Vai al contenuto
Home » Articoli » GLI ONERI CONCESSORI DEVONO ESSERE COMPUTATI SECONDO LE TARIFFE VIGENTI AL MOMENTO DELLA DOMANDA DI CONDONO

GLI ONERI CONCESSORI DEVONO ESSERE COMPUTATI SECONDO LE TARIFFE VIGENTI AL MOMENTO DELLA DOMANDA DI CONDONO

    TAR CAMPANIA, NAPOLI, SEZ. II –  1 settembre 2016 n. 4132

    Gli oneri concessori devono essere computati secondo le tariffe vigenti al momento della domanda di condono

    La determinazione degli oneri concessori non può avvenire secondo la disciplina urbanistica vigente alla data del rilascio del permesso di costruire in sanatoria, ma deve effettuarsi con riferimento alle tariffe vigenti al momento della domanda.

    Ciò emerge dalla lettura combinata dell’art. 37 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (primo condono), dell’art. 39, comma 1, legge 23 dicembre 1994, n. 724 (secondo condono) e dell’art. 32, comma 25, decreto-legge n. 269 del 2003, convertito in legge n. 326/2003 (terzo condono).


    N. 04132/2016 REG.PROV.COLL.

    N. 01952/2013 REG.RIC.

    logo

    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

    (Sezione Seconda)

    ha pronunciato la presente

    SENTENZA

    sul ricorso numero di registro generale 1952 del 2013, proposto da:
    ……… s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore sig. …….., rappresentata e difesa, congiuntamente e disgiuntamente, dall’avv. ……. e dall’avv. ……., presso lo studio dei quali elettivamente domicilia in Napoli…;

    contro

    Comune di ………, in persona del Sindaco, legale rappresentante p.t., dott. ……, rappresentato e difeso dall’avv. ……, con il quale elettivamente domicilia in Napoli …;

    per l’annullamento

    previa adozione di misure cautelari

    del permesso di costruire in sanatoria n. ….. del 20 giugno 2011, emesso dal Responsabile dell’Unità di Progetto del Comune di …….., nella parte in cui è stato ordinato alla Società ricorrente il pagamento dell’importo di € …….. a titolo di oneri di concessione “al netto degli oneri versati per la pratica di condono edilizio presentata ai sensi della legge 724/94 e di un’aliquota delle opere di urbanizzazione realizzate a scomputo degli oneri di urbanizzazione dovuti per le concessioni edilizie nn. 80 e 81 del 7.09.1990”, nonché di tutti gli altri atti ad essa preordinati, connessi e consequenziali tra cui, in particolare, la relazione istruttoria dell’8 marzo 2011, prot. n. …….

     

    Visti il ricorso e i relativi allegati;

    Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di ………..;

    Viste le memorie difensive;

    Visti tutti gli atti della causa;

    Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 maggio 2016 il dott. …… e uditi l’avv. ….. per la parte ricorrente e l’avv. ……. per l’amministrazione intimata;

    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

    FATTO

    Con il ricorso in esame la …….. s.r.l. ha chiesto l’annullamento, previa adozione di misure cautelari, del permesso di costruire in sanatoria n. 26 rilasciato in data 20 giugno 2011 dal Responsabile dell’Unità di Progetto del Comune di ……, nella parte in cui è stato ordinato alla società ricorrente il pagamento dell’importo di € …… a titolo di oneri di concessione, sostenendo di non dover nulla a tale titolo.

    Ha resistito in giudizio il Comune di ………

    Con ordinanza del … maggio 2013, n. …., è stato preso atto della rinuncia della ricorrente alla domanda cautelare.

    Le parti hanno depositato memorie a sostegno delle proprie ragioni.

    Alla pubblica udienza del 17 maggio 2016 la causa è stata trattenuta in decisione.

    DIRITTO

    1. – E’ controversa in giudizio la legittimità del permesso di costruire n. …. del 20 giugno 2011, con cui il Comune di ……., nell’accogliere la domanda di condono edilizio presentata dalla società ricorrente, ha quantificato in € ……. l’importo dalla stessa dovuto a titolo di oneri di concessione.

    Sostanzialmente, la ricorrente chiede l’accertamento negativo dell’obbligo di corrispondere gli importi indicati nel permesso di costruire.

