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CONTRIBUTI TRASPORTO PUBBLICO

    TAR CAMPANIA, NAPOLI, SEZ. III – sentenza 18 maggio 2016, n. 2545

    Contributi trasposto pubblico

    Giurisdizione. Annullamento d’ufficio illegittimo per violazione termine ragionevole.

    Eccesso di potere per sviamento. Parallelo con la simulazione negoziale.


    N. 02545/2016 REG.PROV.COLL.

    N. 06535/2010 REG.RIC.

    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

    (Sezione Terza)

    ha pronunciato la presente

    SENTENZA

    sul ricorso numero di registro generale 6535 del 2010, proposto da:
    Comune di … in Persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv. …, con domicilio eletto presso il primo in Napoli, presso l’Avvocatura Municipale;

    contro

    Regione …., rappresentata e difesa dall’avv. …., con domicilio eletto presso il medesimo in ….., Via …., . presso l’Avvocatura Regionale;
    …. Spa, non costituita;

    per l’annullamento

    del Decreto Dirigenziale n. 127 del 14/09/2010, notificato il 27/09/2010, emesso dal Dirigente dell’A.G.C. 14 – Trasporti e Viabilità della Giunta Regionale della …ed avente ad oggetto “Comune di …… S.p.A. revoca contributi periodo 1994/2002”;

    di ogni altro atto presupposto, connesso o conseguenziale, comunque lesivo dei diritti del Comune ricorrente.

    Visti il ricorso e i relativi allegati;

    Visto l’atto di costituzione in giudizio di Regione …….;

    Viste le memorie difensive;

    Visti tutti gli atti della causa;

    Relatore nell’Udienza pubblica del giorno 8 marzo 2016 il Consigliere Avv. Alfonso Graziano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

    FATTO

    1.1. Con il ricorso in epigrafe, regolarmente notificato e depositato, il Comune di …, unico azionista dell’Azienda …. (di seguito Azienda) impugna il decreto dirigenziale regionale n. 127 del 14.9.2010 recante revoca dei contributi d’esercizio erogati in acconto all’Azienda stessa ai sensi della L. Reg. n.16/1983 per inadempienze della medesima all’obbligo di trasmissione dei dati di cui all’art. 12, stessa legge riferiti ai parametri di effettivo costo del servizio di trasporto pubblico entro il 31 gennaio dell’anno successivo a quello di afferenza dei contributi stessi.

    Giova premettere ai fini del migliore inquadramento della controversia, la ricostruzione dei tratti salienti della vicenda, contrassegnata da svariate pronunce giurisprudenziali occasionate dal fitto contenzioso ingeneratosi tra le parti.

    La vertenza origina dai presupposti di diritto creati dalla Legge quadro statale n. 10/4/1981, n. 151 sull’ordinamento, la ristrutturazione ed il potenziamento dei servizi pubblici locali e sull’istituzione del Fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio del settore dei trasporti pubblici locali.

    La Regione .. diede attuazione ai principi contenuti nella citata legge statale con la legge regionale 25.1.1983, n. 16 e successive modificazioni ed integrazioni, che ha fissato i criteri e le norme per l’erogazione dei contributi regionali di esercizio di cui all’art. 6 della legge 10/4/81, n. 151, agli Enti ed alle aziende pubbliche e private che esercitano servizi di trasporto pubblico locale.

    I contributi de quibus sono oggetto di anticipazione da parte della Regione, la quale li eroga a preventivo ai sensi dell’art.6 della legge regionale sopra citata, calcolandone l’importo in ragione degli elementi di cui agli artt. 4 e 5, sulla base di parametri, riferiti alle componenti di costo del servizio di cui all’art.4 della L.R. 16/83, annualmente determinati dalla Giunta Regionale in via preventiva e presuntiva tenuto conto delle aliquote di ricavi teorici fissati dal Ministero dei Trasporti con apposito decreto ministeriale ai sensi dell’art. 6, L. n. 151/1981. La stessa Legge Regionale 16/83 tuttavia prevede la possibilità di successivi conguagli con le procedure di cui agli artt. 2, c. 2, e 10 della medesima; conguagli che in forza dell’art. 10, stessa legge, dovevano avvenire entro il 31 maggio dell’anno successivo a quello di riferimento.

    Espone il Comune di Napoli che per i quattro anni dal 1994 al 1997 la Regione Campania non provvide a suo tempo alla determinazione di eventuali conguagli e con l’apposita legge ad hoc n. 5 del 5 agosto 1999, stabilì che ” in deroga a quanto disposto dall’art 10 della L.R. 25 gennaio 1983, n. 16, la Giunta Regionale determina, entro tre mesi dalla entrata in vigore della presente legge, i conguagli dei contributi di esercizio erogati in acconto per gli anni 1994, 1995, 1996 e 1997 ” (art. 17 della legge regionale della Campania 5/1999 ) e con quattro successive distinte delibere, legittimate dalla riportata previsione legislativa, assunte il 3 marzo 2000 la G.R. della Campania, avvalendosi del predetto provvedimento legislativo appositamente approvato per rimettersi in termini dopo l’avvenuta decadenza collegata al mancato esercizio della facoltà di operare i conguagli entro i limiti temporali fissati dall’art.10 LR. 16/83 cit., provvide retroattivamente alla determinazione dei conguagli dei contributi di esercizio in relazione alle annualità dal 1994 al 1997 e dispose di recuperare le somme che riteneva di aver versato in eccedenza a favore dell’A.N.M., ammontanti per il periodo 1994 -1997 a circa 100 miliardi delle vecchie lire.

    1.2. Dette delibere venivano impugnate con distinti ed autonomi ricorsi davanti a questo T.A.R. che con sentenza n. 6558 del 2002 giudicava fondati i ricorsi “in relazione al rilievo, di natura assorbente, di superamento anche del nuovo termine trimestrale fissato dall’art.17 della legge regionale n.5/1999”, sancendo che “avendo la Regione deliberato l’ammontare dei conguagli “de quibus “con delibera n.1217 del 3 marzo 2000, ‘esercizio del potere è avvenuto incontestabilmente oltre il termine trimestrale previsto dalla medesima legge regionale n, 5/99 art. 17”.

    La sentenza citata è stata impugnata ma il ricorso in appello è stato dichiarato perento con Decreto decisorio del Consiglio di Stato n. 1650 del 2.9.2011.

    Lamenta ancora il Comune di … che la Regione …, con pervicacia, dopo la soccombenza nel primo tentativo di operare retroattivamente i conguagli malgrado l’intervenuta decadenza in forza dell’art. 10 della L. R. 16/83, si è nuovamente rimessa in termini mediante l’approvazione di un’ulteriore norma speciale, ossia l’art. 1 della L.R. 8/2004, che ha riaperto i termini dell’art.17. L.R. n. 5/99, assegnando ai competenti uffici regionali un nuovo termine di ulteriori 90 gg. per procedere alla rideterminazione dei conguagli.

