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TAR CAMPANIA, NAPOLI, SEZ. IV, 15 FEBBRAIO 2021, n. 976

    Non sussiste tra il dato dell’illegittimità acclarata di un provvedimento amministrativo e l’insorgenza di una fattispecie di illecito aquiliano una relazione di necessaria implicazione.

    Non può escludersi in astratto che l’illegittima determinazione autoritativa potrebbe essere inidonea, sul piano funzionale, a produrre conseguenze dannose per gli interessati e non dar luogo ad una fattispecie di responsabilità aquiliana.

    La qualificazione del danno da illecito provvedimentale rientra nello schema della responsabilità extra- contrattuale disciplinata dall’art. 2043 c.c: per accedere alla tutela, dunque, è indispensabile, ma non sufficiente, che l’interesse legittimo sia stato leso da un provvedimento (o da comportamento) illegittimo dell’amministrazione, ma l’illegittimità, ove acclarata, costituisce solo uno degli indici presuntivi della colpevolezza, da considerare unitamente ad altri.

    Il risarcimento del danno non è una conseguenza diretta e costante dell’annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo, in quanto richiede la positiva verifica, oltre che della lesione del bene della vita al quale l’interesse legittimo effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell’ordinamento, anche del nesso causale tra l’illecito e il danno subito, nonché della sussistenza della colpa dell’amministrazione

    Massima a cura dell’Avv. Rosita Brigante e della dott.ssa Fabia Balletta

     

    Pubblicato il 15/02/2021

    00976/2021 REG.PROV.COLL.

    03077/2014 REG.RIC.

    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

    (Sezione Quarta)

    ha pronunciato la presente

    SENTENZA

    sul ricorso numero di registro generale 3077 del 2014, proposto da
    …………….. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti …………………… con domicilio digitale presso la pec dei difensori e domicilio fisico elettivo in …………….

    contro

    Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio digitale presso la pec di questa e domicilio fisico ex lege in Napoli alla via Diaz n. 11;
    Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesistici e per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico di Napoli e Provincia non costituito in giudizio;

    per la condanna

    1.delle Amministrazioni intimate al risarcimento del danno commisurato alla somma complessiva di €.6.700.000,00# (seimilionisettecentomila/00#), oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla maturazione del diritto sino al reale soddisfo;

    2.in via gradata, per il riconoscimento a titolo risarcitorio della maggiore o minore somma determinata in via equitativa, entrambe con pari decorrenza, in conseguenza dell’annullamento giudiziale del decreto del Soprintendente per i Beni Architettonici ed il Paesaggio e per il Patrimonio storico, artistico e demoetnoantropologico di Napoli e Provincia del 29 agosto 2002 n. 5263, con il quale era stato annullato il provvedimento dirigenziale del Comune di Napoli 8 luglio 2002 n.5263 (pratica edilizia n.90/01) di autorizzazione (emessa ai sensi dell’art.151 del d.lgs. 29 ottobre 1999 n.490) della detta società a realizzare un garage interrato pertinenziale, ai sensi dell’art.9 della l. 24 marzo 1989 n.122 su un suolo sito in Napoli alla via …

    Visti il ricorso e i relativi allegati;

    Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali;

    Visti tutti gli atti della causa;

    Giudice relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 gennaio 2021, tenuta ai sensi dell’art. 25 d.l. 28 ottobre 2020 n.137 e art.4 d.l. 30 aprile 2020 n.28 convertito, con modificazioni, in l. 25 giugno 2020 n. 70, la dott.ssa Ida Raiola e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

     

    FATTO

    Con ricorso notificato in data 27 maggio 2014 e depositato in data 10 giugno 2014, la società ricorrente, esponeva in fatto:

    -che, a seguito di un’articolata vicenda, iniziata nel 2002, il Consiglio di Stato, con sentenza dell’8 marzo 2006 n.1261, aveva annullato il decreto del Soprintendente per i Beni Architettonici ed il Paesaggio e per il Patrimonio storico, artistico e demoetnoantropologico di Napoli e Provincia del 29 agosto 2002 n. 5263, con il quale era stato annullato il provvedimento dirigenziale del Comune di Napoli 8 luglio 2002 n.5263 (pratica edilizia n.90/01) di autorizzazione (emessa ai sensi dell’art.151 del d.lgs. 29 ottobre 1999 n.490) della detta società a realizzare un garage interrato pertinenziale, ai sensi dell’art.9 della l. 24 marzo 1989 n.122 su un suolo sito in Napoli alla via …;