    2. – La società ricorrente è proprietaria di un immobile sito nel Comune di …….., alla via ……, identificato in catasto al foglio n. …., mappale .., subalterno .., facente parte di un complesso edilizio ricadente per la maggior porzione in zona “Dl-Industria e artigianato” e per il resto in zona “Vr-verde di rispetto stradale”, realizzato in virtù delle concessioni edilizie n. .. e n. .. del 7 settembre 1990 rilasciate alla …. s.r.l. (oggi ….. s.r.l.) dal Comune di …… per la realizzazione di un Centro Artigianale Polivalente.

    Per questo fabbricato l’amministratore della ricorrente, con istanza prot. ….. del 28 febbraio 1995, aveva chiesto al Comune di ……., «ai sensi e per gli effetti della legge 23.12.1994 n. 724, art. 39, il rilascio della “Concessione in Sanatoria” per le opere edilizie realizzate, senza la prescritta autorizzazione», dichiarando che «gli abusi sono stati perpetrati nell’anno 1993 e consistono nell’aumento di unità immobiliari con cambio di destinazione d’uso al piano cantinato, al piano terra; inoltre la superficie dei piani cantinato e terra risulta aumentata di mq 32»: ciò in quanto vi era stata realizzata un’unità immobiliare autonomamente utilizzabile con destinazione commerciale, derivante dal frazionamento di una unità di maggiori dimensioni, destinata in origine ad utilizzo per attività artigianali e deposito.

    A seguito del preavviso di rigetto (prot. n. ….. del 2 aprile 2010), con il quale il Comune aveva rappresentato l’esistenza di motivi ostativi all’accoglimento della domanda di condono edilizio perché le opere non risultavano ultimate entro la data del 31.12.1993, la ricorrente presentava le proprie controdeduzioni con nota acquisita dal Comune in data 19 agosto 2010 (n. …del protocollo di arrivo), con cui manifestava, inoltre, di essere “disponibile”, in subordine all’accoglimento della domanda di condono già presentata e senza alcuna rinuncia tacita o implicita alla medesima, ad aderire al condono di cui all’art. 32 della legge n. 326/03 in relazione alla superficie effettiva risultante dalla licenze commerciali intanto rilasciate, con rateizzazione del pagamento degli oneri dovuti.

    Col permesso di costruire n. …. del 20 giugno 2011, il Comune rilasciava alla odierna ricorrente, «ai sensi e per gli effetti della legge 724/94 — art. 39 e dell’art. 32, comma 25, del D.L. 269/2003, convertito con modificazioni con Legge 326/2003», il titolo edilizio in sanatoria «per l’unità immobiliare destinata ad attività commerciale già compresa nella domanda di condono edilizio di cui alla pratica n.2305 del 28.02.95 prot. 9885 sita in ……, via ….., ,…— Centro Polifunzionale Meridiana, individuato nel N.C.E.U. al foglio n….. particella …., sub…. — fabb…- piano …, realizzata mediante cambio di destinazione d’uso», come da grafico allo stesso allegato, sull’espressa premessa che la richiedente, con la suddetta nota del 19 agosto 2010, aveva chiesto la «rideterminazione … ai sensi del comma 25 dell’art. 32 del D.L. 269/03 convertito con modificazione con legge 326/03» dell’istanza di condono edilizio presentata in data 28 febbraio 1995 e che il consulente legale dell’Ente aveva ritenuto possibile valutarla alla luce delle disposizioni dettate da quest’ultima normativa.

    3. – Alla luce di quanto appena detto, non è revocabile in dubbio che il condono accordato alla ricorrente sia quello previsto e disciplinato dalla legislazione speciale del 2003 e non quello originariamente richiesto in base alla legislazione del 1994, per il quale non erano state riscontrate le condizioni (ultimazione delle opere entro la data del 31.12.1993), come ancora ricordato nel preambolo dello stesso provvedimento.

    4. – Il permesso di costruire in sanatoria, sulla base di una relazione istruttoria dell’Ufficio condono (prodotta in giudizio dall’amministrazione), quantifica in € ……. gli oneri di concessione, al netto degli oneri versati per la domanda di condono edilizio presentata ai sensi dell’art. 39 legge 724/94 e di un’aliquota delle opere di urbanizzazione realizzate a scomputo degli oneri di urbanizzazione dovuti per le concessioni edilizie nn. .. e … del 1990.

