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T.A.R. Campania, Napoli – I Sezione, sentenza 13 gennaio 2020, n. 155

    Sicurezza pubblica – Misure di prevenzione – Misure antimafia – Interdittiva antimafia – presupposti applicativi – contaminazione – rischio di inquinamento mafioso – criterio del più probabile che non – rapporti tra informativa antimafia e misure di prevenzione – applicazione CEDU.

    L’interdittiva antimafia costituisce una misura amministrativa preventiva finalizzata ad evitare che ad alcuni procedimenti particolarmente delicati dell’attività della pubblica amministrazione possano partecipare, conseguendone i relativi benefici, imprese nei cui confronti si siano verificati tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate. L’elemento centrale per la definizione della fattispecie non è quindi costituito dalla sussistenza di un rapporto di contiguità o di una vera e propria affiliazione degli esponenti aziendali all’associazione criminale, ma dal rischio di condizionamento delle scelte societarie che deriva dal tentativo di infiltrazione mafiosa.

    Si tratta pertanto di una circostanza di natura oggettiva (la riduzione della libertà di autodeterminazione economica che deriva dal tentativo di infiltrazione) e, in linea di principio, caratterizzata dalla natura non sanzionatoria, ma puramente preventiva dell’attribuzione di benefici pubblici ad imprese che siano comunque, anche se con diverse modalità, soggette al condizionamento della criminalità organizzata.

     

    L’esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa non presuppone necessariamente stabili relazioni economiche con i malavitosi, essendo sufficienti anche mere frequentazioni, situazioni di convivenza e/o di condivisione di interessi e le forme di contiguità con gli ambienti della criminalità organizzata possono anche prescindere da ipotesi di dipendenza economica e trovare copertura in assetti gestionali d’impresa ineccepibili.

    L’amministrazione può ragionevolmente attribuire rilevanza a contatti o rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia, di titolari, soci, amministratori, dipendenti dell’impresa con soggetti raggiunti da provvedimenti di carattere penale o da misure di prevenzione antimafia quando essi non siano frutto di casualità o, per converso, di necessità.

     

    Il mero decorso del tempo è in sé un elemento neutro, che non smentisce, da solo, la persistenza di legami, vincoli e sodalizi e comunque non dimostra, da solo, l’interruzione di questi, se non corroborato da ulteriori e convincenti elementi indiziari. Peraltro, occorre considerare che l’infiltrazione mafiosa, per la natura stessa delle organizzazioni criminali dalle quali promana e per la durevolezza dei legami che esse instaurano con il mondo imprenditoriale, ha una stabilità di contenuti e, insieme, una mutevolezza di forme, economiche e giuridiche, capace di sfidare il più lungo tempo e di occupare il più ampio spazio possibile (1)

     

    Ciò che differenzia l’informativa antimafia da altre misure preventive è la finalità da essa perseguita di salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento dell’azione amministrativa. Essa risponde ad una logica probatoria diversa da quella tipica degli accertamenti di natura penale e non deve necessariamente collegarsi a provvedimenti giurisdizionali o a misure preventive di altro tipo: sul piano probatorio la demarcazione tra le due aree di intervento (la repressione penale e la prevenzione amministrativa) si traduce nel fatto che il rischio di inquinamento mafioso rilevante ai fini della emissione della informativa deve essere valutato in base al criterio del più “probabile che non”, sicché gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione.

    Profonda è dunque la differenza tra i destinatari delle misure di prevenzione e i destinatari delle informazioni interdittive: per i primi, rilevano i fatti penalmente rilevanti; per i secondi, rilevano anche fatti non necessariamente aventi rilevanza penale.

     

    Quanto al presunto parallelismo con la pronuncia Cedu del 23.2.2017 “De Tomaso/Italia” sotto il profilo della indeterminatezza dei presupposti applicativi, si ribadisce l’insussistenza di profili di sovrapponibilità tra informative antimafia e misure di prevenzione, dal momento che

    la tipizzazione normativa delle fattispecie legittimanti l’emissione dell’interdittiva e l’interpretazione che la giurisprudenza ha cercato di fornire in questa materia non consentono di estendere tout court al sistema delle misure amministrative antimafia le censure che la Cedu ha mosso al sistema delle misure di prevenzione personali per la insufficiente determinazione della fattispecie legale tipica che giustifica l’emissione di tali misure.

