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TRASLATIO IUDICII – ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ – IMPOSSIBILITÀ DI INTRODURRE DINANZI AL G.A., ATTRAVERSO LO STRUMENTO DELLA RIASSUNZIONE, NUOVE DOMANDE VOLTE AD OTTENERE LA RESTITUZIONE DEL BENE.

    TAR CAMPANIA, NAPOLI, sez. V – sentenza 14 novembre 2017, n. 5394

    Traslatio iudicii – Espropriazione per pubblica utilità – Impossibilità di introdurre dinanzi al G.A., attraverso lo strumento della riassunzione, nuove domande volte ad ottenere la restituzione del bene.

    Nel caso in cui la domanda originaria proposta dinanzi al G.O. consista nella rinuncia abdicativa del diritto di proprietà e nella richiesta del risarcimento del danno per equivalente, non è possibile introdurre innanzi al G.A., attraverso lo strumento della riassunzione, nuove domande volte ad ottenere la restituzione del bene, atteso che ciò costituirebbe un indebito ampliamento del thema decidendum, incorrendosi, in tal caso, in una inammissibile mutatio libelli. Può essere invece, riconosciuto il risarcimento del danno per equivalente anche in regime di “traslatio iudicii“.

    Massima a cura dell’avv. Benedetta Leone e del dott. Aniello Polise

     

    Pubblicato il 14/11/2017

    05394/2017 REG.PROV.COLL.

    05379/2008 REG.RIC.

    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

    (Sezione Quinta)

    ha pronunciato la presente

    SENTENZA

    sul ricorso numero di registro generale 5379 del 2008, proposto da:
    …..rappresentati e difesi dagli avvocati ….., con domicilio eletto presso lo studio …. in Napoli,

    contro

    Comune di …… non costituito in giudizio;

    per l’accertamento

    dell’illegittimità del comportamento del Comune di …… e, dichiaratane la responsabilità:

    – per la condanna del medesimo Comune, in persona del Sindaco p.t., sia alla restituzione del bene, previa rimessione in pristino dello stato dei luoghi, in favore dei germani….., che al risarcimento di tutti i danni relativi al periodo di utilizzazione degli immobili sine titulo, con interessi moratori e, se dovuta, la rivalutazione monetaria;

    – in via subordinata, nell’ipotesi in cui la domanda di restituzione sia ritenuta inammissibile o che il Comune emetta un apposito provvedimento di acquisizione del bene al suo patrimonio in forza del contenuto normativo di cui all’art. 43 d.P.R. n. 327/2001, che sia comunque dichiarata formalmente l’illegittimità e l’illiceità della detenzione degli immobili da parte dell’ente e, di conseguenza, per la condanna dello stesso, in persona del Sindaco p.t., al risarcimento del danno derivante dalla perdita del diritto di proprietà, dallo spossessamento dei suoli e da ogni danno in generale nella misura spettante, oltre ad interessi moratori;

    Visti il ricorso e i relativi allegati;

    Viste le memorie difensive;

    Visti tutti gli atti della causa;

    Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 luglio 2017 la dott.ssa Gabriella Caprini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

    FATTO e DIRITTO

    I. Parte ricorrente agisce, in riassunzione, per l’accertamento dell’illegittima occupazione e per il risarcimento del danno cagionato dall’Amministrazione comunale per la radicale trasformazione del fondo in comproprietà a seguito della demolizione del manufatto preesistente, fatiscente, e della destinazione dell’area di sedime a piazza comunale senza, però, l’adozione di alcun decreto di esproprio.

    I.1. Invero, formulata la rinuncia abdicativa della proprietà in sede di giudizio ordinario, con l’atto di riassunzione, preso atto delle modifiche normative e giurisprudenziali, e, nella specie, dei più recenti arresti in tema di illegittimità dell’accessione invertita, la medesima parte chiede, in aggiunta, la restituzione, con riduzione in pristino, del bene occupato e trasformato, ovvero, in subordine, l’acquisizione sanante da parte dell’Amministrazione procedente.