    Più nello specifico, secondo la richiamata relazione istruttoria (prot. cond. n. …. dell’8 marzo 2011): «Gli oneri di urbanizzazione da versare ammontano ad € ….. al netto degli oneri già versati (€ …….);

    Il contributo commisurato al costo di costruzione risulta pari: € 10.821,46 (costo di costruzione complessivo dell’intero immobile comprendente l’opera abusiva in parola documentato con perizia giurata a firma del tecnico geom. …..) x 0.07 x2 x 106,11/1000 = 161.642,92;

    Totale oneri dovuti sono pari ad € 431.151,42 — (€ 40.125, ALIQUOTA calcolata proporzionalmente ai millesimi, di partecipazione dell’immobile nell’ambito del complesso commerciale “106,11/1000”, dei costi di urbanizzazione già sostenuti dal costruttore, oggetto di convenzione stipulata all’atto del rilascio della concessione edilizia originaria, “atto d’obbligo del 03.08.1990”, stimati complessivamente in Lire 732.204.442, come risulta dal computo metrico allegato alla C.E. n.02/2001) = € 391.026,00».

    La determinazione degli oneri concessori così effettuata era stata comunicata con nota del 29 marzo 2011, n. 13619, alla società istante, la quale aveva, quindi, provveduto, prima e in vista del rilascio del titolo edilizio in sanatoria, a versare la prima rata di € 39.104,50 in data 15 giugno 2011 ed a presentare una polizza fideiussoria per un importo di € 351.922,53, come si dà atto nel permesso di costruire.

    D’altro canto, nella relazione tecnica delle opere realizzate, presentata al Comune in data 28 febbraio 2011 ed acquisita al n. ….. di protocollo (doc. n. 9 della produzione del Comune del 9.5.2013), il tecnico della società era giunto ad un risultato sostanzialmente conforme, avendo stimato che il conguaglio dovuto per gli oneri concessori dovesse ammontare a € 389.818,91, cioè ad una cifra appena inferiore (poco più di milleduecento euro) a quella poi calcolata dall’amministrazione.

    5. – La società interessata contesta ora quella quantificazione con quattro motivi di ricorso.

    6. – Con un primo motivo di censura, premettendo che l’ultimazione delle opere è avvenuta poco prima del rilascio della licenza di commercio e dell’apertura del Centro commerciale in base al contratto di locazione in favore di ….., nel mese di ottobre 1998, e che, in virtù della sussistenza del requisito della c.d. doppia conformità allo strumento urbanistico vigente (il PRG pubblicato sul BURC n. 2 del 12 gennaio 1998), sarebbe stato possibile chiedere l’accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, , anziché il condono, la società ricorrente sostiene che:

    a) il provvedimento impugnato è in contrasto con la delibera n. 48 del 14 febbraio 2008 della Commissione straordinaria del Comune ……., rubricata “aggiornamento contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione”, per effetto della quale nulla è dovuto per i cambi di destinazione d’uso all’interno della zona D, secondo quanto previsto alle voci di cui settima e ottava riga della tabella 1 allegata alla deliberazione; in parte qua, la delibera comunale di aggiornamento del contributo trova giustificazione nel fatto che il PRG vigente dal 1998 contempla la possibilità di realizzare nella zona D attività sia artigianali, che commerciali, laddove l’unico mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante, ai fini del regime urbanistico-contributivo, è quello tra categorie funzionalmente autonome;

    b) anche a prescindere dalla data di ultimazione delle opere, il Comune di ….. doveva quantificare gli oneri di urbanizzazione nella misura indicata nella delibera vigente al momento in cui il procedimento si è perfezionato, ossia nella predetta delibera n. 48 del 14 febbraio 2008 della Commissione straordinaria, in base al principio tempus regit actum, applicabile anche al calcolo degli oneri di urbanizzazione.