     

    L’informativa interdittiva antimafia è oggettivamente insuscettibile di comprimere la libertà fondamentale di circolazione, di stabilimento o di libera prestazione di servizi nel contesto dell’Unione, né il menzionato diritto fondamentale di proprietà, (parzialmente) incidendo, piuttosto, sulla libertà di iniziativa economica, la quale non trova, però, specifica tutela nella Cedu, mentre è contemplata dall’art. 41 Cost..

    • Consiglio di Stato, Sez. III, n. 4657/2015;

     

    Massime a cura dell’Avv. Giorgia Cicala

     

     

     

    Pubblicato il 13/01/2020

    00155/2020 REG.PROV.COLL.

    01853/2019 REG.RIC.

    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

    (Sezione Prima)

    ha pronunciato la presente

    SENTENZA

    sul ricorso numero di registro generale 1853 del 2019, integrato da motivi aggiunti, proposto da
    -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati –OMISSIS-, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in -OMISSIS-;

    contro

    U.T.G. Prefettura di – OMISSIS -, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di – OMISSIS -, domiciliataria ex lege in – OMISSIS -;

    Ministero dell’Interno, Struttura di Missione Prevenzione e Contrasto Antimafia Sisma, in persona del legale rappresentante p.t., non costituito in giudizio;

    per l’annullamento

    1. I) con il ricorso introduttivo:

    – del provvedimento interdittivo n. -OMISSIS-, adottato dall’U.T.G. – Prefettura di – OMISSIS;

    – della nota di trasmissione prot. n. -OMISSIS-, inviata dalla Prefettura di – OMISSIS – con la quale si comunica anche l’avvio del procedimento di verifica della sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle misure di cui all’art. 32, comma 10, del D.L. 90/2014, convertito dalla L. 114/2014;

    – del verbale del G.I.A. n. -OMISSIS-;

    – della nota della Struttura di missione Prevenzione e contrasto Antimafia Sisma del 31.1.2019;

    – di ogni altro atto presupposto, consequenziale e/o connesso comunque lesivo degli interessi della società ricorrente comprese le indagini istruttorie se ed in quanto compiute;

    1. II) con i motivi aggiunti:

    – dei medesimi atti già impugnati con il ricorso principale e depositati in giudizio dalla Prefettura di – OMISSIS – a seguito dell’ordinanza presidenziale n. -OMISSIS-;

    – del provvedimento di rigetto dell’iscrizione nella c.d. “white list” della Prefettura di – OMISSIS -, se ed in quanto esistente e comunque mai comunicato né notificato e di cui dà atto il Ministero dell’Interno nella memoria depositata in data 23.5.2019;

    – del verbale del Gruppo Ispettivo Antimafia del 26.2.2019;

    – della nota del Nucleo di Polizia Tributaria – GICO, Guardia di Finanza di – OMISSIS – prot. n. -OMISSIS-, della Nota del Centro Operativo DIA – OMISSIS – prot. n.-OMISSIS-, della nota della Questura di – OMISSIS -, Divisione Anticrimine, prot. n. -OMISSIS-, della nota della Struttura di Missione Sisma del Ministero dell’Interno prot. n. -OMISSIS-, di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale comunque lesivo degli interessi della società ricorrente.

    Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

    Visto l’atto di costituzione in giudizio della Prefettura di – OMISSIS -;

    Visti tutti gli atti della causa;

    Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2019 il dott. Gianluca Di Vita e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

    FATTO

    La società ricorrente impugna, chiedendone l’annullamento, il provvedimento prot. n. -OMISSIS- e gli ulteriori atti in epigrafe con cui la Prefettura di – OMISSIS – ha ravvisato la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa da parte della criminalità organizzata tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi gestionali ai sensi degli artt. 84 e 91 del D.Lgs. n. 159/2011 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione).