    -che, essendo rimaste inerti le Amministrazioni intimate, essa ricorrente le aveva diffidate all’adozione degli atti conseguenti;

    -che, però, il Comune di Napoli, in riscontro alla detta diffida, con nota prot. n. 179 del 16 gennaio 2007, notificata in data 01.02.2007, aveva rappresentato le ragioni per le quali l’intervento non poteva più essere assentito;

    -che, in particolare, era stato evidenziato nella nota in parola che “l’area oggetto dell’intervento è classificata dalla variante al Prg, approvata con DPGRC n. 323 dell’11 giugno 2004 (BURC n. 29 del 14 giugno 2004) come zona B – agglomerati urbani di recente formazione, sottozona Bb – espansione recente, disciplinata dagli articoli 31 e 33 e rientra nelle aree individuate dal piano stralcio dell’Autorità di Bacino a rischio frana elevato R3. L’intervento non è autorizzabile in quanto in contrasto con le previsioni degli articoli 25 e 26 delle norme di attuazione del piano stralcio per l’assetto idrogeologico che non consentono la realizzazione di nuovi manufatti anche interrati in aree classificate a rischio elevato di dissesti di versante”;

    -che detta nota, impugnata dinanzi al giudice amministrativo, era stata annullata con sentenza del TAR Napoli, IV sez., 17 settembre 2009 n. 5013, con la quale se ne disponeva la caducazione nella parte in cui in essa non si dava conto della delibazione della memoria partecipativa presentata ai sensi dell’art. 10 – bis L. 241/90 né tanto meno delle ragioni per cui le argomentazioni ivi contenute non potevano essere accolte;

    -che, tuttavia, anche a seguito del riesercizio del potere a seguito dell’annullamento appena indicato, il Comune di Napoli aveva emanato altro atto di diniego in data 09/11/2010, anch’esso impugnato con ricorso dinanzi al giudice amministrativo che, con sentenza del TAR Napoli, IV sezione, 05/06/2013 n.437, lo rigettava;

    -che, come era possibile evincere anche dal contenuto dell’ultima pronuncia, la responsabilità circa il mancato realizzo del progetto a più riprese presentato dall’odierna istante e concernente la costruzione di una serie di box interrati insistenti nel condominio ubicato in Napoli, alla via Petrarca n. 101 era da imputarsi alla Soprintendenza partenopea;

    -che, infatti, se l’autorizzazione paesaggistica comunale di cui alla disposizione dirigenziale n. 638 del 08/07/2002, non fosse stata illo tempore illegittimamente annullata con decreto del Soprintendente del 29 agosto 2002, come le risultanze processuali più autorevoli (cfr. sentenza del Consiglio di Stato n. 1261/2006 – Sez. VI) avevano definitivamente appurato, il progetto in discorso avrebbe avuto esecuzione certa atteso l’esito positivo degli scrutini operati dai competenti uffici comunali, sfociati nell’autorizzazione paesaggistica del luglio 2002;

    -che si doveva alla potestà valutativa della Soprintendenza di Napoli, illegittimamente esercitata in quanto non limitata – come da prescrizioni normative e giurisprudenziali univoche e costanti – al piano della sola legittimità, bensì debordante in inconferenti valutazioni di merito, se in prosieguo le sopravvenienti limitazioni urbanistiche avevano impedito che il riesame della pratica ad opera della stessa autorità comunale che aveva in origine rilasciato l’autorizzazione paesaggistica, si concludesse con omologa asseverazione;

    -che, non essendo ciò accaduto, si era verificato a carico della ricorrente un danno economico divenuto ben presto irretrattabile in ragione del rapido sopravvenire di misure urbanistiche relative alla normazione di dettaglio certamente più rigide e stringenti rispetto a quelle vigenti al momento della presentazione dell’originario progetto;

    -che, avverso detta normazione di dettaglio più rigida e stringente avverso la quale non sono bastati ben due successivi ricorsi giurisdizionali per dimostrare come, anche in presenza delle dette sopravvenienze, il progetto – doverosamente rimodulato – si conformasse in toto alle nuove prescrizioni di piano;

    -che, in ogni caso, era di tutta evidenza che laddove il progetto fosse stato ritenuto ossequioso anche delle novelle successivamente introdotte, qualsivoglia pretesa risarcitoria sarebbe risultata tacitata dalla asseverazione postuma;

    -che, però, non essendosi verificato nulla di ciò (da ultimo con la sentenza di rigetto pronunciata dalla Sez. IV^ del T.A.R. Campania n. 2900/2013), soltanto ora si era attualizzato l’interesse della ricorrente al riconoscimento giudiziale del risarcimento per il c.d. equivalente monetario.