    7. – Con un secondo motivo di censura, la ricorrente sostiene che, poiché l’imposizione del contributo di urbanizzazione è giustificato dalla variazione di carico urbanistico, l’atto impugnato è illegittimo in quanto il mutamento di destinazione è avvenuto nell’ambito della stessa categoria urbanistica e non è stato provato l’incremento del carico urbanistico che l’intervento sanato avrebbe arrecato al territorio comunale; anzi, il fatto che la delibera n. 48/2008 abbia stabilito un contributo pari a zero per i cambi di destinazione d’uso nell’ambito della zona D dimostra che si è valutato che nella zona fossero già presenti le infrastrutture necessarie a supportare le opere già realizzate.

    8. – Con un terzo motivo di doglianza, la ricorrente si duole dell’omessa comunicazione di avvio del procedimento, che le avrebbe impedito di fornire un utile contributo in sede procedimentale con la rappresentazione delle ragioni ora espresse nei motivi del ricorso qui in esame.

    9. – Con un quarto motivo di ricorso, proposto in via subordinata, la ricorrente si duole che il Comune, nel portare in detrazione agli oneri di urbanizzazione dovuti per la sanatoria il valore delle opere di urbanizzazione già eseguite e consegnate per il complesso artigianale di cui alle concessioni edilizie originarie, oggetto dell’atto d’obbligo unilaterale del 3 agosto 1990, lo abbia fatto tenendo conto del loro importo alla data dell’11 settembre 2002 (€ 389.515,38) senza rivalutarlo alla data di emanazione del provvedimento di condono (26 giugno 2011); nello specifico, la rivalutazione monetaria degli oneri di urbanizzazione convenzionati andrebbe calcolata in € 452.616,87.

    10. – Il Comune resistente ha eccepito in via preliminare l’inammissibilità del ricorso, perché, atteso che la società ricorrente ha partecipato al procedimento per la determinazione degli oneri concessori e concorso in modo decisivo alla loro determinazione, il contenuto del provvedimento non è stato determinato unilateralmente, ma è il risultato di trattative, nel corso delle quali il Comune ha dato atto delle quantificazione degli oneri contenute nella relazione tecnica del perito della società odierna ricorrente; la proposta del Comune, contenuta nella nota prot. n. ….. del 2 febbraio 2011, e la conseguente accettazione del privato, contenuta nella relazione tecnica prot. n. …. del 28 febbraio 2011, dell’importo degli oneri concessori avrebbero quindi determinato la formazione di un vincolo negoziale successivamente formalizzato nella concessione in sanatoria, sottoscritta per accettazione degli obblighi ivi contenuti anche dal concessionario.

    11. – L’eccezione è infondata.

    In base alla giurisprudenza in materia (ex ceteris, cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. II, 18 settembre 2013, n. 2184) «il contributo concessorio commisurato agli oneri di urbanizzazione ha carattere generale, in quanto prescinde totalmente dall’esistenza o meno delle singole opere di urbanizzazione e ha natura di prestazione patrimoniale imposta, in quanto è determinato senza tener conto dell’utilità che riceve il beneficiario del provvedimento di concessione, né delle spese effettivamente necessarie per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione relative alla concessione assentita (cfr. Cons. Stato, Sez. V, sent. 21.4.06, n. 2258; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, Sent., 12-05-2009, n. 3717). Si tratta, infatti, di un corrispettivo di diritto pubblico dovuto dal beneficiario della concessione edilizia a titolo di partecipazione – in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae – ai costi delle opere di urbanizzazione sostenuti dal Comune per realizzare il generale assetto urbanistico del territorio comunale (cfr. Cons. di Stato, n. 2258/06 cit.; Cons. Stato, Sez. 2^, 21.11.07, n. 11073) ».

    Il contributo è dovuto nella misura determinata ex lege: trova fonte nella locale disciplina urbanistica (cfr. C.d.S., sez. I, 30 marzo 2016, n. 822, affare n. 501/2015) nell’osservanza del principio dell’art. 23 della Costituzione per la sua quantificazione ed imposizione (cfr. C.G.A.Reg.Sic., sez. riunite, 14 aprile, 2016, n. 391, affare n. 342/2015) e, dunque, «le modalità di commisurazione dell’incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria (e, qualora dovuti, anche degli oneri di urbanizzazione secondaria) per la concreta determinazione del contributo dovuto, devono seguire i criteri e limiti fissati tassativamente dalla legge» (cfr. C.d.S., sez. VI, 15 luglio 2013, n. 3788).