    II. A sostegno del gravame deduce la violazione dell’art. 43, ora 42 bis, del d.P.R. n. 327/2001 e dell’art. 2043 c.c..

    III. All’udienza del 18.07.2017, fissata per la trattazione, la causa è stata introitata per la decisione.

    IV. Il ricorso è fondato nei termini di seguito esposti.

    IV.1. Si premette in fatto, secondo le pacifiche circostanze emergenti dalla sentenza del giudice ordinario, che:

    a) con delibera n. 722/AR del 15.03.1979 e n. 3970/PT del 18.11.1981, la Cassa per il Mezzogiorno aveva approvato, con effetto di dichiarazione di pubblica utilità, il progetto di risanamento e di ristrutturazione urbanistica del Comune;

    b) il Prefetto di Benevento, con decreto n. 953 del 27.01.1982, aveva decretato l’occupazione in via temporanea ed urgente dell’immobile de quo, già danneggiato dal sisma del 1962;

    c) in data 5.03.1982, l’ente comunale aveva proceduto, previa redazione dello stato di consistenza, all’immissione in possesso (verbali nn. 2/5 e 2/6);

    d) in data 18.11.1982, il medesimo ente aveva invitato la sig.r …., dante causa, a optare per l’ottenimento dell’indennità ovvero per la concessione dei benefici di cui alla legge 1431/62;

    e) si è, successivamente, provveduto all’ultimazione dei lavori, al trasferimento dell’opera all’Amministrazione comunale (delibera n. 1266/1988) e, infine, al collaudo dei lavori (verbale del 24.01.1992);

    f) la sig……, erede, in nome e per conto anche degli altri germani, aveva, prima, in data 20.01.1988, delegato il Sindaco alla ricostruzione dell’appartamento e, poi, in data 17.05.2005, preso atto dell’impossibilità di ricostruire l’immobile con pari ubicazione nel centro storico, optato per la corresponsione dell’indennità relativa all’espropriazione del fabbricato;

    g) le trattative per una transazione, intercorse negli anni, non sortivano alcun esito né l’Amministrazione medio temporeha mai adottato alcun provvedimento formale di acquisizione del bene.

    IV.2. Ciò posto, deve essere preliminarmente esattamente definito l’oggetto della domanda in riassunzione.

    IV.2.1. Con specifico riferimento al contenuto della cd. traslatio iudicii, la giurisprudenza è, infatti, costante nel ritenere che:

    1. “in applicazione delrelativoprincipio…, affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 12 marzo 2007 n. 77 e recentemente disciplinato dall’art. 59, l. 18 giugno 2009 n. 69, il processo proposto dinanzi al giudice carente di giurisdizione può essere riassunto davanti al giudice ordinario, restando salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda, ove la stessa sia riproposta entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza” (T.A.R. Trentino-Alto Adige, Trento, sez. I, 6 dicembre 2012 n. 363);

    2. “la “traslatio iudicii” a seguito di declaratoria di difetto di giurisdizione da parte del giudice adito, comporta la riassunzione del giudizio innanzi al giudice indicato nei limiti della domanda con cui è stata declinata la giurisdizione vale a dire con esclusivo riferimento alla domanda risarcitoria per l’occupazione appropriativa” (T.A.R. Molise, Campobasso, sez. I, 4 agosto 2011 n. 528), mirando, nella specie, “a tutelare l’ordinato svolgimento del processo, unitariamente considerato dalla domanda fino alla sua decisione finale, al fine di garantirne la sua ragionevole durata e di evitarne l’abuso” (Cass. civ., sez. un., 18 novembre 2015 n. 23539).