    A sostegno dell’esperito gravame deduce i profili di illegittimità di seguito rubricati:

    1) violazione e falsa applicazione degli art. 83 e ss. del D.Lgs. n. 159/2011, della L. n. 190/2012, contraddittorietà, irragionevolezza, illogicità manifesta, arbitrarietà, sviamento di potere, difetto di istruttoria, sproporzione, violazione e falsa applicazione dell’art. 41 della Costituzione;

    2) violazione degli artt. 41 e 42 della Costituzione, violazione dell’art. 117 della Costituzione in riferimento all’art. 1 del protocollo addizionale Cedu, violazione e falsa applicazione della convenzione Cedu;

    3) violazione degli art. 13 e 25 della Costituzione, violazione del principio di legalità e/o prevedibilità dei presupposti per l’applicazione delle misure di prevenzione, violazione e falsa applicazione del criterio probabilistico, violazione dei principi Cedu.

    4) violazione e falsa applicazione degli art. 83 e ss. del D.Lgs. n. 159/2011, eccesso di potere per errore sui presupposti, difetto di motivazione, arbitrarietà e sproporzione, violazione dell’art. 41 della Costituzione.

    Conclude con le richieste di accoglimento del ricorso e di conseguente annullamento degli atti impugnati.

    Si è costituita la Prefettura di – OMISSIS – che replica nel merito e chiede il rigetto del gravame.

    In esecuzione dell’ordinanza presidenziale n. -OMISSIS- l’amministrazione ha depositato atti istruttori avverso cui sono stati proposti motivi aggiunti.

    All’udienza pubblica del 18 dicembre 2019 la causa è stata infine trattenuta in decisione.

    DIRITTO

    Viene in decisione il ricorso proposto dalla società -OMISSIS-, operativa nel settore edile, avverso il provvedimento prot. n. -OMISSIS- e gli ulteriori atti in epigrafe con cui la Prefettura di – OMISSIS – ha ravvisato la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa da parte della criminalità organizzata tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi ai sensi degli artt. 84 e 91 del D.Lgs. n. 159/2011 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione).

    Preliminarmente occorre riportare il quadro indiziario posto a fondamento degli atti impugnati.

    Posto che l’assetto proprietario della società ricorrente (già denominata -OMISSIS-) è ripartito al 50% tra i Sig.ri -OMISSIS- e -OMISSIS-, rispettivamente amministratrice unica e responsabile tecnico, il provvedimento prefettizio si fonda sull’esito degli accertamenti contenuti nel verbale del G.I.A. n. -OMISSIS-che ha posto in rilievo i seguenti elementi:

    – in data 6.6.2016 la società ha presentato richiesta di iscrizione alla c.d. “white list” di cui all’art. 1, comma 52, della L. n. 190/2012 e all’art. 2 comma 2, del D.P.C.M. 18 aprile 2013 e, da ultimo, anche nell’anagrafe antimafia ex art. 30, comma 6, del D.L. n. 189/2016 convertito dalla L. n. 229/2016 (interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del 2016) tenuto dalla Struttura di Missione Antimafia Sisma presso il Ministero dell’Interno;

    – in occasione di controlli di polizia effettuati nel 2007, 2009, 2013 e 2014, il sig. -OMISSIS-, già amministratore e socio unico si trovava in compagnia di soggetti pregiudicati (-OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, nei cui confronti sono state emesse misure restrittive per reati di associazione mafiosa, rapina, estorsione aggravata e, in alcuni casi, anche misure di prevenzione);

    – subito dopo la comunicazione del 30.6.2017 del preavviso di diniego di iscrizione all’anagrafe antimafia degli esecutori ex art. 10 bis della L. n. 241/1990, in data 6.7.2017, il sig. -OMISSIS-ha ceduto la totalità delle quote agli attuali soci -OMISSIS- e -OMISSIS- – entrambi alla prima esperienza lavorativa retribuita – e fino al 31.10.2018 ha continuato a svolgere attività di lavoro dipendente all’interno della società (la quale nella banca dati INPS figura ancora con la vecchia denominazione -OMISSIS-);

    – un familiare convivente del Sig. -OMISSIS- ha riportato una condanna risalente al 1990 per reato contro la P.A. ritenuta potenzialmente rilevante ai fini antimafia;

    – in ragione di tali elementi il Gruppo Ispettivo Antimafia ha ritenuto sussistente il rischio di infiltrazione mafiosa a carico della società ricorrente e ha concluso che non possa disporsi l’iscrizione nella c.d. “white list”.

    Tanto premesso, può passarsi al vaglio delle censure.