    2.1. Al che, in forza e sul presupposto del predetto art. 1 della L.R. 8/2004 la Regione, col Decreto Dirigenziale Area Generale di Coordinamento n.66 del 4.2.2005 la Regione ha disposto la riapprovazione dei conguagli riferiti ai contributi di esercizio erogati in acconto a favore dell’A. per gli anni 1994-1997 richiedendo nel 2005 la restituzione di una somma pari ad oltre 51 milioni di euro.

    Contestualmente, con il medesimo provvedimento la Regione, sulla premessa di essere creditrice nei confronti dell’A. proprio 51 milioni di euro, ha anche disposto la compensazione di tale credito con i contributi spettanti alla A. ai sensi della diversa normativa di cui alla legge statale n. 194/98, contributi pari a circa 48 milioni di euro.

    2.2. Anche tale provvedimento è stato oggetto di impugnazione innanzi al Tribunale

    con due distinti ricorsi sia da parte dell’A. sia da parte del Comune di …, in accoglimento dei quali questa Sezione statuì l’annullamento del decreto regionale n. 66 del 2005 e con Ordinanza del 24 novembre 2005 rimise gli atti alla Consulta sospettando di incostituzionalità la L. Reg. n. 8/2004.

    La Corte Costituzionale con sentenza n. 156/2007 ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art.1, comma 3, della legge della Regione … 12 novembre 2004, n. 8 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania – Legge finanziaria regionale 2004) e dell’art. 17, comma 1, della legge della Regione Campania 5 agosto 1999, n. 5 (Disposizioni di finanza regionale).

    Riassunto da parte dei ricorrenti il giudizio innanzi a questo TAR, la Regione proponeva regolamento preventivo di giurisdizione innanzi alla Suprema Corte chiedendo anche la sospensione del giudizio ai sensi dell’art. 41 c.p.c.

    Respinta tale istanza, proposta dalla Regione, di sospensione del giudizio in relazione al proposto regolamento di giurisdizione, la Sezione accolse i proposti ricorsi in considerazione del venir meno del presupposto normativo in base al quale la Regione aveva riaperto i termini per effettuare i conguagli dopo un decennio, ovverosia dell’art.1 della L. Reg. n.8 del 2004, dichiarato incostituzionale in corso di giudizio e pertanto a sua volta illegittimo e conseguentemente annullato con la sentenza n. 15599/2007 passata in cosa giudicata per mancata proposizione di appello.

    2.3. Si duole al riguardo il Comune di …. che a dispetto della pronuncia della Consulta e di questa Sezione, la Regione, benché intimata dall’A.N.M. con diffida del 1 ottobre 2008 a dare

    esecuzione alla sentenza n. 15599/2007, non erogava e tratteneva i 48 milioni di

    euro di contributi dovuti in ossequio alla legge n.194/98, anzi notificando atto di citazione il 0.10.2008, con il quale chiedeva al Tribunale Civile di Napoli di farsi riconoscere, previo accertamento dell’intervenuta decadenza a motivo del grave inadempimento

    dell’A.N.M.., il diritto di ripetere i 51 milioni di euro o, in subordine, la corresponsione della medesima somma a titolo di arricchimento senza giusta causa.

    3. Frattanto la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione con Ordinanza n. 3764 del 2009 dichiarando la giurisdizione del G.O. sul rilievo che l’intervenuta declaratoria di incostituzionalità della norma di cui all’art. 1 della L R. n. 8/2004 in forza del quale la Regione aveva adottato il decreto n. 66/2005 aveva determinato la carenza di potere in concreto all’emanazione di detto provvedimento.

    In osservanza di tale decisione l’A. domandava al Tribunale di Napoli, previa accertamento dell’illegittimità dell’operata (con il d.d. n. 66/2005) compensazione credito – debito, la condanna della Regione a corrisponderle i contributi di esercizio di cui alla L. n. 194/1998 per 48 milioni di euro. Il Tribunale civile ha introitato in decisione il ricorso il 20.9.2010 e qualche giorno prima la Regione, concludendo il procedimento, avviato con comunicazione del 3.62009 (alla quale ampiamente controdeducevano sia il Comune che l’ANM con nota del 5.8.2009 ) di revoca dei contributi a consuntivo erogati del 1994 al 2002, adottava il decreto dirigenziale n. 127 del 14.9.2010 con cui revocava i contributi erogati in base alla L. Reg. n. 16 del 1983 dal 1994 al 2002 contestualmente richiedendo al Comune di Napoli l’importo di ben 802.811.296,00 di euro, “per motivi di opportunità ed equità” ridotti a soli 48.699.916,85 euro.

    4.1. Insorgeva avverso detto decreto il Comune di …. notificando il ricorso in epigrafe, affidato a otto motivi di diritto.

    Si costituiva la Regione in resistenza con memoria e produzione documentale del 3 gennaio 2011, preliminarmente eccependo il difetto di giurisdizione del G.A. e l’inammissibilità del gravame per violazione del principio del ne bis in idem sostenendo l’identicità del gravame rispetto “ad un precedente contenzioso instaurato dai ricorrenti innanzi a Codesto Eccellente Tribunale amministrativo e conclusosi con l’accoglimento da parte della Suprema Corte di Cassazione del regolamento di Giurisdizione avanzato dalla Regione , giusta Ordinanza n. 3794/09”.

    Il Comune di … produceva memoria il 10.1.2011.4.2. Alla Camera di consiglio del 13.1.2011, dedicata alla trattazione della domanda cautelare, la causa veniva cancellata dal ruolo degli affari cautelari su richiesta della difesa del Comune di Napoli, come risulta dal relativo verbale di camera di consiglio.

    Il 15.1.2015 il Sindaco del Comune di Napoli depositava nuova istanza di fissazione dell’Udienza di trattazione stante il dichiarato interesse alla definizione del proposto giudizio.

    Il Comune di Napoli produceva memoria e documenti per il merito il 16 febbraio 2016.

    La Regione non depositava memoria.

    Alla pubblica Udienza dell’8 marzo 2016 sulle conclusioni delle parti la causa è stata trattenuta a sentenza.

    Come avvertito il gravame è affidato a otto motivi di diritto, che saranno appresso partitamente oggetto di illustrazione in uno con il loro separato scrutinio.

    DIRITTO

    1.1. Deve preliminarmente essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione del ne bis in idem sostanziale sollevata dalla Regione con la memoria del 3 gennaio 2011 assumendo che il ricorso in disamina sarebbe identico sia nel petitum che nella causa petendi “ad un precedente contenzioso instaurato dai ricorrenti innanzi a Codesto Eccellente Tribunale amministrativo e conclusosi con l’accoglimento da parte della Suprema Corte di Cassazione del regolamento di Giurisdizione avanzato dalla Regione …., giusta Ordinanza n. 3794/09”.

    1.2. Ad avviso del Collegio l’eccezione si prospetta nettamente destituita di fondamento sol che si consideri che il giudizio cui la difesa regionale fa riferimento, ossia il ricorso numero di registro generale 3025 del 2005 interposto dal Comune di …. e definito con la Sentenza della Sezione n. 15599 del 29.11.2007, aveva ad oggetto il decreto dirigenziale regionale m. 66 del 4.2.2005 recante la riapprovazione dei conguagli riferiti ai contributi di esercizio erogati in acconto all’A. per il triennio 1994-1997, laddove il gravame in scrutinio è direzionato avverso il d.d. n. 127 del 2010 disponente la revoca, recte l’annullamento dei contributi concessi al Comune e all’A. per il più lungo arco temporale che corre dal 1994 al 2002.