    Si costituiva in resistenza il Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

    All’udienza pubblica del 11 gennaio 2021, tenuta ai sensi dell’art. 25 d.l. 28 ottobre 2020 n.137 e art.4 d.l. 30 aprile 2020 n.28 convertito, con modificazioni, in l. 25 giugno 2020 n. 70, la causa passava in decisione.

    DIRITTO

    In limine litis il Collegio osserva che l’azione risarcitoria promossa dalla società ricorrente, attenendo a fatti anteriori all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo non è incorsa nella decadenza di cui all’art.30, comma 5, c.p.a. (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 09/08/2019 n.5648; Corte Cost., 31 marzo 2015 n.57; Cons. Stato, ad. plen., 6 luglio 2015 n.6).

    Nel merito l’azione è infondata e va disattesa.

    La società ricorrente insta per il risarcimento del danno, allegando che avrebbe subito un non trascurabile pregiudizio economico a seguito dell’annullamento da parte della Soprintendenza per i Beni Architettonici ed il Paesaggio e per il Patrimonio storico, artistico e demoetnoantropologico di Napoli e Provincia del 29 agosto 2002 n. 5263 dell’autorizzazione paesistica rilasciata dal Comune di Napoli, ai sensi dell’art.151 d.l.g. n. 490/1999, con provvedimento dirigenziale del giorno 8 luglio 2002 n.5263 per la realizzazione di un parcheggio pertinenziale interrato ai sensi dell’art.9 della l. n. 122/1989 (cd. legge Tognoli), sul rilievo che detto annullamento da parte dell’autorità tutoria (decreto del 29/08/2002 n.263) era stato dichiarato illegittimo ed annullato con sentenza del Consiglio di Stato del giorno 8 marzo 2006 n.1261.

    La difesa di parte ricorrente, in sostanza, imputa alla determinazione negativa (e caducatoria) dell’attività tutoria la produzione del danno lamentato, assumendone l’efficienza causale rispetto a questo e affermando la sussistenza del necessario elemento soggettivo in termini di colpa, venendo così a qualificare l’azione amministrativa in termini di illiceità.

    Il Collegio osserva che, nel caso di specie, risultano carenti per la configurabilità di un illecito dell’Amministrazione sia il nesso eziologico tra l’atto dell’amministrazione e il pregiudizio lamentato dalla parte ricorrente sia l’elemento soggettivo della colpa.

    E’ noto, infatti, che non sussiste tra il dato (in questo caso acclarato) dell’illegittimità di un provvedimento amministrativo e l’insorgenza di una fattispecie di illecito aquiliano una relazione di necessaria implicazione, dal momento che non può escludersi in astratto che l’illegittima determinazione autoritativa potrebbe essere inidonea, sul piano funzionale, a produrre conseguenze dannose per gli interessati e non dar luogo ad una fattispecie di responsabilità aquiliana.

    Alla stregua dell’indirizzo maggioritario della giurisprudenza amministrativa, “la qualificazione del danno da illecito provvedimentale rientra nello schema della responsabilità extra- contrattuale disciplinata dall’art. 2043 c.c.; conseguentemente, per accedere alla tutela è indispensabile, ancorché non sufficiente, che l’interesse legittimo sia stato leso da un provvedimento (o da comportamento) illegittimo dell’amministrazione reso nell’esplicazione (o nell’inerzia) di una funzione pubblica e la lesione deve incidere sul bene della vita finale, che funge da sostrato materiale dell’interesse legittimo e che non consente di configurare la tutela degli interessi c.d. procedimentali puri, delle mere aspettative o dei ritardi procedimentali” (Cons. Stato, sez. VI, 28/06/2016, n. 284; cfr. anche ex plurimis e da ultimo, Cass., sez. un., 23 marzo 2011, n. 6594; Cons. Stato, ad. plen., 19 aprile 2013, n. 7; sez. V, 12 giugno 2012, n. 1441; sez. IV, 22 maggio 2012, n. 2974; sez. IV, 2 aprile 2012, n. 1957; sez. III, 30 maggio 2012, n. 3245; sez. V, 21 marzo 2011, n. 1739; sez. V, 28 febbraio 2011, n. 1271; Cons. giust. amm., 24 ottobre 2011, n. 684; sez. IV, 27 novembre 2010, n. 8291).