    3. conseguentemente si verifica una mutatio libelli“se le due domande, rispettivamente proposte al giudice ordinario e al giudice amministrativo, risultano fondate su due titoli diversi (responsabilità extracontrattuale e responsabilità contrattuale) ed inerenti diversi fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, con mutazione degli elementi costitutivi della domanda originaria, rimanendo inalterato il solo petitume non anche la causa petendi” (T.A.R. Umbria, Perugia, sez. I, 5 dicembre 2014 n. 605).

    IV.2.2. Orbene, nel caso all’esame, con atto di citazione notificato il 9.02.2007, parte ricorrente, sulla base della premessa che, a fronte dell’occupazione usurpativa, “sono attribuiti due generi di rimedi risarcitori: la domanda di restituzione del bene (non ostando a ciò la natura solo in astratto dell’opera realizzata) oppure, alternativamente, la domanda risarcitoria”, dichiarava espressamente, optando per la seconda soluzione, “che è interesse dei germani ….., abdicando al loro diritto di proprietà, conseguire il risarcimento dei danni, ai sensi dell’art. 2043 e/o in subordine, il pagamento di un indennizzo ai sensi dell’art. 2041 c.c., nonché la corresponsione di eventuali indennità loro spettanti”. Conseguentemente, concludeva nei seguenti termini: “accertata l’illegittimità del comportamento del Comune …e dichiaratane la responsabilità, condannare lo stesso …a) al risarcimento, ex art. 2043 c.c. dei danni subiti per la perdita del loro diritto di proprietà… c) in subordine, al pagamento di un indennizzo ai sensi dell’art. 2041 c.c.”.

    IV.2.3. Tal è l’oggetto del giudizio -concretantesi, come detto, nella rinuncia abdicativa del diritto e nella richiesta del risarcimento del danno per equivalente-, che può essere legittimamente riassunto avanti al giudice competente con la conservazione degli effetti propri della traslazione, incorrendosi, in caso di indebito ampliamento, in una inammissibile mutatio libelli.

    IV.2.4. Né è possibile introdurre, attraverso la strumento della riassunzione, un giudizio ex novo, non essendo le due azioni esperibili contestualmente per la sottesa diversità degli effetti sostanziali e processuali che ne conseguono.

    IV.2.5. D’altro canto, alla data della citazione in giudizio innanzi al G.O., notificata il 2.09.2007, era già stato introdotto, precisamente dal 30.06.2003, l’art. 43 del d.P.R. n. 327/2001, che, nel disciplinare l’acquisizione postuma del bene irreversibilmente trasformato al patrimonio dell’ente territoriale pubblico, sia pure con illegittima efficacia ex nunc, aveva già definitivamente sancito, in ossequio ai principi espressi dalla giurisprudenza della CEDU a partire dal 2001, il superamento della teoria della cd. accessione invertita. La parte, pertanto, pur avendo a disposizione diversi strumenti di tutela, ha circoscritto la domanda coltivata innanzi al giudice ordinario al risarcimento, per equivalente, dei danni subiti per la perdita della proprietà, ex art. 2043 c.c., “abdicando al …diritto di proprietà”, con conseguente rinuncia non solo alla restituzione dell’immobile de quo ma anche al ricorso ad altre forme di soddisfacimento possibili, ponendo contestualmente fine alla condotta illecita dell’Amministrazione. Per inciso, dichiarata, con sentenza 8 ottobre 2010, n. 293, l’illegittimità costituzionale dell’art. 43 citato, con l’art. 34, del D.L. n. 98/2011, conv. in l. n. 111/2011, è stato, poi, inserito nel medesimo T.U. Espropriazioni, l’art. 42 bis, rubricato “Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico”.

    IV.2.6. Ciò chiarito, con la riassunzione in giudizio presso il giudice amministrativo, parte ricorrente tenta di ampliare il thema decidendum con una indebita mutatio libelli, ridefinendo tanto il petitum quanto la causa petendi. Devono, pertanto, essere dichiarate inammissibili le domande volte ad ottenere la restituzione del bene, previa riduzione in pristino, e, in subordine, la condanna dell’Amministrazione, valutati gli interessi pubblici sottesi, all’adozione di un provvedimento di acquisizione sanante.