    Diversi essendo sia i provvedimenti impugnati (nel primo caso il d.d. n. 66/2005, nel secondo il d.d. n. 127/2010) sia lo spettro oggettivo dei medesimi (nel primo caso la rideterminazione dei contributi a consuntivo per il limitato triennio 1994 – 1997; nel secondo la revoca in toto dei concessi contributi relativamente ad un più ampio arco temporale esorbitante il mero triennio predetto e corrente fino al 2002) non può affatto farsi questione di identicità di petitum né di causa petendi, non essendo conseguentemente luogo a parlare di ne bis in idem sostanziale.

    2.1. Né miglior sorte riceve la contestuale eccezione di difetto di giurisdizione articolata dalla Regione con la stessa memoria argomentando che, oltre alla circostanza che la fattispecie è stata rimessa alla cognizione del G.O. cui entrambe le parti litiganti si erano allora rivolte, recente giurisprudenza ha acclarato che le controversie relative al pagamento a titolo di contributo dei maggiori oneri derivanti dallo svolgimento del servizio pubblico locale, devono qualificarsi come “corrispettivi” e rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario secondo Cons. di Stato, V, n.7530 del 15.10.2010 e Cass. S.U. 4.7.2006, n. 15216.

    2.2. Osserva per contro il Collegio come la fattispecie che ci occupa in nessun modo può essere apparentata a quella che la richiamata e nota giurisprudenza devolve al g.o. e che va doverosamente circoscritta alle pretese nascenti dall’applicazione del regolamento CEE n. 1191/69 come modificato dal regolamento CEE 1893/91, il quale ha stabilito in capo agli Stati membri l’obbligo della compensazione dei costi sostenuti dalle imprese gravate da obblighi di servizio pubblico da parte delle medesime autorità.

    Sul punto rammenta il Collegio che la Sezione si è già svariate volte occupata della materia allineandosi alla giurisprudenza impropriamente dalla Regione invocata nell’odierna fattispecie e sancendo l’appartenenza alla giurisdizione ordinaria delle relative controversie (cfr. T.A.R. Campania – Napoli, Sez. III, 12 giugno 2012 n. 2785 ; T.A.R. Campania – Napoli, Sez. III, 26.9.2014, n. 5077).

    Viceversa è di solare evidenza che i contributi in acconto oggetto dell’impugnata “revoca” sono quelli erogati agli Enti locali titolari del servizio di trasporto pubblico e alle loro aziende esercenti il medesimo in ossequio alla L. Reg. n. 16 del 1983, rispetto ai quali si pone la vexata questio della effettuazione dei conguagli tra quanto attribuito e quanto dovuto in applicazione dei fattori, afferenti al costo del servizio e alla sua rimuneratività, che erano oggetto di comunicazione da parte delle Aziende gestrici entro il 31 gennaio dell’anno successivo a quello di riferimento affinché l’Ente regionale procedesse ai relativi conguagli a consuntivo sulla scorta dei predetti dati analitici.

    Ne consegue che le correlate partite economiche non possono essere qualificate stricto sensu come “corrispettivi”(la cui cognizione è devoluta al G.O.), configurando, invece, contributi dovuti ex lege, come tali non assimilabili a corrispettivi.

    2.3. Difetta poi nella fattispecie in disamina, soggiunge ad colorandum il Collegio, la necessaria struttura bifasica di un ordinario rapporto di concessione di provvidenze pubbliche in seno alla quale possa individuarsi l’emersione di un segmento posto “a valle” del provvedimento amministrativo presupposto di ammissione al beneficio e devoluto alla competenza giurisdizionale del g.o. laddove vengano contestati al soggetto attributario del finanziamento, comportamenti violativi del sinallagma disegnato dall’atto di concessione o dall’avviso pubblico regolativo ovvero da norme di legge rilevanti comunque a livello dell’assetto di interessi creato dal provvedimento di concessione e dal relativo disciplinare.

    Nella fattispecie per cui è causa, invero, manca, perché non contemplato dalle norme, un atto di ammissione a contributo “a monte” costituente lo spartiacque della giurisdizione per via dell’individuazione della fase provvedimentale ed autoritativa devoluta al G.A. e di quella collocantesi a valle ed involgente i profili esecutivi di matrice negoziale, devoluta invece alla cognizione del G.O.

    Tutta la parabola involgente la fruizione dei contributi ex lege Reg. n. 16/1983 si esaurisce infatti in un unico procedimento, tutto amministrativo e pubblicistico, culminante con l’effettuazione e la determinazione dei contributi a conguaglio.

    Orbene, nell’ambito di tale unitaria fase, tutta procedimentale e pubblicistica, le eventuali inadempienze contestabili al Comune o all’Azienda di gestione del servizio si misurano non rispetto ad un parametro negoziale o discendente dal contratto di concessione o dal bando, ma rispetto al paradigma normativo di riferimento costituito dalle norme della legge regionale (o del relativo regolamento) e pertanto tali inadempienze ridondano in vizi originari della concessione del contributo, pacificamente conseguendone la giurisdizione del giudice amministrativo (ex multis da Consiglio di Stato, Ad. Plen. n. 6/2014; Consiglio di Stato, Sez. III, 13 maggio 2015 n. 2403; T.A.R. Veneto, Sez. III, 11 novembre 2015 n. 1184 ).

    In definitiva, il provvedimento all’esame del Collegio, seppur denominato revoca, presenta in realtà i connotati essenziali di un annullamento d’ufficio dei contributi in origine erogati a titolo di acconto ed è come tale devoluto alla giurisdizione di questo Giudice..

    3. Tutto ciò opportunamente posto e precisato in chiave di inquadramento sostanziale e processuale della fattispecie, va anticipato che il ricorso in scrutinio si profila fondato in relazione a molteplici motivi prefiguranti sia la violazione dei presupposti definiti ex art. 21 – nonies, L. n. 241 del 1990 sub specie della violazione del termine ragionevole per l’annullamento d’ufficio di un provvedimento ampliativo, sia un sostanziale sviamento di potere, sia un’elusione del giudicato, sia difetto del presupposto di diritto per disporre la revoca, presupposto non contemplato, per le contestate inadempienze, dalla L. Reg. n. 16/1983 né dal Regolamento attuativo della L. reg. n. 3/2002 che la prima ha sostituito.

    In ossequio, peraltro, al dovere di sinteticità di cui all’art. 3 c.p.a., si scrutineranno solo i motivi testé cennati, maggiormente satisfattivi delle ragioni del ricorrente Comune e denuncianti i vizi di maggiore spessore e rilievo sostanziale, assorbendosi gli ulteriori profili di censura.