    Va soggiunto, altresì, che l’azione risarcitoria innanzi al giudice amministrativo non è retta dal principio dispositivo con metodo acquisitivo, tipico del processo impugnatorio, bensì dal generale principio dell’onere della prova ex artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., per cui sul ricorrente grava l’onere di dimostrare la sussistenza di tutti i presupposti della domanda al fine di ottenere il riconoscimento di una responsabilità dell’Amministrazione per danni derivanti dall’illegittimo od omesso svolgimento dell’attività amministrativa, da ricondurre al modello della responsabilità per fatto illecito delineata dall’art. 2043 cod. civ., donde la necessità di verificare, con onere della prova a carico del (presunto) danneggiato, gli elementi costitutivi della fattispecie aquiliana, così individuabili: a) il fatto illecito; b) l’evento dannoso ingiusto ed il danno patrimoniale conseguente; c) il nesso di causalità tra il fatto illecito ed il danno subito; d) la colpa dell’apparato amministrativo (in termini, Consiglio di Stato, sez. IV, 8 febbraio 2016, n. 486; cfr. Id., anche 28 gennaio 2016, n. 327).

    Per quanto riguarda, poi, specificamente il nesso di causalità, va osservato che la struttura dell’illecito si compone dei seguenti elementi: 1) la condotta (ossia il fatto), che può essere attiva oppure omissiva; 2) l’evento, ossia il danno ingiusto diretta conseguenza della condotta; 3) il nesso di causalità tra i due tra fatto ed evento; 4) l’elemento soggettivo (dolo e colpa); 5) le conseguenze dannose che debbono essere risarcite dal danneggiante e il nesso di causalità tra fatto illecito e danni risarcibili. Il giudizio di causalità si palesa, quindi, due volte: la prima volta, nel rapporto tra fatto ed evento di danno (danno-evento); la seconda, tra il fatto unitariamente considerato e il danno-conseguenza.

    E’ necessario, perciò, distinguere la causalità di fatto (in base alla quale si pone la relazione tra condotta commissiva ed omissiva e danno-evento), regolata dalle leggi scientifiche e la causalità giuridica (in base alla quale si pone la relazione tra il fatto complessivamente e unitariamente considerato e le conseguenze dannose risarcibili), regolata, invece, esclusivamente dal diritto.

    La disciplina civilistica del fatto illecito non regola la causalità materiale, i cui dettami devono ricavarsi sistematicamente dagli artt. 40 e 41 del codice penale, secondo la ricostruzione datane dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione a partire dalla nota sentenza del 10 luglio 2002 n.30328 (cd. sentenza Franzese): un fatto può considerarsi causativo di un evento se di esso è condizione necessaria, con l’esclusione, quindi, di concause che da sole siano state sufficienti a produrre il danno. L’applicazione di tali principi generali è temperata dalla c.d. regolarità causale (o causalità adeguata), secondo cui, all’interno delle serie causali così determinate, si deve dare rilievo solo a quelle che, nel momento in cui si produce l’evento, non appaiono del tutto inverosimili. L’indicatore a disposizione dell’interprete, in ambito civilistico, per affermare o meno l’esistenza del nesso è dato dal criterio del “più probabile che non”, a differenza che nel diritto penale laddove vige la regola dell’“oltre ogni ragionevole dubbio”(art. 533, c.p.p.). Ciò si spiega con la differenza ontologica tra i due giudizi: nel giudizio penale tutto ruota attorno alla figura del reo e la pena consiste nella limitazione della sua libertà; nel giudizio civile l’obiettivo è il ristoro integrale del danneggiato e la sanzione ha carattere economico.