    Con un primo ordine di rilievi parte ricorrente assume l’irragionevolezza e la contraddittorietà dell’azione amministrativa, visto che la società sarebbe stata già sottoposta a verifiche antimafia con esito positivo, avendo conseguito l’iscrizione nella c.d. “white list” (come si desume dall’impugnato provvedimento prot. n. -OMISSIS-) e, altresì, nell’anagrafe antimafia degli esecutori per la ricostruzione post sisma tenuta dalla Struttura di Missione Antimafia Sisma presso il Ministero dell’Interno ex L. n. 229/2016.

    Assume poi il difetto di istruttoria perché, a fondamento dell’atto impugnato, sarebbero stati evidenziati indizi irrilevanti (isolate frequentazioni con pregiudicati risalenti nel tempo) a carico di un ex socio -OMISSIS- che è incensurato ed estraneo alla società avendo interrotto qualsiasi rapporto di collaborazione, mentre alcun profilo ostativo emergerebbe a carico degli attuali soci che non hanno riportato precedenti penali e non hanno procedimenti pendenti. Riguardo agli attuali esponenti aziendali, l’unico profilo ostativo sarebbe costituito da una denuncia a carico del padre convivente del Sig. -OMISSIS- per il reato di violazione di sigilli ex art. 349 c.p. irrilevante ai fini antimafia e risalente al 1990 per il quale è stato riconosciuto il beneficio della non menzione nel casellario giudiziale, tanto che nel 1993 ha ottenuto la licenza di porto di fucile per il tiro a piattello.

    Lamenta ancora la carenza dell’attualità del rischio di contaminazione criminale in quanto gli indizi posti in risalto dalla Prefettura risalgono a diversi anni addietro e si riferiscono ad un esponente (-OMISSIS-) che non è più in servizio presso la società.

    Invoca poi la sentenza della Corte Costituzionale n. 24/2019 che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 16 del Codice Antimafia, nella parte in cui stabilisce che le misure di prevenzione patrimoniali del sequestro e della confisca, disciplinate rispettivamente dai successivi artt. 20 e 24, si applichino anche ai soggetti indicati nell’art. 1, lettera a), cioè a “coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi”, in ragione della genericità del testo normativo che non soddisfa le esigenze di precisione imposte dall’art. 42 della Costituzione e, in riferimento all’art. 117 primo comma della Costituzione, dall’art. 1 del Prot. addiz. Cedu.. Sostiene che all’istituto delle misure di prevenzione patrimoniali debba essere equiparata l’informativa antimafia per la quale difetterebbe la determinatezza necessaria a renderne prevedibile l’irrogazione, senza che essa possa ritenersi assicurata dal principio di elaborazione giurisprudenziale del “più probabile che non” che finirebbe per conferire all’organo prefettizio un potere eccessivamente discrezionale non fondato su fattispecie tipizzate.

    Chiede di sollevare questione di legittimità costituzionale degli artt. 89 bis, 91 e 94 del Codice antimafia per violazione degli artt. 3, 24, 27, 41, 42 e 97 della Costituzione.

    Con successivi motivi aggiunti proposti avverso gli atti versati dall’amministrazione in esecuzione dell’ordinanza istruttoria di questo T.A.R., la ricorrente ribadisce i motivi di diritto già articolati con l’atto introduttivo e sottolinea che a carico degli attuali soci non vi è alcun precedente penale ostativo.

    I rilievi sono complessivamente infondati per le ragioni di seguito illustrate.

    Con riguardo alla presunta contraddittorietà con pregressi provvedimenti che postulano verifiche antimafia con esito positivo, mette conto evidenziare l’infondatezza dell’assunto circa una pregressa iscrizione della società nella c.d. “white list” di cui all’art. 1, comma 52, della L. n. 190/2012 e all’art. 2 comma 2, del D.P.C.M. 18 aprile 2013. Difatti, come chiarito dalla Prefettura nella propria memoria difensiva, il provvedimento impugnato contiene un refuso laddove si fa riferimento all’iscrizione della società nell’elenco nella “white list” e non piuttosto alla mera richiesta di iscrizione sulla quale il G.I.A. ha espresso parere contrario ravvisando il rischio di contaminazione criminale.