    4.1. A contestazione in generale dell’avvenuto esercizio da parte della Regione del potere di autotutela tradottosi nella revoca del finanziamento pronunciata, il Comune ricorrente articola il primo e fondamentale motivo di ricorso, con il quale si censura in radice ed in toto la disposta autotutela per violazione dei principi fondamentali cui detto potere è astretto e soggetto in forza degli artt. 21 – quinquies e nonies della L. 7.8.1990, n. 241, dei quali il deducente rubrica violazione.

    Preliminarmente, rammentato che il ritiro dei contributi è stato disposto per inadempimento del Comune e dell’Azienda di trasporto pubblico (della quale l’ente locale è unico azionista) all’obbligo di inviare i dati sugli effettivi costi del servizio entro il 31 gennaio dell’anno successivo a quello di riferimento, il ricorrente qualifica esattamente il provvedimento gravato, che riconduce al genus degli atti di secondo grado recanti annullamento d’ufficio di precedenti atti ampliativi, atteso che le eventuali violazione dell’obbligo di effettuare le comunicazioni dei dati i cui all’art. 12, L.Reg. n. 16/1983 si collocano all’interno del procedimento amministrativo di complessiva erogazione del contributo, non ancora concluso, corrente dal 31 gennaio al 31 maggio dell’anno successivo a quello cui il contributo afferisce, discendendone che le contestate violazioni agli obblighi comunicativi hanno generato erogazioni illegittime ab origine e come tali suscettive di ritiro in autotutela sub specie di annullamento.

    Ciò chiarito, lamenta il ricorrente la violazione dell’art. 21 – nonies della L. n. 241/1990 che disciplina il potere di autotutela e in particolare di annullamento d’ufficio di pregressi atti ampliativi asseritamente illegittimi, subordinandolo alla ricorrenza anzitutto di un ragionevole termine entro il quale procedere al ritiro in via di autotutela e contestualmente all’esplicitazione e valutazione degli interessi dei destinatari incisi, in rapporto con l’interesse pubblico a sostegno della determinazione di annullamento.

    Ambedue i presupposti per il Comune hanno fatto difetto nel caso di specie, essendo stato l’annullamento avversato disposto a distanza di oltre un decennio dalle stesse supposte irregolarità delle quali del resto la Regione era a conoscenza sin dall’origine ed intervenendo dunque l’atto su situazioni ormai consolidatesi nel tempo.

    Manca per il ricorrente Comune anche l’esternazione e la previa valutazione delle ragioni di interesse pubblico militanti a supporto della decisione impugnata, non avendo il provvedimento compiuto il minimo accenno alle conseguenze che deriverebbero per l’Azienda di trasporto dal dove restituire a distanza di oltre dieci anni, l’esorbitante somma di € 48 milioni circa, la grandezza di una simile esposizione debitoria esponendo all’evidenza sia l’A. che il Comune di … al dissesto finanziario.

    E’ invocata a sostegno della censura giurisprudenza d’appello del 2010 che ha rimarcato la necessità del rispetto di un termine ragionevole onde annullare d’ufficio provvedimenti ampliativi illegittimi nonché della valutazione degli interessi dei destinatari pregiudicati (Cons. di Stato, V, 7.4.2010 n.1946; CGA n. 553/2010).

    4.2.1. La ricostruita censura evidenzia tratti di sicura fondatezza e va pertanto accolta.

    Il Comune di …, come illustrato, si duole dell’assenza del presupposto basilare che condiziona la legittimità del potere di autotutela decisoria, individuato sin dall’immediato varo dell’art. 21- nonies della L. n. 241 del 1990 avvenuto con la L. n. 15 del 2005, nella tempestività del potere stesso, ossia nel dispiegarsi di esso entro un ragionevole lasso di tempo decorrente tra il provvedimento oggetto di ritiro in autotutela e quello mediante il quale la stessa si estrinseca.

    Orbene, l’art. 21 – nonies della L. 7.8.1990, n. 241, inserito dall’articolo 14, comma 1, della legge 11 febbraio 2005, n. 15, stabilisce sin dalla sua prima versione, vigente ed applicabile al provvedimento impugnato adottato il 14 settembre 2010, che “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’ articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge”. Successivamente, nel corpo della norma è stato inserito l’inciso in forza del quale il termine ragionevole deve essere “comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’articolo 20”, disposizione recata dall’articolo 6, comma 1, lettera d), numero 1) della Legge 7 agosto 2015, n. 124 (c.d. Riforma Madìa, in vigore dal 28.8.2015).

    In disparte la riportata ultima definizione normativa, nella sua estensione massima, del termine ragionevole, già l’originario testo dell’art. 21-nonies L. n. 241/1990 statuiva, dunque, la necessità che il provvedimento di secondo grado venisse adottato entro un termine ragionevole, la cui concreta individuazione era opera della giurisprudenza, che all’uopo ha valorizzato i più svariati fattori, onde tutelare l’affidamento incolpevole che il privato destinatario del provvedimento di primo grado, accrescitivo della sua sfera giuridica, avesse riposto nel silenzio dell’Amministrazione sull’assetto di interessi creato dall’atto amministrativo sul quale solo successivamente essa intervenga in via di autotutela c.d. decisoria.

    4.2.2. In chiave ricognitiva della stratificazione normativa succedutasi nel tempo in ordine alla tematica del ragionevole termine di annullamento di provvedimenti amministrativi ad efficacia durevole, rammenta anche il Collegio come sul punto si profili rilevante, in quanto direttamente disciplinante l’annullamento di provvedimenti ampliativi incidenti su rapporti convenzionali o contrattuali intercorrenti tra la P.A. e i privati – qual è indiscutibilmente il caso all’esame – la disposizione dell’art. 1, comma 136 della L. 30 dicembre 2004 n. 311 (Legge Finanziaria per il 2005), norma pienamente vigente fino alla sua abrogazione operata con l’art. 6, comma 2, della L. n. 7.8.2015, n 124 appena citata, il quale stabiliva che “136. Al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, può sempre essere disposto l’annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l’esecuzione degli stessi sia ancora in corso. L’annullamento di cui al primo periodo di provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati deve tenere indenni i privati stessi dall’eventuale pregiudizio patrimoniale derivante, e comunque non può essere adottato oltre tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante”.

    4.2.3. Orbene, considerato che, come si è or ora avvertito, tale norma è stata espunta dall’ordinamento solo con l’art. 6 della L. n. 124 del 7 agosto 2015, doveva fondatamente predicarsene la sua doverosa applicazione da parte della Regione … nel 2010, allorquando è stato assunto l’impugnato decreto n. 127 del 14 settembre 2010, discendendone che in forza della disposizione in disamina il provvedimento regionale di annullamento d’ufficio della concessione del finanziamento a cagione della ritenuta violazione da parte del Comune e della sua Azienda di trasporto pubblico del termine ex art. 12, L. Reg. n. 16/1983 del 31 gennaio dell’anno successivo a quello cui afferiscono i contributi, è illegittimo poiché adottato oltre il tempo massimo di tre anni entro il quale, in applicazione dell’art. 1, comma 136 della L. n. 311/2004 poteva essere annullato d’ufficio un provvedimento amministrativo illegittimo ad efficacia durevole – quali sono i vari provvedimenti di Giunta regionale, richiamati nella premessa dell’atto in disamina, che dal 1994 in poi hanno concesso i contributi de quibus al Comune e all’Azienda – incidente su rapporti contrattuali o convenzionali intercorrenti tra la P.A. (nella specie, La Regione ) e i privati (nella specie, l’Azienda di trasporto pubblico), rapporti contrattuali nel caso de quo costituiti dal rapporto pubblicistico – contrattuale in virtù del quale l’A.N.M. gestisce il servizio di trasporto pubblico locale.