    Deve escludersi pertanto, in linea generale, che le parti possano definirne l’ammontare in un accordo privato di natura contrattuale.

    Ciò basta a respingere l’eccezione, esimendo dal trattenersi sulle circostanze con la stessa denunciate.

    12. – Nel merito, il ricorso è infondato.

    13. – Contrariamente a quanto sostenuto nei primi due motivi di ricorso, che per la loro stretta connessione possono essere congiuntamente esaminati, la disciplina urbanistica in concreto applicabile e la tipologia dell’intervento edilizio sanato conducono ad escludere che il rilascio del permesso di costruire potesse andare esente dal pagamento degli oneri di urbanizzazione.

    14. – Muovendo in ordine logico, in primo luogo non è esatto sostenere che gli oneri di urbanizzazione dovessero essere quantificati secondo la disciplina urbanistica vigente alla data del rilascio del permesso di costruire in sanatoria.

    Per vero, la relativa questione non trova soluzione pacifica nella giurisprudenza (tra le pronunce recenti, cfr. T.A.R. Catania, sez. I, 1° febbraio 2016, n. 347, nel senso che gli oneri concessori vanno determinati tenendo conto del momento in cui la concessione in sanatoria è stata rilasciata; in senso contrario, T.A.R. Cagliari, sez. II, 9 marzo 2015, n. 416).

    In base al complessivo quadro normativo, tuttavia, appare corretto respingere la tesi che lega la determinazione degli oneri concessori alla data di conclusione del procedimento di condono, anche se distante svarianti lustri da quella di presentazione della relativa istanza.

    La Corte costituzionale, a suo tempo, ha chiarito che, a fronte della teorica possibilità di ancorare gli oneri di concessione alle tariffe vigenti, alternativamente, al momento in cui l’abuso è iniziato, al momento in cui l’immobile abusivo è completato, al momento dell’entrata in vigore della normativa statale sul condono, al momento dell’entrata in vigore della normativa regionale sul condono, al momento in cui è stata effettuata la richiesta di condono o, infine, al momento del perfezionamento del procedimento di sanatoria, la scelta tra queste opzioni è frutto di un bilanciamento di interessi rimesso alla discrezionalità del legislatore (cfr. C.Cost., ord., n. 105 del 2010, sulla legittimità della scelta operata nell’art. 4, comma 6, della legge regionale della Lombardia 3 novembre 2004, n. 31).

    A questo riguardo, occorre fare riferimento non già all’art. 16 del DPR 8 giugno 2001, n. 380, che disciplina il contributo dovuto per il rilascio del titolo edilizio in regime ordinario, ma alla legislazione speciale che disciplina invece il regime straordinario di sanatoria (il condono), trattandosi di situazioni normativamente ed ontologicamente diverse (il titolo in sanatoria è destinato a rivestire di legittimità un fatto, cioè la costruzione, che, a differenza che nel caso ordinario, precede e non segue il rilascio del titolo: cfr. C.d.S., sez. V, 17 settembre 2002, n. 4716).

    La giurisprudenza amministrativa ha già avuto occasione di ricostruire l’avvicendarsi delle diverse discipline sul condono edilizio con specifico riguardo alla questione del contributo dovuto per il rilascio del titolo in sanatoria, in termini che qui appresso è utile ricordare:

    «la legge 28 febbraio 1985, n. 47 (primo condono), nello stabilire che la sanatoria degli abusi fosse condizionata […]al versamento di un’oblazione e del contributo di concessione di cui all’art. 3, legge n. 10/1977, consentiva alle regioni di legiferare sul punto, anche modificando (con possibilità di riduzione fino al 50%) la misura del contributo «determinato secondo le disposizioni vigenti all’entrata in vigore della presente legge» (art. 37, comma 2); ed aggiungeva che, se il potere di legiferare non era esercitato entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge, si applicavano le norme vigenti all’entrata in vigore della legge stessa (art. 37, comma 4). […]

    Ora, sia in occasione del secondo condono (cfr. art. 39, comma 1, legge 23 dicembre 1994, n. 724), sia in occasione del terzo condono (art. 32, comma 25, decreto-legge n. 269 del 2003, convertito in legge n. 326/2003), il legislatore ha stabilito che alle opere abusive suscettibili di sanatoria si applicano «le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni».