    La circostanza che il relativo procedimento sia durato tre anni (rispetto alla istanza del 2016) non muta i termini della questione visto che, a fronte del decorso del termine di 90 giorni per l’adozione del provvedimento definitivo (cfr. art. 3, comma 3, del D.P.C.M. 18.4.2013), non risulta che la società abbia attivato il rimedio processuale di cui agli artt. 31 e 117 c.p.a. per l’accertamento della illegittimità del silenzio – rifiuto e dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere con atto espresso e motivato.

    Quanto alla iscrizione nell’anagrafe antimafia degli esecutori per la ricostruzione post sisma tenuta dalla Struttura di Missione Antimafia Sisma presso il Ministero dell’Interno ex L. n. 229/2016, risulta dagli atti l’adozione di un preavviso di rigetto della richiesta ex art. 10 bis della L. n. 241/1990; non vi è prova dell’effettiva adozione dell’atto conclusivo di accoglimento della richiesta di iscrizione, risultando a tale scopo insufficiente la mera stampa della schermata estratta dal sito internet della Struttura di Missione prodotta dalla società ricorrente che, invero, non riporta gli estremi identificativi del provvedimento. In ogni caso, l’impugnata informativa si fonda su un quadro indiziario e richiama diversi atti istruttori, ivi compreso il verbale del gruppo G.I.A. che danno adeguatamente conto delle ragioni ostative prefettizie.

    Venendo al merito delle contestazioni, ritiene il Collegio che il provvedimento si fondi legittimamente su una corretta valutazione di elementi indiziari e su un appropriato giudizio prognostico circa il rischio di condizionamento criminale.

    Va rammentato che l’interdittiva antimafia costituisce una misura amministrativa preventiva finalizzata ad evitare che ad alcuni procedimenti particolarmente delicati dell’attività della pubblica amministrazione (procedimenti di scelta del contraente in materia di contrattualistica pubblica, concessioni) possano partecipare, conseguendone i relativi benefici, imprese nei cui confronti si siano verificati tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate. L’elemento centrale per la definizione della fattispecie non è quindi costituito dalla sussistenza di un rapporto di contiguità o di una vera e propria affiliazione degli esponenti aziendali all’associazione criminale, ma dal rischio di condizionamento delle scelte societarie che deriva dal tentativo di infiltrazione mafiosa.

    Si tratta pertanto di una circostanza di natura oggettiva (la riduzione della libertà di autodeterminazione economica che deriva dal tentativo di infiltrazione) e, in linea di principio, caratterizzata dalla natura non sanzionatoria (almeno nelle ipotesi in cui non si riesca a dimostrare la sostanziale cointeressenza di interessi con l’associazione criminale) ma puramente preventiva dell’attribuzione di benefici pubblici ad imprese che siano comunque, anche se con diverse modalità, soggette al condizionamento della criminalità organizzata.

    Nel caso specifico il rischio di infiltrazione criminale è stato desunto dal numero e dalla frequenza degli incontri del Sig. -OMISSIS-, già socio unico e amministratore della società e dai contatti con persone gravitanti nell’orbita della criminalità organizzata di tipo camorristico, elementi di fatto che la giurisprudenza amministrativa maggioritaria (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1743/2016, par. 6.5) ha considerato bastevoli per ritenere sussistente il pericolo di infiltrazione mafiosa nell’impresa e nell’attività economica da questa svolta, con possibile alterazione delle dinamiche del libero mercato e della concorrenza. Si è precisato, al riguardo, che “il senso dell’occasionalità o meno delle frequentazioni deve essere colto non in relazione al singolo individuo malavitoso, ma con riferimento al complessivo ambiente criminale indipendentemente dai soggetti via via frequentati, con la conseguenza che acquistano pregnanza più situazioni di contatto con tale ambiente a prescindere dai personaggi che ne sono espressione. Infatti, più episodi di frequentazione di soggetti malavitosi diversi sono pericolosi, in termini di infiltrazione mafiosa, al pari della ripetuta frequentazione di uno stesso soggetto malavitoso” (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, n. 295/2014) e che “tanto più frequenti sono gli incontri con persone controindicate, tanto meno l’autorità è obbligata a fornire riscontri in ordine alle modalità e alla natura degli incontri avvenuti ed è invece facoltizzata a dedurre il pericolo di contaminazione a fondamento della informativa, sulla base di un giudizio di normalità causale integrato dal principio del rischio specifico” (T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, n. 650/2014), ciò perché l’esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa non presuppone necessariamente stabili relazioni economiche con i malavitosi, essendo sufficienti anche mere frequentazioni, situazioni di convivenza e/o di condivisione di interessi e che le forme di contiguità con gli ambienti della criminalità organizzata possono anche prescindere da ipotesi di dipendenza economica e trovare copertura in assetti gestionali d’impresa ineccepibili.