    IV.3. Tanto precisato quanto al thema decidendum, prima di passare all’esame del merito del ricorso, va preliminarmente disattesa l’eccezione di prescrizione del diritto risarcitorio, sollevata dall’Amministrazione intimata nel giudizio ordinario (art. 2938 c.c.), essendo intervenuti, nel corso del tempo, numerosi atti interruttivi del relativo decorso.

    IV.3.1. Orbene, sia in epoca antecedente al 1988 che successivamente, sono intercorse tra le parti una serie di trattative al fine di comporre bonariamente la vicenda, nell’ambito delle quali vi è stato il costante ed espresso riconoscimento, da parte dell’ente comunale, del diritto di credito, vertendosi unicamente in ordine alla sua esatta liquidazione.

    Nella specie, effettuata l’immissione nel possesso in data 5.03.1982, in data 18.11.1982 l’ente aveva invitato la dante causa, sig.ra ……, ad optare per l’ottenimento dell’indennità o per la concessione dei benefici e in data 20.01.1988, la sig.ra ……, in proprio e per conto degli altri coeredi, aveva all’uopo delegato il Sindaco a ricostruire l’appartamento.

    Dirimente è, però, la circostanza che dal contenuto e dal tenore delle comunicazioni del 20.01.1986 (rep. 101) e del 2.10.1991 (prot. 3885) – menzionate nelle memorie difensive presentate, ex art. 183, comma 4, nn. 1 e 2, c.p.c., nel corso del giudizio ordinario-, nonché delle note del 9.02.1995 (prot. n. 518) e del 21.04.2005 (prot. n. 2055), quest’ultime agli atti del presente gravame, tutte a firma del Sindaco p.t.– si evince l’assunzione, da parte dell’Amministrazione comunale, di un comportamento incompatibile con la volontà di avvalersi della prescrizione, come tale, valutabile, non solo ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2937, comma 3, c.c., in termini di rinuncia alla prescrizione stessa, ma anche quale espresso riconoscimento del diritto di credito vantato (art. 2944 c.c.).

    In particolare, con la nota del 1995, il Comune rende noto che “sta onerando agli adempimenti di cui alla legge n. 32/92 e conseguenti delibere CIPE”, mentre con la comunicazione del 2005, in riferimento alla “L. 219 e suss.mod e integr. – Ricostruzione per delega al Comune”, invita la stessa sig.ra ……. ad intervenire presso l’Ufficio tecnico “per potere concordare con l’U.T.C. e i progettisti incaricati per la immediata definizione della progettazione”.

    IV.3.2. Con atto di citazione notificato in data 9.02.2007, poi, la parte ricorrente conveniva l’Amministrazione comunale intimata innanzi al tribunale ordinario, citandola a comparire in giudizio per le medesime circostanze di fatto sottese al presente gravame, esperito, in riassunzione, a seguito della declaratoria di inammissibilità per difetto di giurisdizione da parte della medesima autorità giurisdizionale (sentenza n. 288 del 19.05.2008).

    Ora, è incontestato che “il comma 1 dell’art. 2943 c.c. ricolleghi l’interruzione della prescrizione alla sola notificazione dell’atto introduttivo del giudizio” mentre “ai sensi dell’art. 2945, comma 2, c.c., la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il relativo procedimento” (Cass. civ., sez. III, 29 maggio 2013 n. 13438), “essendo, peraltro, irrilevante sul punto il difetto di giurisdizione del tribunale ordinario adito in base ai noti principi riassunti nella nozione della “translatio judicii” (T.A.R. Liguria, Genova, sez. II, 15 luglio 2011 n. 1124).