    E, coerentemente, l’art. 32, comma 28, del decreto-legge n. 269/2003 dispone che: «I termini previsti dalle disposizioni sopra richiamate e decorrenti dalla data di entrata in vigore dell’articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni e integrazioni, ove non disposto diversamente, sono da intendersi come riferiti alla data di entrata in vigore del presente decreto. Per quanto non previsto dal presente decreto si applicano, ove compatibili, le disposizioni di cui alla legge 28 febbraio 1985, n. 47, e al predetto articolo 39».

    Dalla lettura, seppure non agevole, del complesso normativo si evince dunque che ai fini del condono le disposizioni di riferimento, comprese quelle di carattere tariffario, sono quelle vigenti al momento dell’entrata in vigore delle leggi di sanatoria via via promulgate dal legislatore statale […]

    Ci si potrebbe chiedere se questa ricostruzione non rischi di essere incrinata dall’art. 32 del decreto-legge n. 269/2003, laddove dispone (comma 34) che «Ai fini dell’applicazione del presente articolo non si applica quanto previsto dall’articolo 37, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47. Con legge regionale gli oneri di concessione relativi alle opere abusive oggetto di sanatoria possono essere incrementati fino al massimo del 100 per cento».

    La risposta, ad avviso del Collegio, è negativa. L’esplicito richiamo al secondo comma dell’art. 37 lascia intendere che il legislatore statale ha voluto escludere soltanto la possibilità di riduzione degli oneri vigenti, nel momento stesso in cui ha facultizzato le regioni ad incrementarli fino al doppio. Ma è proprio la facoltà di incremento conferita alle regioni — tenute a legiferare entro termini ristretti — che impone di assumere come parametro di riferimento le tariffe d’oneri vigenti al momento dell’entrata in vigore della legge statale o della legge regionale di dettaglio, non essendo ragionevole ipotizzare una possibilità di incremento rispetto a tariffe di là da venire, se non a costo di esporre gli interessati — richiedenti il condono — ad oneri del tutto imprevedibili, e per giunta lasciati alla casualità della trattazione delle istanze di condono» (così TAR Lombardia, Milano, ord., 20 marzo 2009, n. 53, iscritta al n. 212 del registro ordinanze 2009 della Corte costituzionale e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 35, prima serie speciale, del 2 settembre 2009).

    Pienamente condivisibile è la conclusione che la legislazione statale sul condono del 2003 – quello che è stato concesso all’odierna ricorrente, come si è detto – non deroga al principio comune alle precedenti leggi straordinarie di sanatoria secondo cui, se le regioni non fossero intervenute a modificare, entro un breve termine, la misura del contributo, si sarebbe dovuto far applicazione delle norme vigenti alla data di entrata in vigore della legge statale, poiché la legge del 2003 esclude l’applicazione del secondo, ma non anche del quarto comma dell’art. 37 della legge n. 47/85.

    La regione Campania è intervenuta a disciplinare il terzo condono con legge regionale 18 novembre 2004, n. 10, poi dichiarata parzialmente illegittima dalla Corte costituzionale (sent. n. 49 del 2006), ma non nella disposizione che ha aumentato del cento per cento, rispetto alla misura stabilita dalla disciplina all’epoca vigente, gli oneri concessori relativi alle opere abusive oggetto di condono (art. 6, co. 3, l.r. ult. cit.).

    Alla stregua di quanto detto, dunque, deve convenirsi che le disposizioni applicabili al caso di condono in esame, comprese quelle di carattere tariffario, sono quelle vigenti al momento dell’entrata in vigore della legge statale della cui sanatoria si è fatta in concreto applicazione.

    D’altronde, la giurisprudenza di appello sembra ormai recentemente assestata nel senso che la determinazione del contributo di concessione in sanatoria deve effettuarsi con riferimento alle tariffe vigenti al momento della domanda (cfr. C.d.S., sez. IV, 7 luglio 2014, n. 3425; sez. IV, 3 ottobre 2012 n. 5201), mentre i precedenti citati a proprio favore dalla ricorrente ora riguardano il rilascio di un permesso di costruire ordinario e non un condono (C.d.S., sez. VI, 2 luglio 2015, n. 3298), ora si limitano ad un obiter dictum, facendo applicazione, invece, di una specifica norma di altra regione (C.d.S., sez. IV, 11 settembre 2012 n. 4826).