    Invero, la Regione avrebbe dovuto avvedersi tempestivamente, entro il termine massimo di tre anni dalla disposta concessione dei vari finanziamenti, anche delle eventuali violazioni da parte del Comune e dell’Azienda, dell’obbligo di invio dei dati sul costo del trasporto pubblico entro il 31 gennaio dell’anno successivo a quello di riferimento della contribuzione.

    Ciò non è avvenuto, essendo stato il gravato decreto di annullamento dei contributi erogati in acconto adottato a distanza di circa dieci anni, ossia ben oltre il ragionevole termine di cui all’art. 21 – nonies della L. n. 241 del 1990 ed oltre quello legislativo massimo di tre anni dall’emanazione dei provvedimenti annullati.

    Ne consegue la evidente illegittimità del decreto n. 127 del 14.9.2010 impugnato che va conseguentemente annullato per violazione dell’art. 21-nonies, L. 7.8.1990, n. 241 del quale costituisce interpretazione, quanto alla ragionevolezza del termine ivi prescritto, l’art. 1, comma 136 della L. n. 311/2004, norma che costituiva dunque positivizzazione legislativa del principio del termine ragionevole.

    Segnala il Collegio che il Consiglio di Stato si è di recente pronunciato, nei termini ermeneutici or ora suggeriti, sull’interpretazione e l’applicazione “ratione temporis” dell’art. 1, comma 136, L. n. 311 del 2004, delineandone condivisibilmente ed efficacemente la portata esegetica della “grundnorm” di cui all’art. 21 – nonies della L. n. 241/1990 in punto di ragionevolezza del termine massimo di legittimo esercizio del potere di annullamento d’ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi ad efficacia durevole incidenti su rapporti negoziali correnti tra la P.A. e i privati.

    Il Giudice d’appello ha condivisibilmente avuto modo di precisare che l’art. 1, comma 136 della L. 30.12.2004, n. 311, “nel fissare un preciso limite temporale (tre anni) entro il quale le Amministrazioni pubbliche possono esercitare il potere di riesame dei provvedimenti dalle stesse adottati (nella specie, tetti di spesa per strutture sanitarie private accreditate), traduceva (prima della sua abrogazione per effetto dell’art. 6, l. 7 agosto 2015, n. 124) in un dato concreto il parametro indeterminato del « termine ragionevole » di cui all’art. 21 nonies, l. 7 agosto 1990, n. 241 previsto in via generale per l’esercizio di tale potere e individuava legislativamente un punto di equilibrio tra il potere di annullamento d’ufficio per ragioni di convenienza economico-finanziaria e l’esigenza di certezza nei rapporti contrattuali fra Pubblica amministrazione e privati, senza lasciare quindi alcuno spazio ulteriore per l’esercizio dell’autotutela finalizzata ad evitare un illegittimo esborso di pubblico denaro” (Consiglio di Stato, sez. III, 17/11/2015, n. 5259, confermativa di T.A.R. Campania – Salerno, Sez. I, n. 568 del 2015).Tale esegesi è stata sposata anche dal giudice amministrativo di prime cure, che ha del pari affermato che “Il limite di tre anni previsto dall’art. 1 comma 136, l. 30 dicembre 2004 n. 311, per annullare d’ufficio provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con i privati traduce in un dato concreto il parametro indeterminato del “termine ragionevole” di cui all’art. 21 nonies , l. 7 agosto 1990 n. 241 previsto in via generale per l’esercizio di tale potere. Esso individua legislativamente un punto di equilibrio tra il potere di annullamento d’ufficio per ragioni di convenienza economico-finanziaria e l’esigenza di certezza nei rapporti contrattuali tra pubblica amministrazione e privati, e non lascia quindi alcuno spazio ulteriore per l’esercizio dell’autotutela finalizzata a evitare un illegittimo esborso di denaro pubblico” (T.A.R. Toscana, Sez. I, 21 febbraio 2013 n. 263 ).

    4.3. Giova anche segnalare che in argomento la Sezione, con una pronuncia ricognitiva dei presupposti del potere di autotutela decisoria concretante annullamento di precedenti provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei privati, ha giudicato non ragionevole un termine di cinque anni intercorrente tra l’atto annullato e il provvedimento di annullamento, enunciando il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui onde definire in concreto siffatto termine ragionevole occorre considerare da un lato la “natura dei provvedimenti oggetto del potere di ritiro e la sequenza procedimentale in cui si collocano” e dall’altro gli “effetti prodotti sia a livello materiale che psicologico in capo al destinatario di un precedente provvedimento favorevole /ampliativo della sua sfera giuridica” (T.A.R. Campania – Napoli, Sez. III, n.1077/2013), principi che calati nel caso di specie conducono ad una diagnosi di illegittimità del decreto regionale n. 127/2010 siccome non rispettoso dei delineati fattori condizionanti l’autotutela, ambedue emergenti nella fattispecie all’esame, contrassegnata, quanto al primi profilo appuntato sulla natura del provvedimento annullato, dalla intuitiva rilevanza degli atti ci concessione dei contributi in chiave di interesse pubblico al sostegno del trasporto pubblico nonché da una sequela procedimentale che ha evidenziato la necessità di immediatezza della contestazione delle pretese inadempienze dichiarative.

    Quanto al secondo profilo relativo all’affidamento, l’inerzia regionale protratta per circa un decennio non può non aver ingenerato negli Enti pubblici ora incisi, un affidamento legittimo ed incolpevole nella definitività della conseguita erogazione dei contributi in acconto.

    Con la ricordata sentenza la Sezione ha chiarito, infatti, che: “L’art. 21 – nonies della legge sul procedimento consente alla p.a. di annullare d’ufficio suoi precedenti provvedimenti sempreché vengano rigorosamente osservati e rispettati i presupposti inderogabilmente da detta norma definiti, il più rilevante dei quali è l’adozione del provvedimento di ritiro entro un ragionevole termine dall’emanazione del provvedimento ritirato.

    Il rispetto di tale condizione muove all’insegna della tutela del legittimo ed incolpevole affidamento ingenerato nel privato dall’emanazione del provvedimento da annullare, oltre che del canone di coerenza e non contraddizione dell’azione amministrativa riveniente dall’art. 97 della Costituzione.