    V. Tanto premesso in termini di azionabilità del diritto, la procedura espropriativa de quanon è stata mai conclusa a causa della omessa tempestiva emissione del decreto di esproprio sebbene le aree facenti capo ai ricorrenti siano state occupate ed irreversibilmente trasformate.

    V.1. Orbene, il Collegio rinviene nel comportamento tenuto dall’Amministrazione comunale, tutti gli elementi costitutivi della responsabilità aquiliana per danno ingiusto, ravvisandosi sia il compimento di un atto illecito, derivante dalla perdurante occupazione “sine titulo” dei terreni in proprietà della parte ricorrente, sia l’elemento psicologico della colpa, per la negligenza dimostrata nella mancata conclusione della procedura espropriativa, sia il nesso causale tra l’azione appropriativa e il danno patito per effetto della sottrazione del bene e la trasformazione dei luoghi.

    V.1.1. Con specifico riferimento al fatto illecito, costituiscono principi acquisiti dalla giurisprudenza quelli secondo i quali:

    A) è da ritenersi definitivamente espunto dall’ordinamento giuridico l’istituto dell’occupazione acquisitiva, di origine giurisprudenziale, che -in presenza di una dichiarazione di pubblica utilità o di una dichiarazione d’indifferibilità e urgenza esplicita o implicita, dell’occupazione dell’area e dell’irreversibile trasformazione del fondo nonché della scadenza del termine di occupazione legittima senza adozione di un decreto di esproprio ovvero in caso di annullamento giurisdizionale della procedura espropriativa-, ipotizza un acquisto a titolo originario della proprietà del fondo in capo all’Amministrazione occupante, legittimando il privato proprietario ad agire esclusivamente per il risarcimento del danno. La C.E.D.U., già nel 2000, ha, infatti, affermato che l’acquisto della proprietà per effetto di attività illecita viola l’art. 1 del Protocollo aggiuntivo della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (ex multis, 30 maggio 2000, Belvedere Alberghiera s.r.l. c. Italia; 12 gennaio 2006, Sciarrotta c. Italia). L’ordinamento giuridico non consente, pertanto, che un’Amministrazione pubblica, mediante un atto illecito o in assenza di un atto ablatorio, acquisti a titolo originario la proprietà di un’area altrui sulla quale sia stata realizzata un’opera pubblica o d’interesse pubblico;

    B) “si può quindi ritenere pacifico in giurisprudenza il principio per cui, in caso di occupazione originariamente o, successivamente, divenuta sine titulo, l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non fa venire meno l’obbligo dell’amministrazione di restituire al privato il bene illegittimamente appreso; e ciò indipendentemente dalle modalità – occupazione acquisitiva o usurpativa – di acquisizione del terreno” (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 12.06.2017, n. 6894);

    C) come chiarito dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 9 febbraio 2016 n. 2, “quale che sia la sua forma di manifestazione (vie di fatto, occupazione usurpativa, occupazione acquisitiva), la condotta illecita dell’amministrazione incidente sul diritto di proprietà non può comportare l’acquisizione del fondo e configura un illecito permanente ex art. 2043 c.c. … che viene a cessare solo in conseguenza: a) della restituzione del fondo; b) di un accordo transattivo; c) della rinunzia abdicativa (e non traslativa) da parte del proprietario implicita nella richiesta di risarcimento del danno per equivalente monetario a fronte della irreversibile trasformazione del fondo; d) di una compiuta usucapione, ma solo in ristretti limiti individuati allo scopo di evitare che sotto mentite spoglie si reintroduca una forma surrettizia di espropriazione indiretta in violazione dell’art. 1 del Protocollo addizionale della CEDU e, dunque, a condizione che:

    – sia effettivamente configurabile il carattere non violento della condotta;

    – si possa individuare il momento esatto della interversio possesionis;