    Per queste ragioni, erra la società ricorrente a ritenere che il contributo di urbanizzazione per il rilascio del suo titolo edilizio in sanatoria dovesse essere calcolato sulla base della delibera commissariale del Comune di …. n. 48 del 14 febbraio 2008.

    15. – In secondo luogo, neppure è vero che la tipologia dell’intervento edilizio condonato non giustificasse l’imposizione del pagamento degli oneri di urbanizzazione perché non avrebbe determinato un aggravio del carico urbanistico.

    Il cambiamento di destinazione d’uso è rilevante allorquando sussiste un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, qualificate sotto il profilo della differenza del regime contributivo in ragione dei diversi carichi urbanistici (cfr. TAR Veneto, sez. II, 12 ottobre 2001, n. 3699; C.d.S., sez. I, n. 822/2016 cit.).

    Nel caso di specie si è avuto un passaggio da un uso artigianale ad un uso commerciale, che, per un verso, richiede un maggior impegno urbanistico in termini di standard (cfr. art. 5 DM n. 1444/68) e, per altro verso, ha comportato il passaggio ad una diversa categoria funzionale soggetta a un differente regime di calcolo degli oneri concessori nella disciplina di cui all’allora vigente delibera di Giunta comunale n. 618 del 21 giugno 1994, la quale, al riguardo, distingueva tra impianti industriali e artigianali, da un lato, ed edilizia terziaria direzionale e commerciale, dall’altro (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. II, 21 febbraio 2013, n. 969).

    Soltanto nelle memorie successive al ricorso la società ricorrente invoca a sostegno della domanda l’entrata in vigore della legge regionale della Campania 28 novembre 2001, n. 19, che all’art. 2, comma 1, lett. f), che avrebbe sottratto al regime autorizzatorio il cambio di destinazione d’uso tra categorie compatibili nell’ambito delle singole zone territoriali omogenee

    Tuttavia, a prescindere dal fatto che, secondo la stessa ricorrente, il cambio di destinazione è stato concluso prima della fine del 1998, resta il fatto che soltanto con la citata delibera n. 48 del 2008 il Comune ha provveduto ad aggiornare i criteri di commisurazione degli oneri di urbanizzazione e che tale delibera, per tutto quanto si è detto, non è applicabile al caso in esame.

    16. – Restando sul piano delle ragioni sostanziali fatte valere in giudizio, il quarto motivo di censura è, a sua volta, infondato, poiché la compensazione delle partite è stata svolta confrontando correttamente entità monetarie espresse in termini nominalistici per ambo i termini dell’operazione, laddove la rivalutazione propugnata dalla ricorrente soltanto per la spesa a suo tempo sostenuta per la realizzazione delle opere di urbanizzazione connesse al rilascio delle prime due concessioni edilizie non è giustificata sotto il profilo giuridico e neppure sotto quello logico, spezzando l’omogeneità dei termini a confronto.

    17. – Anche il terzo motivo di doglianza, infine, è infondato, poiché dal rigetto delle altre censure resta dimostrato che la rappresentazione in sede procedimentale delle ragioni espresse nei motivi di ricorso non avrebbe potuto modificare l’esito del procedimento.

    18. – Per le suddette ragioni, in conclusione, il ricorso va respinto.

    19. – Le spese di giudizio vanno interamente compensate, per l’esistenza di differenti indirizzi giurisprudenziali in merito alla questione di diritto esaminata.

    P.Q.M.

    Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe (n. 1952/13), lo respinge. —

    Spese compensate. —

    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

    Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 17 maggio 2016 con l’intervento dei magistrati:

    Claudio Rovis, Presidente

    Gabriele Nunziata, Consigliere

    Francesco Guarracino, Consigliere, Estensore

    L’ESTENSORE

    IL PRESIDENTE

    Francesco Guarracino

    Claudio Rovis

    IL SEGRETARIO

    Condividi su