    Orbene, nella specie è da condividere l’assunto della ricorrente, secondo la quale il decorso di cinque anni dall’adozione del parere favorevole della C.E.I. configura la violazione del ragionevole termine. Siffatto spatium temporis, osserva il Collegio, si profila nettamente irragionevole soprattutto in considerazione della natura endoprocedimentale degli atti in questione, entrambi prodromici all’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento di sanatoria edilizia. 2.3. Invero, opina il Collegio che il concetto di ragionevole termine entro il quale a mente dell’art. 21 – nonies, L. n. 241/1990 la P.A. può legittimamente e nella ricorrenza degli altri presupposti, annullare in via di autotutela propri precedenti provvedimenti, si connota di una valenza relativa, che si apprezza in relazione: 1.alla natura dei provvedimenti oggetto del potere di ritiro e alla sequenza procedimentale in cui si collocano; 2. agli effetti prodotti sia a livello materiale che psicologico in capo al destinatario di un precedente provvedimento favorevole ampliativo della sua sfera giuridica” (T.A.R. Campania – Napoli, Sez. III , 25.2.2013 n. 1077).

    4.4. Conviene rammentare in argomento che il Consiglio di Stato ha ribadito l’indispensabilità del termine ragionevole per far legittimamente luogo all’annullamento di provvedimenti illegittimi nonché la necessità di una congrua motivazione dell’interesse pubblico concreto ed attuale, prevalente rispetto a quello del privato destinatario dell’atto ritirato, motivazione che è maggiormente richiesta laddove l’autotutela venga esercitata dopo un lungo lasso di tempo. Si è infatti condivisibilmente sancito che “ Ai sensi dell’art. 21 nonies, l.7 agosto 1990 n. 241 l’annullamento in autotutela presuppone, oltre all’illegittimità dell’atto, valide ed esplicite ragioni di interesse pubblico ed il provvedimento deve intervenire entro un termine ragionevole e previa valutazione degli interessi dei destinatari dell’atto da rimuovere; l’autotutela non può essere finalizzata al mero ripristino della legalità violata, dovendo essere il risultato di un’attività istruttoria adeguata che dia conto della valutazione dell’interesse pubblico e di quello del privato, tanto più ove intervenga dopo un considerevole lasso di tempo e si sia consolidato l’affidamento del privato” (Consiglio di Stato, Sez. V, 13 marzo 2014 n. 1265; in termini, Consiglio di Stato, Sez. IV, 28 ottobre 2013 n. 5196 ).

    Giova anche segnalare una pronuncia del Consiglio di Stato, resa in sede di parere, che in materia di revoca di finanziamento di un programma agricolo ha ritenuto irragionevole la revoca stessa disposta sulla base di una contestazione dell’ammissibilità della domanda non effettuata al momento della sua valutazione ma dopo sei anni dall’ammissione al programma. Ha sancito il Consiglio che “Le censure formulate dalla ricorrente, che possono essere considerate nel loro complesso, sono fondate, perché l’amministrazione regionale ha revocato il finanziamento, destinato all’esecuzione di un certo programma di agricoltura, dopo sei anni dall’ammissione al programma e dall’esecuzione del programma stesso, sulla base di una contestazione d’ammissibilità quanto mai opinabile, non effettuata al momento dell’ammissione, senza neppure porsi la questione dell’interesse pubblico ad adottare la revoca e senza tener conto dell’affidamento ampiamente maturato in capo agl’interessati.

    (Consiglio di Stato, Sez. II, adunanza del 13.7.2011, parere n. 4423/2011 del 1/12/2011, affare n. 05654/2010).

    5.1. L’assodata fondatezza del primo motivo di gravame dà la stura allo scrutinio e alla valutazione di persuasività dell’ulteriore contermine censura sviluppata con il terzo motivo di ricorso, con il quale il Comune, rubricando nullità ex art. 21-septies L. n. 241 del 1990 per elusione del giudicato, lamenta che il decreto impugnato rappresenta “l’ultimo atto di una serie di iniziative volte a far recuperare all’Amministrazione regionale il potere di intervenire nell’ambito della procedura prevista dalla legge regionale 16/83 che più pronunce hanno sancito ormai esaurito” (ricorso, pag.11) all’uopo ricordando che sia la Corte Costituzionale con la sentenza n. 156/2007 che questa Sezione con la sentenza n. 15599/2007 hanno la prima statuito l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, L. Reg. n. 8/2004 recante la riapertura dei termini per l’effettuazione dei conguagli a consuntivo sui contributi erogati in acconto nel mentre la seconda, per effetto della cennata declaratoria, ha annullato il decreto regionale n. 66/2005 assunto sulla base della citata norma dichiarata incostituzionale. Il giudicato risultante dalla sue pronunce giurisdizionali ha statuito che la Regione ha consumato il potere di intervenire su situazioni ed assetti di interessi, creati dalle erogazioni di contributi effettate nel corso degli anni, ormai consolidate ed irretrattabili. Dal che il dedotto vizio di elusione del giudicato.

    5.2. Anche la sintetizzata doglianza si presta ad essere favorevolmente considerata e merita di essere accolta.

    Invero, coglie nel segno la tesi del Comune di …. circa l’intervenuto consolidamento dell’assetto di interessi economici creato dalla intervenute pregresse erogazioni contributive in uno con il protratto silenzio e la stratificata inerzia dell’Ente regionale in ordine all’esercizio del potere di controllo della tempestività delle comunicazioni dei dati dell’effettivo costo del servizio di trasporto pubblico a mente dell’art, 12, L. Reg. n. 16 del 1983.

    Come ha autorevolmente sancito la Consulta, infatti, con l’art. 1 della L. Reg. n. 8 del 2004 censurata, la Regione aveva legiferato “recuperando, quindi, una situazione soggettiva ormai consumatasi” sacrificando la posizione di altri soggetti, ovverosia del Comune e dell’Azienda di trasporto pubblico, “ma ciò ha fatto non nella immediatezza dello spirare del termine entro il quale la azione amministrativa doveva trovare il suo ordinario compimento, bensì a distanza di un periodo di tempo che, per la sua considerevole ampiezza, non poteva che avere rafforzato nei soggetti coinvolti dalle dette disposizioni, il giustificato affidamento nell’avvenuto consolidamento della situazione sostanziale che nel frattempo si era creata” ( Corte Cost., 8.5.2207, n. 156, punto 6.1, secondo cpv.).

    Orbene, la delineata definitività ed irretrattabilità dell’assetto di interessi determinato dalle annullate erogazioni di contributi come sancita dal giudicato affiorante dalla citata decisione della Consulta e dalla sentenza della Sezione n. 15599/2007 che di essa è il portato, fanno luce ad avviso della Sezione della fondatezza della denunciata violazione dell’art. 21 – septies della L. 7.8.1990 n 241 perpetrata con l’impugnato decreto regionale n.127 del 2010 il quale risente dei medesimi vizi di illegittima incisione di posizioni giuridiche consolidate dall’affidamento ingenerato nel ricorrente dall’inerzia della Regione protrattasi per oltre un decennio in ordine all’eventuale inadempienza all’obbligo dichiarativo definito, nei relativi termini, dall’art. 12 della L. Reg. n. 16 del 1983.

    5.3. Di tal che appare con una certa evidenza che la Regione con l’avversato decreto abbia conseguito il diretto obiettivo, non consentito dall’ordinamento, anche costituzionale, di aggirare le statuizioni giurisdizionali pronunciate in subiecta materia, pervenendo al medesimo risultato stigmatizzato dalla Corte costituzionale e a cascata dalla sentenza della Sezione del 2007 recante annullamento del decreto dirigenziale regionale n. 66 del 2005 che aveva riapprovato i conguagli dei contributi sulla base della L. reg. n. 1/2004 dichiarata incostituzionale.