    Ad analoghe conclusioni è pervenuto anche il Consiglio di Stato secondo cui l’amministrazione può ragionevolmente attribuire rilevanza a contatti o rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia, di titolari, soci, amministratori, dipendenti dell’impresa con soggetti raggiunti da provvedimenti di carattere penale o da misure di prevenzione antimafia quando essi non siano frutto di casualità o, per converso, di necessità. Si è in proposito osservato che “se di per sé è irrilevante un episodio isolato ovvero giustificabile, sono invece altamente significativi i ripetuti contatti o le ‘frequentazioni’ di soggetti coinvolti in sodalizi criminali, di coloro che risultino avere precedenti penali o che comunque siano stati presi in considerazione da misure di prevenzione. Tali contatti o frequentazioni (anche per le modalità, i luoghi e gli orari in cui avvengono) possono far presumere, secondo la logica del «più probabile che non», che l’imprenditore – direttamente o anche tramite un proprio intermediario – scelga consapevolmente di porsi in dialogo e in contatto con ambienti mafiosi” (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1743/2016, par. 6.5 e seguenti).

    Del resto, la ratio che ha ispirato l’introduzione nel nostro ordinamento dell’istituto dell’interdittiva antimafia è stata proprio quella di prevenire e, in ogni caso, di impedire l’alterazione delle fisiologiche dinamiche concorrenziali nel settore degli appalti pubblici, mediante l’espulsione da tale settore di tutti quei soggetti imprenditoriali che possono avvalersi di illeciti fattori di condizionamento dello stesso derivanti dal ricorso al cd. metodo mafioso (intimidazioni e minacce qualificate dall’appartenenza da un’organizzazione criminale di tipo mafioso o dalla vicinanza ad essa mediante la frequentazione di soggetti affiliati alla medesima, assoggettamento degli organismi politico-amministrativi alle mire economiche dei sodalizi criminosi, alterazioni dei pubblici incanti, etc.).

    Quanto alla dedotta risalenza delle frequentazioni, si rammenta che il mero decorso del tempo è in sé un elemento neutro, che non smentisce, da solo, la persistenza di legami, vincoli e sodalizi e comunque non dimostra, da solo, l’interruzione di questi, se non corroborato da ulteriori e convincenti elementi indiziari. Peraltro, occorre considerare che l’infiltrazione mafiosa, per la natura stessa delle organizzazioni criminali dalle quali promana e per la durevolezza dei legami che esse instaurano con il mondo imprenditoriale, ha una stabilità di contenuti e, insieme, una mutevolezza di forme, economiche e giuridiche, capace di sfidare il più lungo tempo e di occupare il più ampio spazio possibile (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 4657/2015).

    Con riguardo alla presunta recisione di ogni rapporto di collaborazione professionale con il Sig. -OMISSIS-, occorre rilevare innanzitutto che l’affermazione collide con il contenuto degli atti istruttori; difatti, dalle note del Nucleo Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza del 6.2.2019 e della Questura di – OMISSIS – Divisione Polizia Anticrimine del 25.2.2019 risulta che -OMISSIS-ricopre attualmente l’incarico di procuratore generale con nomina del 7.1.2019.

    Inoltre, dall’esame della procura è stata desunta l’attribuzione al prevenuto di pieni poteri decisionali sulla gestione societaria (nota della D.I.A. del 22.2.2019) potendo, ad esempio, sottoscrivere contratti di a.t.i. per conto della società, accettando la qualifica di capogruppo o provvedendo alla relativa nomina, presenziare a sedute pubbliche di gara, sottoscrivere verbali, partecipare a procedure di evidenza pubblica “con voce e voto”, sottoscrivere in nome e per conto della società tutti i contratti e gli atti negoziali, consequenziali e necessari per l’affidamento, firmare i certificati di collaudo definitivo, sottoscrivere e accettare la consegna dei lavori, stare in giudizio attivamente e passivamente innanzi a organi giurisdizionali ordinari e amministrativi, svolgere pratiche presso amministrazioni pubbliche, effettuare transazioni relative a lavori eseguiti, riscuotere qualsiasi somma a qualsiasi titolo per qualunque ragione dovuta alla società rappresentata, etc..

