. con conseguente impossibilità di applicare la sanzione demolitoria;

    III) il difetto di motivazione per l’omessa puntuale qualificazione dell’abuso;

    1. IV) l’omessa attivazione delle dovute garanzie procedimentali e in particolare della comunicazione di avvio del procedimento;
    2. V) la imprecisa indicazione dell’area di sedime ai fini della successiva acquisizione.

    1.2. Il Comune di (omissis) chiede il rigetto del ricorso rilevando, fra l’altro, come non sia stata fornita alcuna prova della pretesa vetustà dell’opera.

    1.3. All’esito dell’udienza pubblica del 17.11.2020, svolta con le modalità indicate in epigrafe, la causa era trattenuta in decisione.

    DIRITTO

    2.1. Il ricorso è manifestamente infondato.

    2.2. Come si è accennato nella parte in fatto, la perizia a cui si fa riferimento nel ricorso non è presente in atti; neppure è presente, peraltro, qualsivoglia altro documento o elaborato tecnico che dimostri la pretesa vetustà dell’opera che risulta soltanto affermata dalla parte ricorrente.

    In merito, giova ricordare che, per un elementare principio di vicinanza della prova, grava sulla parte ricorrente l’onere di dimostrare la propria tesi circa la pregressa consistenza e la datazione delle opere (v., ex multis, Sent. T.A.R. Napoli, sez IV, n.1802/2020; n. 1125/2018, n. 4805/2017, n. 2051/2010, n. 11362/2010).

    Con maggiore impegno esplicativo (v. T.A.R. Napoli, sez. VI, 02/04/2012, n.1521), occorre rammentare che il principio cd. dispositivo con metodo acquisitivo – operante nel processo amministrativo – trova ragione di essere in riferimento solo ad atti e documenti formati ovvero custoditi dall’Amministrazione, per i quali, non essendovi un immediato e generalizzato accesso da parte del privato, più difficile potrebbe risultare l’assolvimento dell’onus probandi nei rigorosi termini di cui all’art. 2967 c.c.

    Il ricorrente, in tali ipotesi, è tenuto solo ad allegare un principio di prova, spostandosi, per il resto, a carico dell’amministrazione l’onere di fornire la prova contraria alle deduzioni esposte in domanda e di dimostrare la legittimità dell’atto impugnato.

    Viceversa, in tutti i casi – com’è quello di specie – nei quali gli elementi atti a sostenere la fondatezza della domanda giudiziale azionata sono nella disponibilità della parte, si riespande la regola generale per cui grava interamente sulla parte medesima l’onere di provare le proprie allegazioni.

    L’attenuazione del principio di cui all’art. 2967 c.c., non può, dunque, trovare applicazione nel caso in esame, trattandosi di fatti rientranti nella sfera di conoscibilità del solo ricorrente con conseguente necessità di fornire validi supporti dimostrativi a sostegno delle proprie allegazioni.

    Il suddetto principio – già introdotto in via pretoria – trova oggi formale consacrazione nell’art. 64 (comma 1°) del D.Lgs. 2-7-2010 n. 104, secondo cui “Spetta alle parti l’onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni“.

    Alla luce delle considerazioni appena riportate, l’onere probatorio relativo all’epoca di realizzazione dell’opera grava in capo alla parte ricorrente che di tale circostanza intenda avvalersi per sostenere la non necessarietà del titolo edilizio; in mancanza di tale attività probatoria, la prima censura deve essere respinta poiché infondata.

    1. La conclusione appena raggiunta comporta l’infondatezza delle altre censure.
    2. Infondata è, in particolare, la seconda censura che si basa appunto sulla portata meramente manutentiva degli interventi contestati in epoca recente; è evidente che, mancando la prova della effettiva risalente preesistenza del manufatto, tale tesi risulta parimenti sprovvista del necessario supporto probatorio.

    5.1. Parimenti, infondate sono, poi, le censure sub III e IV.

    5.2. In particolare, trattandosi di nuova costruzione (art. 3 lett. e.1. del D.P.R. 380/2001) sprovvista del necessario permesso di costruire, l’ordine di demolizione si presenta come atto del tutto vincolato e tanto dimostra l’infondatezza della censura relativa all’omesso invio della comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 L. 241/1990.

    Come più volte affermato dal Giudice Amministrativo, infatti, l’ordinanza di demolizione «va emanata senza indugio e, in quanto tale, non deve essere preceduta da comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di una misura sanzionatoria per l’accertamento dell’inosservanza di disposizioni urbanistiche, secondo un procedimento di natura vincolata tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato, che si ricollega ad un preciso presupposto di fatto, cioè l’abuso, di cui peraltro l’interessato non può non essere a conoscenza, rientrando direttamente nella sua sfera di controllo» (T.A.R. Napoli, sez. III, 07/09/2015, n. 4392).