    Si è dunque posto in essere per via provvedimentale amministrativa, mercé la medesima illegittima incisione di posizioni consolidate e pertanto ormai irretrattabili, lo stesso quadro pregiudizievole cassato dalla consulta e dalla Sezione con le richiamate statuizioni, in guisa da eludere la decisione del giudice riproponendo un effetto provvedimentale che i principi generali del nostro ordinamento, di cui le ridette sentenza hanno fatto applicazioni, non consentono.

    Va infatti denotato che la sentenza della sezione del 2007, pur essendo stata di fatto per certi versi superata dalla pronuncia delle Sezione Unite che ha accolto l’istanza di regolamento di giurisdizione formulata dalla Regione traslando la controversia davanti al G.O., contiene in sé principi sull’intervenuta consumazione del potere di operare i conguagli per effetto della dichiarata incostituzionalità della norma regionale abilitante, che posseggono un’indubbia portata decisoria o quanto meno interpretativa dell’ordinamento giuridico e che di fatto sono stati elusi con il provvedimento qui gravato.

    Dal che l’ulteriore contermine vizio di sviamento che affigge il decreto n. 127 del 2010 impugnato.

    6.1. Infatti con il quarto mezzo il Comune, rubricando eccesso di potere per sviamento, si duole dell’emersione di siffatto profilo sintomatico dell’eccesso di potere nel provvedimento censurato, individuato nella circostanza per la quale il decreto n.127/2010, partendo da una revoca che interessa tutti i contributi erogati dal 1994 al 2002 pari ad un complessivo importo di € 802 milioni circa, con una dichiarazione priva di adeguata motivazione, riduce le sue pretese a soli 48.699.916,85, somma quasi identica in realtà ai 51 milioni di euro di quei conguagli rideterminati con il decreto 66/2005 dichiarato illegittimo dalla Sezione nel 2007 ed equivalente all’importo di 48 milioni dovuti in forza ella L. n. 194/1998 all’ANM ma tuttora non ancora corrisposti ed indebitamente trattenuti dalla Regione.

    Per l’Ente ricorrente, dunque, attraverso un’operazione di “alchimia contabile”, non potendo più effettuare i conguagli per scadenza del termine legislativamente prescritto ed improrogabile in ossequio a Corte Cost. n. 157/2006, la Regione procede a richiedere la stessa somma a titolo fittiziamente diverso, ossia camuffando tale richiesta con una revoca sanzionatoria.

    Intento svelato dal dato che per gli anni dal 2000 al 2002 non sono state contestate irregolarità nella comunicazione dei dati di costo ex art. 12. L. n. 16/1983, ragion per cui l’oggetto della malcelata “revoca” avrebbe dovuto arrestarsi all’annualità 1999, “ma l’aggiunta di un triennio senza irregolarità poteva contribuire, nell’ottica di evitare facili accostamenti con i due precedenti illegittimi provvedimenti di conguaglio, a dare formalmente una veste giuridica di revoca più credibile” (ricorso, pag. 15). D’altronde – prosegue il Comune, la stessa operazione di limitare “il recupero delle somme erogate alla sola parte relativa ai servizi non effettuali, come rilevato da attestazioni aziendali ancorché pervenute oltre i termini” è sia ontologicamente che giuridicamente un conguaglio.

    Il tutto lascia trasparire uno sviamento dell’istituto della revoca sanzionatoria, piegato alla diversa e non consentita funzione di realizzare un conguaglio non più effettuabile per l’avvenuto spirare del termine legislativamente prescritto per il relativo esercizio.

    6.2. La censura è fondata.

    Persuade la tesi comunale secondo cui il provvedimento gravato, sotto le mentite spoglie di una revoca sanzionatoria relativa al periodo 1994 – 2002, conduce in realtà al medesimo sostanziale risultato di un conguaglio monetario tra i contributi erogati in acconto e quelli spettanti e dovuti invece a consuntivo.

    Siffatto convincimento è suffragato dal dato formale per cui mentre le premesse della determinazione di revoca rimontano a presunti inadempimenti che sarebbero stati contestai al Comune e all’Azienda in relazione agli obblighi dichiarativi inerenti tutto il periodo considerato, l’approdo della determinazione gravata si profila essenzialmente affetto dall’eccesso di potere per sviamento ove si consideri che nel mentre con il dispositivo, in coerenza con la premessa, si decreta “di dover revocare i contributi d’esercizio relativi agli anni 1994 – 2002 pari ad € 802.811.296,00 in quanto le comunicazioni previste dall’art. 12, L. R. 16/83 pervenute oltre i termini previsti dalla legge”, immediatamente dopo si decreta, contraddittoriamente e sviatamente, “di dover limitare, per motivi di opportunità ed equità, il recupero delle somme erogate, alla sola parte relativa ai servizi non effettuati…come da prospetto che segue”.

    Ebbene nell’additato prospetto la somma finale oggetto del recupero invece, incomprensibilmente ed implausibilmente ridotta dagli iniziali 802 milioni di euro a soli 48.699.916,85, importo di poco inferiore ai 51 milioni del conguaglio rideterminato con l’annullato d.d. n. 66/2005 e pari all’importo dovuto all’ANM ai sensi della L. n. 194/1998, in tal modo la Regione pervenendo attraverso quella che efficacemente la difesa comunale ha definito una “alchimia contabile”, al risultato di non dover più corrispondere all’A. i contributi a questa spettanti in base alla legge statale n.194/1998 ponendo quindi in essere un’operazione finanziariamente neutra.

    6.3. L’ulteriore riprova documentale dell’emersione dello sviamento in analisi è conferita poi, come esattamente denotato dal Comune, dal rilievo che per gli anni 2000, 2001 e 2002 non è addebitabile agli Enti incisi dall’illegittimo decreto in disamina, alcuna inadempienza agli obblighi dichiarativi.

    Tanto emerge per tabulas, rileva il Collegio, nello stesso prospetto costituente il dispositivo del decreto impugnato, laddove le contestate discrepanze tra i contributi in acconto e quelli a consuntivo, si arrestano all’annualità 1999.

    Ragion per cui effettivamente l’aggiunta del triennio successivo è servita alla Regione allo scopo di allestire un provvedimento apparentemente dotato di maggiore impatto e corredo motivo predisposto in termini di revoca sanzionatoria a fronte dei contestati inadempimenti.

    Revoca sanzionatoria che però disvela l’intento dissimulato e fondamentalmente connotato dalla forma più tipica e caratteristica dell’eccesso di potere quale vizio della funzione amministrativa costituita dallo sviamento, nel momento in cui la propalata revoca d’amblais fa trasparire le sue sembianze effettive, ossia la sua sostanziale natura di conguaglio, quando dall’iniziale e costruita impalcatura di revoca dei contributi erogati per tutti il periodo oggetto del decreto (1994 – 2002) giunge alla terminale determinazione di limitare “per motivi di equità e opportunità” l’oggetto della revoca e della preannunciata azione di recupero ai soli 48 milioni e 600 mila euro circa equivalenti ai contributi di esercizio dovuti all’ANM in forza della L. n. 194 del 1998 e tuttora indebitamente trattenuti.