    La causalità di tipo giuridico, che lega il fatto illecito alle conseguenze risarcibili, è disciplinata dagli artt. 1223 e ss. c.c., alla cui stregua il risarcimento deve ricomprendere le perdite che siano conseguenza immediata e diretta dell’illecito. Tale disciplina consente al giudice l’individuazione delle singole conseguenze dannose con la precipua funzione di delimitare i confini della già accertata (attraverso la causalità materiale) responsabilità risarcitoria. In sostanza, il giudice è chiamato a valutare l’esistenza di conseguenze risarcibili e, eventualmente, a stabilire a quanto ammontano.

    Ciò posto, il Collegio osserva che gli illustrati criteri per la qualificazione del fatto illecito elaborati in ambito civilistico valgono anche nell’ambito della tutela risarcitoria, accordata, ormai da qualche decennio a questa parte, anche nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo, il quale ha da tempo chiarito un punto focale ovvero che “il risarcimento del danno non è una conseguenza diretta e costante dell’annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo, in quanto richiede la positiva verifica, oltre che della lesione del bene della vita al quale l’interesse legittimo effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell’ordinamento, anche del nesso causale tra l’illecito e il danno subito, nonché della sussistenza della colpa dell’amministrazione; quanto all’elemento soggettivo, da ultimo citato, l’illegittimità del provvedimento amministrativo, ove acclarata, costituisce solo uno degli indici presuntivi della colpevolezza, da considerare unitamente ad altri, quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere vincolato della statuizione amministrativa, l’ambito più o meno ampio della discrezionalità dell’amministrazione, sicché la responsabilità deve essere negata quando l’indagine conduce al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto (cfr., ex multis, da ultimo, Consiglio di Stato sez. III, 18/06/2020, n.3903).

    Ciò posto e facendo applicazione al caso di specie dei canoni ermeneutici appena enunciati, il Collegio osserva, sotto il profilo del nesso eziologico tra condotta dell’amministrazione ed evento lesivo, che in concreto la mancata realizzazione dell’intervento edilizio in progetto (realizzazione di un parcheggio interrato), successivamente alla conclusione (in senso favorevole alla società ricorrente) dell’impugnativa non va ricondotto tanto al provvedimento negativo dell’Amministrazione, poi eliminato dal mondo giuridico dal giudice amministrativo, quanto alla sopravvenienza di una disciplina urbanistica più restrittiva, circostanza di fatto che non può di certo imputarsi all’Amministrazione resistente e che, però, è stata idonea a interrompere il nesso causale tra l’atto asseritamente lesivo dell’Amministrazione e la successiva impossibilità di costruire l’opus.

    Sul piano dell’elemento soggettivo, va evidenziato, invece, che, in sede di annullamento dell’atto dell’autorità tutoria, contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa attorea, il Consiglio di Stato (come già il giudice di prime cure, le cui conclusioni erano state, però opposte a quelle del giudice di appello) non ha affermato che questa abbia travalicato i confini del controllo di legittimità, ma ha solo verificato – disponendo all’uopo l’incombente istruttorio della verificazione, peraltro necessariamente svolta qualche anno dopo l’epoca di adozione dell’atto impugnato – la rispondenza della situazione di fatto a quella presupposta dall’autorità tutoria a fondamento dell’adozione del provvedimento di annullamento. In sostanza, nello scrutinio condotto dal giudice amministrativo sulla vicenda che la società ricorrente assume a fondamento della propria pretesa risarcitoria, pur se la conclusione è stata nel senso dell’illegittimità dell’atto, non si si rinviene alcun elemento o riferimento denotativo di una condotta colposa dell’autorità tutoria.

    Il ricorso va, pertanto, respinto.

    Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.

    P.Q.M.

    Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sede di Napoli (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così provvede:

    a)rigetta il ricorso;

    b)condanna parte ricorrente al rimborso, in favore della parte resistente, delle spese di giudizio che liquida in complessivi €.3.000,00# (euro tremila/00#), oltre IVA e CPA come per legge.

    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

    Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2021 con l’intervento dei magistrati:

    Pierina Biancofiore, Presidente

    Ida Raiola, Consigliere, Estensore

    Luca Cestaro, Consigliere

    L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
    Ida Raiola Pierina Biancofiore
     
     

    IL SEGRETARIO

     

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