    Al predetto esponente aziendale sono stati quindi attribuiti rilevanti poteri decisionali e gestionali, oltre che di rappresentanza della società nei rapporti con terzi e con amministrazioni pubbliche, così da poter concretamente incidere sulle scelte aziendali. La frequentazione del prevenuto con esponenti della criminalità organizzata e la persistenza di un rilevante potere decisionale sulla società comprovano la permeabilità dell’impresa a fattori di rischio di contaminazione.

    E’ poi inconferente il richiamo alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 24/2019.

    In primo luogo, la questione sottoposta al vaglio della Consulta riguardava l’indeterminatezza della nozione di cui all’art. 1, lett. a) del Codice Antimafia (coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi) che individua alcuni dei possibili destinatari di misure di prevenzione personali e patrimoniali, quindi attiene ad un istituto diverso rispetto all’informativa antimafia.

    Come rilevato da condivisibile giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 4938/2018), ciò che differenzia l’informativa antimafia da altre misure preventive è la finalità da essa perseguita di salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento dell’azione amministrativa. Essa risponde ad una logica probatoria diversa da quella tipica degli accertamenti di natura penale e “non deve necessariamente collegarsi a provvedimenti giurisdizionali o a misure preventive di altro tipo, la cui proposta di adozione o il cui provvedimento di applicazione, siano esse misure di natura personale o patrimoniale, non a caso figurano tra gli elementi dai quali è possibile desumere il rischio di infiltrazione mafiosa (art. 84, comma 4, lett. ‘b’ del D.Lgs. 159/2011). Sul piano probatorio questa demarcazione tre le due aree di intervento (la repressione penale e la prevenzione amministrativa) si traduce nel fatto che il rischio di inquinamento mafioso rilevante ai fini della emissione della informativa deve essere valutato in base al criterio del più “probabile che non”, quindi alla luce di una regola di giudizio che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, quale è, anzitutto, anche quello mafioso (Cons. Stato, sez. III, n. 5214/2017; n. 1743/2016); sicché gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione.

    Profonda è dunque la differenza tra i destinatari delle misure di prevenzione e i destinatari delle informazioni interdittive: per i primi, rilevano i fatti penalmente rilevanti; per i secondi, rilevano anche fatti non necessariamente aventi rilevanza penale.

    In secondo luogo, a differenza della previsione legislativa oggetto della pronuncia della Corte Costituzionale, i presupposti applicativi dell’informazione antimafia sono correlati, ai sensi dell’art. 84, comma 3, del D.Lgs. n. 159/2011 all’ “attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67, nonché, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 91, comma 6, nell’attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate indicati nel comma 4”. Quindi, si tratta di fattispecie tutt’altro che generica e/o indeterminata, ma caratterizzata da ben precisi elementi costitutivi, compiutamente e tassativamente descritti dal legislatore (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 5480/2018).

    Quanto alle considerazioni svolte dalla ricorrente in ordine al parallelo con la pronuncia Cedu del 23.2.2017 “De Tomaso/Italia” sotto il profilo della indeterminatezza dei presupposti applicativi, si ribadisce l’insussistenza di profili di sovrapponibilità tra informative antimafia e misure di prevenzione.

    In argomento, si ritiene sufficiente rinviare alle statuizioni rese da questo T.A.R. (Sez. I, n. 1017/2018) confermate dal Consiglio di Stato (Sez. III, n. 5480/2018) alle quali può farsi rinvio in questa sede.