    La controprova dell’eccesso di potere per sviamento è fornita dalla considerazione secondo cui l’ordinamento predispone l’istituto della revoca sanzionatoria al fine di colpire con la massima delle sanzioni economiche contemplate, per conseguire l’equivalente monetario di quanto erogato e che la legge consente di ripetere, le violazioni e gli inadempimenti posti in essere dal beneficiario ad obbligazioni al prisma normativo – negoziale disciplinante il rapporto.

    Ma affinché il provvedimento amministrativo che indossa le vesti della revoca sfugga a sospetti di sviamento, occorre che emerga la necessaria coerenza del dispositivo con le premesse motivazionali del provvedimento. Nella specie occorreva che la Regione effettivamente e non fittiziamente revocasse e ripetesse ai danni del Comune tutta l’intera somma corrispondente al periodo preso in considerazione, ossia gli 802.811.000 euro equivalenti al coacervo dei contributi erogati nel periodo considerato.

    Essendo invece improvvisamente mutata la somma finale oggetto di recupero, previa revoca, e ridotta a soli 48.699.000 euro circa, traspare diafano il complessivo disegno denunciato dal Comune e assumente i connotati dell’eccesso di potere per sviamento.

    Figura pubblicistica che può utilmente essere apparentata all’istituto civilistico della simulazione negoziale, laddove la parte più forte ha simulato una revoca sanzionatoria assunta a causa di inadempienze ormai non più contestabili, dissimulando, invece, un conguaglio parimenti e per le stesse ragioni, ormai non più effettuabile per avvenuta consumazione del relativo potere

    Senta sottacere poi, che illegittima in se è la stessa decisione di ridurre l’importo di 802 milioni a 48 milioni, per “motivi di equità ed opportunità” atteso che un Ente pubblico non può mai rinunciare ad un credito così elevato, ancorché vantato nei confronti di altro Ente pubblico, per le predette ragioni, pena l’emersione di titoli di responsabilità contabile o di danno erariale.

    La censura di sviamento è pertanto fondata e va accolta.

    7.1. Del pari fondato e meritevole di accoglimento è l’ultimo motivo del ricorso, con il quale il Comune di Napoli lamenta che il decreto impugnato ha violato le stesse disposizioni regionali di cui all’art. 11 della L. n. 16 del 1983 che contempla unicamente, a fronte delle reiterate inadempienze agli obblighi da essa sanciti, quali quella dichiarativa di cui si discute, la possibilità di procedere alla sospensione e riduzione dei contributi ma non di decretarne la revoca; disposizione ribadita poi dall’art. 16 del Regolamento di cui alla Delibera di G.R.C. n. 4833 del 2002, attuativo della L. Reg. n. 3/2002 sulla riforma del trasporto pubblico locale.

    7.2. Invero, osserva il Collegio che l’art. 11 della L. Reg. Campania n. 16 del 1983 stabilisce testualmente che “è comunque facoltà della giunta regionale di procedere alla sospensione o alla riduzione dei contributi medesimi nei casi di accertate e reiterate irregolarità ed inadempienze”, ragion per cui illegittima si prospetta la adottata revoca di contributi già erogati, a fronte della previsione legislativa della facoltà della Giunta di procedere alla sola sospensione o alla riduzione dei contributi a venire ma non al ritiro di quelli già attribuiti, anche qualora le inadempienze addebitate agli Enti ricorrenti fossero effettivamente sussistenti, accertate e reiterate, come prescrive l’art. 11 cit..

    Analoga disposizione è contenuta all’art. 16 dell’invocata Delibera di G.R.C. n. 25.10.2002, n. 4833 recante il regolamento di attuazione della L.R. n. 3/2002 che ha sostituito la L. R. n. 16/1983 .Ebbene l’art. 16 di detto Regolamento dispone che “1. Le province, i comuni capoluogo nonché gli Enti Locali, le Comunità Montane e le Comunità isolane, eventualmente delegati, dovranno trasmettere con cadenza trimestrale all’Assessorato ai Trasporti e all’A.Ca.M. i seguenti dati:a. rendiconto mensile dei corrispettivi erogati per il TPL; b. numero delle corse effettuate rispetto a quelle previste in orario;c. numero delle corse soppresse; d. percentuale delle corse effettuate in ritardo, distinte per fasce di 15 minuti; e. percorrenze trimestrali di ogni linea; f. numero degli incidenti e delle interruzioni; g. rendicontazione annuale delle somme di cui all’art. 9.” al comma 2 dispone anche la sanzione per l’eventuale inottemperanza a quanto prescritto dal comma 1 ora riportato, stabilendo che “La mancata trasmissione della documentazione richiesta potrà comportare sospensione dei trasferimenti regionali e/o esercizio dei poteri sostitutivi”.

    Nessuna possibilità contempla dunque il regolamento de quo, di irrogare la più grave sanzione della revoca dei contributi d’esercizio già erogati, pur a fronte di gravi e reiterate inadempienze in relazione all’inoltro delle dichiarazioni trimestrali concernenti i dati, rilevanti e determinanti, indicati al comma 1.

    Ne consegue che l’adottata ed impugnata revoca è altresì affetto dal vizio di violazione dell’art. 11 della L. R. n. 16/1983 e dell’art. 16 del Regolamento di cui alla Delibera di GRC n. 4833 del 25.10.2002 ed è pertanto illegittima e degna di annullamento anche solo per effetto del rilevato ulteriore vizio esattamente dedotto dal Comune ricorrente con l’ultimo motivo di ricorso.

    In definitiva, alla luce delle considerazioni tutte finora illustrate, il ricorso in scrutinio si profila fondato quanto meno relativamente ai quattro motivi scrutinati, che rivestendo carattere assorbente per la portata dirimente delle relative censure di sostanza consentendo di dichiarare assorbite le residue non meno rilevanti censure e di accogliere il ricorso, con il conseguente annullamento del decreto dirigenziale regionale n. 127 del 14.9.2010 impugnato

    Le spese debbono accedere all’ordinario canone di riparto fondato sulla soccombenza e sono liquidate nella misura definita in dispositivo.

    P.Q.M.

    Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Terza)

    definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il decreto dirigenziale regionale n. 127 del 14.9.2010.

    Condanna la Regione .. a corrispondere al Comune di … le spese di lite, che liquida in € 4.000,00 (quattromila) oltre accessori di legge e rimborso del contributo unificato.

    Ordina che la presente Sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

    Così deciso in Napoli nella Camera di consiglio del giorno 8 marzo 2016 con l’intervento dei Signori Magistrati:

    Fabio Donadono, Presidente

    Vincenzo Cernese, Consigliere

    Alfonso Graziano, Consigliere, Estensore 

    L’ESTENSORE                 IL PRESIDENTE

     

     

     

    DEPOSITATA IN SEGRETERIA

    Il 18/05/2016

    IL SEGRETARIO

    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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