    – si faccia decorrere la prescrizione acquisitiva dalla data di entrata in vigore del testo unico dell’espropriazione (30 giugno 2003) perché solo l’art. 43 del medesimo t.u. 8 giugno 2001, n. 327 aveva sancito il superamento dell’istituto dell’occupazione acquisitiva e dunque solo da questo momento potrebbe ritenersi individuato, ex art. 2935 c.c., il «….giorno in cui il diritto può essere fatto valere»;

    e) di un provvedimento emanato ex art. 42-bis t.u. dell’espropriazione” (cfr. T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, sez. I, 20.04.2016, n. 252);

    D) da quanto esposto “consegue, nello specifico, che la prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento dei danni ex art. 2947 c.c. decorre dalle singole annualità, quanto al danno per la perdita del godimento, e dalla data della domanda, quanto alla reintegrazione per equivalente” (Cass. civ., sez. un., 19 gennaio 2015 n. 735).

    V.1.2. Ora, “con riferimento alla specifica ipotesi in cui il proprietario formuli non già la domanda di restituzione ovvero di riduzione in pristino del proprio bene, illecitamente occupato dall’amministrazione, bensì di risarcimento del danno patito, con effetti abdicativi del diritto di proprietà, il Consiglio di Stato (sez. IV, sentenza n. 4636 del 7.11.2016) ha affermato che:

    “a) stante la natura abdicativa e non traslativa dell’atto di rinuncia, il provvedimento con il quale l’amministrazione procede alla effettiva liquidazione del danno – rappresentando il mancato inveramento della condizione risolutiva implicitamente apposta dal proprietario al proprio atto abdicativo che di esso rappresenta il presupposto – costituisce atto da trascriversi ai sensi degli artt. 2643, primo comma, n. 5 e 2645 cod. civ., anche al fine di conseguire gli effetti della acquisizione del diritto di proprietà in capo all’amministrazione, a far data dal negozio unilaterale di rinuncia;

    b) in ordine alla determinazione del quantumdel risarcimento, questo deve essere commisurato al valore venale del bene al momento in cui si perfeziona la rinuncia abdicativa del proprietario al proprio diritto reale, e, trattandosi di debito di valore, con rivalutazione ed interessi al tasso legale, da calcolarsi fino al momento dell’effettivo soddisfo, tenendo presente che in materia di occupazione acquisitiva di un terreno, il risarcimento del danno è calcolato esclusivamente sul suo valore al momento in cui si è verificata la perdita del diritto di proprietà e l’ammontare del danno deve poi essere rivalutato e devono essere corrisposti gli interessi legali semplici applicati al capitale progressivamente rivalutato, non potendo essere riconosciute ulteriori ragioni di danno (cfr. Corte europea diritti dell’uomo, 22 dicembre 2009, Guiso – Gallisay c. Italia; successivamente Cass. civ., sez. I, 9 luglio 2014, n. 14604);

    c) quanto alla determinazione del risarcimento del danno per mancato godimento del bene a cagione dell’occupazione illegittima (per il periodo antecedente al momento abdicativo del diritto di proprietà), questo può essere calcolato – ai sensi dell’art. 34, co. 4, c.p.a., in assenza di opposizione delle parti e in difetto della prova rigorosa di diversi ulteriori profili di danno – facendo applicazione, in via equitativa, dei criteri risarcitori dettati dall’art. 42-bis t.u. espr. (cfr. da ultimo sul punto Cons. Stato, sez. IV, 23 settembre 2016 n. 3929; 28 gennaio 2016 n. 329; 2 novembre 2011 n. 5844), e dunque in una somma pari al 5% annuo del valore del terreno;

    d) non spetta, invece, in difetto di prova specifica alcuna liquidazione in misura forfettaria del danno non patrimoniale sia in quanto ciò è previsto, dall’art. 42-bis, co. 1 e 5, t.u. espr. solo per il caso di correlativa acquisizione del bene con decreto della pubblica amministrazione (e non già in presenza di un negozio abdicativo del privato), sia in quanto – con riferimento non già alla perdita del diritto di proprietà ma solo con riferimento alla compressione delle facoltà di godimento – la misura del risarcimento disposta in via equitativa è da ritenersi omnicomprensiva di ogni ulteriore posta, ivi compresi gli accessori (interessi legali e rivalutazione monetaria) […]”.