    In argomento si è sinteticamente osservato che: I) la sentenza De Tomaso si riferisce alle sole misure di prevenzione personali (in ipotesi di c.d. pericolosità generica), limitative, come tali, della libertà fondamentale di circolazione di cui all’art. 2 del Protocollo n. 4 alla Cedu, mentre non considera le misure di prevenzione patrimoniali, limitative del diritto fondamentale di proprietà di cui all’art. 1 del Protocollo addizionale 1 alla Cedu; II) le misure di prevenzione personali vagliate nella sentenza De Tommaso non sono specificamente collegate all’indizio di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso; III) l’informativa interdittiva antimafia è oggettivamente insuscettibile di comprimere la libertà fondamentale di circolazione, di stabilimento o di libera prestazione di servizi nel contesto dell’Unione, né il menzionato diritto fondamentale di proprietà, (parzialmente) incidendo, piuttosto, sulla libertà di iniziativa economica, la quale non trova, però, specifica tutela nella Cedu, mentre è contemplata dall’art. 41 Cost.; IV) la tipizzazione normativa delle fattispecie legittimanti l’emissione dell’interdittiva e l’interpretazione che la giurisprudenza ha cercato di fornire in questa materia non consentono di estendere tout court al sistema delle misure amministrative antimafia le censure che la Cedu ha mosso al sistema delle misure di prevenzione personali per la insufficiente determinazione della fattispecie legale tipica che giustifica l’emissione di tali misure; V) il criterio del “più probabile che non” è conforme alla garanzia fondamentale della presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27 della Costituzione cui è ispirato anche l’art. 6, par. 2 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, in quanto non attiene ad ipotesi di affermazione di responsabilità penale; VI) la Corte di Giustizia UE, in riferimento alla prassi dei cc.dd. protocolli di legalità, ha osservato che “va riconosciuto agli Stati membri un certo potere discrezionale nell’adozione delle misure destinate a garantire il rispetto del principio della parità di trattamento e dell’obbligo di trasparenza, i quali si impongono alle amministrazioni aggiudicatrici in tutte le procedure di aggiudicazione di un appalto pubblico” poiché “il singolo Stato membro è nella posizione migliore per individuare, alla luce di considerazioni di ordine storico, giuridico, economico o sociale che gli sono proprie, le situazioni favorevoli alla comparsa di comportamenti in grado di provocare violazioni del rispetto del principio e dell’obbligo summenzionati” (Corte di Giustizia, sez. X, 22 ottobre 2015, in C-425/14); VII) la formula ‘elastica’ adottata dal legislatore nel disciplinare l’informativa interdittiva antimafia su base indiziaria rinviene dalla ragionevole esigenza di bilanciamento tra la libertà di iniziativa economica riconosciuta dall’art. 41 Cost. e l’interesse pubblico alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pubblica Amministrazione.

    Dalle esposte argomentazioni discende la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale prospettata dalla parte ricorrente.

    Invero, come evidenziato dal Consiglio di Stato (Sez. III, n. 5547/2018; n. 1109/2017), la prevenzione contro l’inquinamento dell’economia legale ad opera della mafia ha costituito e costituisce, tuttora, una priorità per la legislazione del settore. Tale priorità di lotta alla infiltrazione della criminalità organizzata nelle attività economiche ha, peraltro, giustificato la scelta del legislatore di non riconoscere dignità e statuto di operatori economici nei rapporti con la pubblica amministrazione a soggetti condizionati, controllati, infiltrati ed eterodiretti dalle associazioni mafiose.

    Ne deriva che la “natura preventiva e non sanzionatoria” dell’informativa, avulsa da qualsivoglia logica penale o lato sensu punitiva (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1743/2016), costituisce un severo limite all’iniziativa economica privata, che tuttavia è giustificato dalla considerazione che il metodo mafioso, per sua stessa ragion di essere, costituisce un «danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana» (art. 41, comma secondo, Cost.), già sul piano dei rapporti tra privati prima ancora che in quello con le pubbliche amministrazioni, oltre a porsi in contrasto, ovviamente, con l’utilità sociale, limite, quest’ultimo, allo stesso esercizio della proprietà privata.

    In conclusione, ribadite le svolte considerazioni, il ricorso va complessivamente rigettato.

    La peculiare natura delle questioni esaminate giustifica la compensazione delle spese processuali tra le parti costituite.

    P.Q.M.

    Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Prima), definitivamente pronunciando, rigetta il ricorso in epigrafe.

    Spese compensate.

    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

    Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone fisiche e giuridiche riportate in sentenza.

    Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2019 con l’intervento dei magistrati:

    Salvatore Veneziano, Presidente

    Gianluca Di Vita, Consigliere, Estensore

    Maurizio Santise, Primo Referendario

     
     
    L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
    Gianluca Di Vita Salvatore Veneziano
     
     
     
     
     

    IL SEGRETARIO

     

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