    Peraltro, non può dubitarsi dell’operatività dell’art. 21 octies co. 2, secondo periodo, della legge 241 del 1990 a mente del quale «il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato» (sul punto, la giurisprudenza, anche della sezione è costante; v., ex plurimis, Cons. St., sez. IV, 26 agosto 2014 n. 4279; id., 07 luglio 2014 n. 3438; id., 20 maggio 2014 n. 2568; id., 09 maggio 2014 n. 2380; T.A.R. Milano, sez. IV, 22 maggio 2014 n. 1324; T.A.R. Napoli sez. IV, 16 maggio 2014 n. 2718; id., sez. II 15 maggio 2014 n. 2713; id., l8 dicembre 20l3, n. 5853 e n. 5811).

    5.3. Quanto alla censura relativa a presunte carenze della motivazione, come si è costantemente affermato da parte della giurisprudenza amministrativa, l’abusività delle opere rende l’ordine di demolizione rigidamente vincolato ragion per cui, persino in rapporto alla tutela dell’affidamento e all’interesse pubblico alla demolizione, esso non richiede alcuna specifica valutazione delle ragioni d’interesse pubblico né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati e neppure una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione, non essendo, peraltro, configurabile alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di illecito permanente, che il tempo non può legittimare in via di fatto (ex multis, v. T.A.R. Napoli Campania, sez. IV, n. 03614/2016 e sez. VI n. 2441/2011; Consiglio di Stato sez. IV 16 aprile 2012 n. 2185).

    Al fine di disporre la demolizione è, infatti, sufficiente il richiamo dell’abusività dell’opera in rapporto alla strumentazione urbanistica e di tutela paesaggistica, senza che occorra, per la piana applicazione della normativa di settore alcuna altra precisazione.

    È opportuno, a questo proposito, segnalare che le conclusioni appena riportate sono state confortate dall’Adunanza Plenaria (Sent. n. 9/2017) che ha affermato il seguente principio di diritto: «il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino».

    È appena il caso di notare come, nel caso di specie, l’abuso sia stato precisamente descritto nella propria entità e ubicazione, così come sono state ben individuate le norme applicate: nessun difetto di motivazione è, quindi, imputabile al provvedimento in esame.

    1. Quanto alla censura relativa alla mancata precisa definizione dell’area di sedime, va detto che tale circostanza non inficia la legittimità del provvedimento demolitorio. L’indicazione dell’area da acquisire potrà, infatti, essere precisata in un momento successivo all’emanazione del provvedimento sanzionatorio, ossia nella fase dell’esecuzione. In tal senso, giova ribadire il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui nella motivazione dell’ordine di demolizione è necessaria e sufficiente l’analitica definizione delle opere abusivamente realizzate, in modo da consentire al destinatario della sanzione di rimuoverle spontaneamente, mentre non è necessaria la descrizione precisa della superficie occupata e dell’area di sedime destinata ad essere gratuitamente acquisita al patrimonio comunale in caso di inottemperanza alla predetta ingiunzione, potendo la specificazione intervenire nella successiva fase dell’accertamento della medesima inottemperanza (T.A.R. Napoli Campania sez. II, 06 settembre 2013, n. 4199; v., anche, T.A.R. Napoli Campania sez. VI, 04 luglio 2013, n. 3492; Tar Campania, questa sesta sezione, 16 giugno 2011, n. 3194, 11 maggio 2011, n. 2624; Tar Lazio, Roma, sez. I, 07 marzo 2011, n. 2031; Tar Puglia, Lecce, sez. III, 09 dicembre 2010, n. 2809). Anche tale doglianza è, pertanto, infondata.
    2. Alla luce di quanto precede si dimostra la manifesta infondatezza del ricorso che va, pertanto, respinto. Le spese di lite, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza come per legge.

    P.Q.M.

    Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

    -) lo respinge;

    -) condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite nei confronti del Comune di (omissis) che si liquidano in euro 3.000,00 (tremila) oltre agli accessori di legge;

    -) ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

    Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 17 novembre 2020, svolta mediante collegamento da remoto ai sensi dell’art. 25 del decreto legge n. 137/2020, con l’intervento dei magistrati.

    Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 17 novembre 2020, svolta mediante collegamento da remoto ai sensi dell’art. 25 del decreto legge n. 137/2020, con l’intervento dei magistrati:

    Paolo Corciulo, Presidente

    Gabriele Nunziata, Consigliere

    Luca Cestaro, Consigliere, Estensore

     
     
    L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
    Luca Cestaro Paolo Corciulo
     
     
     
     
     

    IL SEGRETARIO

     

     

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