    V.2. “Nel caso di specie, la principale ed, anzi, unica domanda avanzata dai ricorrenti è quella di risarcimento del danno, non solo per il mancato godimento del bene, negli anni in cui la p.a. lo ha illegittimamente occupato, ma anche per la sua sostanziale perdita, in quanto esso è stato irreversibilmente trasformato. Essi non hanno quindi più interesse alla restituzione.

    … Ciò posto, la domanda di risarcimento deve essere accolta.

    Per quanto riguarda la determinazione del danno, il Collegio ritiene che possa utilizzarsi l’istituto previsto dall’art. 34, comma 4, c.p.a., secondo cui “In caso di condanna pecuniaria, il giudice può, in mancanza di opposizione delle parti, stabilire i criteri in base ai quali il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento di una somma entro un congruo termine” (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 12.06.2017, n. 6894; cfr. Cons. di St., sez. IV, 19.04.2017 n. 1833).

    V.2.1. Pertanto, nel termine di 90 (novanta) giorni decorrenti dalla comunicazione e/o notificazione della presente sentenza, il Comune di …… dovrà proporre ai ricorrenti una somma determinata secondo i criteri già in precedenza evidenziati, ovvero:

    1) per quanto riguarda il risarcimento dei danni connessi alla perdita del diritto di proprietà, si dovrà tenere conto del valore venale del bene, alla data di proposizione del ricorso introduttivo (il 9.02.2007) -poiché, a tale data, si è verificata la rinuncia “abdicativa” al diritto di proprietà-, utilizzando, nella specie, il metodo di stima diretta (o sintetica), che consiste nella determinazione del più probabile valore di mercato di un bene mediante la comparazione di valori di beni della stessa tipologia di quello oggetto di stima (atti di compravendita di terreni finitimi e simili);

    2) per quanto riguarda i danni conseguenti all’occupazione illegittima del bene, corrente dalla data di scadenza dell’occupazione legittima sino al 9.2.2007 (data della rinuncia “abdicativa”) il danno va quantificato nel 5% (cinque per cento) annuo sul valore venale di cui al punto 1;

    3) sulla somme di cui ai punti precedenti dovranno essere calcolati interessi e rivalutazione sino alla data in cui la proposta del Comune di…… perverrà ai ricorrenti;

    4) su tutte le somme dovute, così come individuate, decorreranno gli interessi legali dalla data della proposta fino al soddisfo.

    V.2.2. In caso di accettazione della proposta, l’Amministrazione comunale dovrà anche provvedere alle conseguenti trascrizioni, secondo le modalità indicate nella sentenza del Consiglio di Stato n. 4636/2016.

    V.2.3. Ove le parti non dovessero giungere ad un accordo nel termine indicato, con il ricorso previsto per l’ottemperanza (artt. 112 e sg. c.p.a.) potrà essere richiesta la determinazione della somma dovuta.

    VI. Le spese seguono come di regola la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

    P.Q.M.

    Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, condanna il Comune di …… al risarcimento del danno in favore dei ricorrenti, da liquidare secondo i criteri, i tempi e le modalità di cui in motivazione.

    Condanna il medesimo Comune di …… alla rifusione delle spese di giudizio che si liquidano, complessivamente, in euro 2.000,00 (duemila/00), oltre gli accessori, se dovuti, come per legge.

    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

    Così deciso in Napoli nelle camere di consiglio dei giorni 18 luglio 2017 e 7 novembre 2017, con l’intervento dei magistrati:

    Santino Scudeller, Presidente

    Diana Caminiti, Consigliere

    Gabriella Caprini, Consigliere, Estensore

     

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